Un milione. E mezzo, circa. Questo il numero di immagini caricate in ventiquattr’ore sulla piattaforma online Flickr e letteralmente riversata al FOAM di Amsterdam dall’artista Erik Kessels, nella sua installazione 24 Hrs in Photos (Photography in Abundance). È proprio la cascata iconica di Kessels a campeggiare sulla copertina di La furia delle immagini di Joan Fontcuberta, recentemente portato nelle nostre librerie dalla traduzione italiana di Sergio Giusti. Un volume dedicato appunto all’abbondanza, all’inflazione delle immagini nella nostra epoca, che si guadagna l’attributo di «postfotografica»Artista, studioso e maestro dell’inganno, Fontcuberta è noto per i suoi attacchi irriverenti allo statuto indessicale della fotografia, alla sua autenticità a ogni costo. Un tema, quello della verità delle immagini, che in quest’ultimo lavoro è colto nel suo intimo legame con quello della moltiplicazione e della sovrabbondanza visuale.

La credibilità che attribuiamo a un’immagine, infatti, dipende in gran parte dalla fiducia che accordiamo a chi l’ha realizzata. In una parola, dipende dal suo autore. Il vortice dell’iconosfera contemporanea, tuttavia, tende a inibire una domanda cruciale, che è precisamente una domanda di autorialità: chi ha prodotto queste immagini, e con quale scopo? Chi dice autore dice autorità. Lo ha mostrato Mario Barenghi, nel suo magistrale L’autorità dell’autore.

Caro a Barenghi era il nesso fondante, etimologico quanto concettuale, tra l’idea di autore come produttore e quella di autore come garante e depositario di un prestigio. Chi nella comunicazione letteraria (ma anche, aggiungeremo noi, iconica) accampi il diritto di erogare un messaggio deve difendere il privilegio dell’enunciazione, dimostrando il possesso di precise competenze, esperienze, sensibilità e conoscenze. Assunti chiari, di limpida ragionevolezza. Eppure, un paio di decenni è bastato a incrinarli. Quale spazio resta infatti all’autore e alla sua autorità nel tempo dello scambio orizzontale, del leone da tastiera e del contenuto virale?  

Joan Fontcuberta inquadra il problema nel contesto di una nuova epoca nella storia delle immagini, che prende il nome di «postfotografia» e che impone mutamenti radicali lungo l’intero spettro delle manifestazioni iconiche odierne. Nella postfotografia, leggiamo, «la circolazione dell’immagine prevale sul suo contenuto» (Fontcuberta 2018, p. 34). E l’autore, per parte sua, «si mimetizza o si disperde in una nuvola condivisa», accetta o deliberatamente si sforza di far perdere le proprie tracce in un contesto in cui in fondo «non importa chi fa e da dove arrivano le immagini» (p. 35). Nelle pratiche di ricezione e riuso proprie delle piattaforme mediali contemporanee, infatti, sulla sostanza o sulla provenienza di un’immagine prevale «l’assegnazione (o prescrizione) di senso» operata nei confronti di quest’ultima (p. 35).  

In effetti, questi sono i tratti incarnati da un oggetto mediale emblematico del nostro tempo: il meme.  Approdato dalle celebri pagine de Il gene egoista di Dawkins (1976) alla ben più prosaica piattaforma online Urban Dictionary, il meme identifica oggi una combinazione di immagine e testo che si diffonde in modo virale tramite meccanismi di condivisione propri soprattutto dei social media. Il meme si presta in realtà a una varietà di funzioni comunicative. In relazione al problema dell’autorità, l’attenzione va in particolare a due classi di meme cosiddetti informativi: quelli che veicolano informazioni fasulle (fake news) e la loro controparte satirica (che denuncia come tale la fake news).

La prima classe è contraddistinta da un intento di falsificazione del reale e riguarda tipicamente temi scottanti del dibattito politico. La strategia fondamentale è quella di associare un’immagine a un testo che non le è pertinente, ma che consente a chi la sceglie di piegarla a una preconcetta interpretazione della realtà. Spesso i meme che trasmettono fake news presentano formule ricorrenti che inneggiano all’indignazione generale, sottolineano l’eccezionalità della situazione italiana o accusano la negligenza della classe politica.

I meme satirici elevano il processo di falsificazione al quadrato. Operando all’interno dello stesso bacino tematico dei precedenti, questi meme deformano la presunta informazione rappresentata dall’iconotesto fino a infonderle tratti grotteschi che ne smascherano l’inconsistenza. Generalmente, i meme satirici fanno capo a pagine conosciute come Vergogna finiamola fate girare, Abolizione del suffragio universale, Condividi se sei honesto, che evidentemente replicano in chiave derisoria gli stilemi anche linguistici della loro sedicente controparte seria. Meme pensati per distorcere e disinformare, meme che mirano a irridere e smascherare: eppure, il problema dell’autorità si declina nei due casi in modi sorprendentemente convergenti.

A differenza di quelli che diffondono fake news, i meme satirici tendono a riportare il logo della pagina che li ha prodotti o a includere altri semplici segnali di identificazione. Lo scopo è rendere il meme satirico riconoscibile nel suo intento e dunque stimolare una fruizione adeguata. Ciononostante, la ricezione di questi iconotesti registra una disarmante tendenza al fraintendimento. È assai probabile che un meme come quello riportato, Rex Boldrini all’assalto delle tasche dei contribuenti, susciti commenti tra i quali è arduo stabilire una gerarchia di ingenuità: ci sarà chi, non cogliendo l’ironia e l’assurdo nelle loro forme più patenti, si accanirà contro i soprusi della classe politica; ma ci sarà anche chi avvertirà l’esigenza di fare presente che quello in foto è un cane qualunque, non un cane in servizio alla Camera dei Deputati. E questo perché, come avverte Fontcuberta, la provenienza e la sostanza dell’immagine contemporanea sono offuscate dalla sua circolazione e dalla necessità degli utenti di sovrapporle un significato personale.

L’elevata manipolabilità delle immagini online, peraltro, fa sì che spesso le spie di autorialità descritte vadano perse: qualunque utente discretamente esperto è in grado di rimuovere un logo o di alterare altri aspetti della composizione iconica, tanto più che la bassa qualità del materiale di partenza non richiede alcuna cautela nella modificazione. Così, spesso, il meme ingannevole e quello demistificatorio si ritrovano a condividere un sostanziale anonimia. Quale autorità spetta allora a un’immagine che non ha autore? Come valutare il diritto di parola dell’emittente, se quest’ultimo non è riconoscibile? Nell’offuscamento e nella perdita dell’istanza dell’enunciazione si attua il passaggio dall’autorità dell’autore all’autorità delle immagini stesse.

Ed è a questo punto che il pensiero di Joan Fontcuberta giunge a una sinergia produttiva con quello di Mario Barenghi. Perché nel turbine furioso delle immagini contemporanee, che livella gli enunciati e confonde chi li produce, un ruolo di rinnovata centralità sembra riservato a chi di quegli enunciati si fa fruitore. Il tentativo sfacciato delle immagini di farsi esse stesse autorità autosufficienti richiede con urgenza una rinnovata capacità di vigilanza del loro pubblico. Lo ha bene espresso a suo tempo Barenghi: l’autorità non è che la funzione di un interscambio discorsivo. Essa non si dà come presupposto, ma si radica imprescindibilmente nella sanzione dei destinatari cui si propone. In questa sanzione, allora, sta l’argine all’inondazione delle immagini ingannevoli, o alla cascata di fraintendimenti di quelle demistificatorie. Non importa quanto rapida sia la trasmissione online, quanto semplice sia la condivisione nell’iconosfera contemporanea: l’immagine cui sia stato posto il veto dai suoi destinatari è condannata alla scomparsa.

Nel meme fake news e nel suo raddoppiamento satirico l’autorità delle immagini è dunque continuamente manipolata, ribaltata, ma innanzitutto negoziata. È il fruitore 2.0 a farsi garante del senso ultimo della fotografia e dell’immagine, nel vortice del loro post-.

Riferimenti bibliografici
J. Fontcuberta,
La furia delle immagini. Note sulla postfotografia, Einaudi, Torino 2018.
M. Barenghi, L’autorità dell’autore, Milella, Lecce 1992.

*In copertina Erik Kessels, 24 Hrs in Photos.

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