Roma, Fontana di Trevi: una troupe cinematografica si prepara a girare. Al centro della scena una donna che veste i panni di Anita Ekberg ne La dolce vita (1950) pronta a replicare una delle scene più famose della storia del cinema. Indossa una parrucca bionda posticcia e un elegante abito nero molto simile a quello di Ekberg: sotto le direzioni perentorie della regista, si immerge nell’acqua. La scena non ha nulla dell’apparente naturalezza dell’originale: l’espressione corrucciata sul viso dell’attrice tradisce il disagio che sta provando, lo scroscio della fontana copre ogni parola, il getto dell’acqua le fa bruciare gli occhi. L’attrice nei panni di Anita Ekberg è Chiara Mastroianni, la figlia di quel Marcello che nel film di Fellini viene esortato a entrare nella fontana: “Marcello, come here!”: stavolta non è Anita Ekberg a dare voce a quest’esortazione ma la regista di questo remake che sprona Chiara a pronunciare la celebre battuta.
Questa è la scena di apertura di Marcello Mio (2024), ultimo film di Christophe Honoré con protagonista Chiara Mastroianni insieme a Catherine Deneuve, Fabrice Luchini, Nicole Garcia e Stefania Sandrelli, tutti nel ruolo di loro stessi. L’unica a non interpretare se stessa, o almeno non del tutto, è proprio Chiara: la prima volta che la vediamo sulla scena indossa i panni di un’altra attrice, in un ruolo in cui non si trova a suo agio, mentre nel corso della storia deciderà di cambiare identità e di diventare Marcello. Ma se nel primo caso la performance di una femminilità canonica nei panni di una diva irraggiungibile genera in lei un visibile imbarazzo, quando indossa gli abiti maschili del padre Chiara è perfettamente padrona di sé e si muove nello spazio con sicurezza e disinvoltura. Incarnare la figura del padre diventa uno strumento di protezione: Chiara non trova rifugio nel passato, ma decide di portarlo nel flusso del presente, di renderlo visibile e tangibile, trasformandolo in un oggetto vivo con il quale è possibile interagire sul momento.
La scena di apertura di Marcello Mio mette in scena una regista che tenta di replicare la famosa scena nella Fontana di Trevi ne La dolce vita, misurandosi direttamente con un’eredità imponente. Un’eredità imponente ma anche ingombrante, che pesa sulle immagini e le sbiadisce, relegandole all’ombra di un passato impossibile da riprodurre: la stessa eredità che pesa sulle spalle di Chiara Mastroianni, che si ritrova imprigionata nei confini tracciati dalla carriera dei due illustri genitori. Mastroianni-Deneuve, due poli opposti che tracciano un percorso unico che non prevede deviazioni. La vita di Chiara sembra esaurirsi in due possibilità: diventare come la madre e come il padre. Questo paragone continuo unito alla mancanza del padre fanno scattare qualcosa nell’attrice, che decide di portare la performance al suo limite estremo, fino al punto della mimesi pura, della fusione completa con la realtà.
Chiara veste i panni di Marcello e porta su di sé gli elementi più riconoscibili della figura di Mastroianni: il cappello a falda larga e gli occhiali squadrati di felliniana memoria e un completo da uomo elegante. Da quel momento i momenti cinematografici più celebri di Marcello si inseriscono nel racconto e ne modificano la forma: dagli incontri notturni tra Chiara e un giovane soldato americano su un ponte che ricordano quelli tra Marcello e una giovane ragazza in Le notti bianche (1957) di Visconti fino alla catartica scena su una spiaggia romana che fa da specchio al finale di Otto e mezzo (1963). Un gioco di riferimenti e di rispecchiamenti che ricostruiscono l’intimità del rapporto padre-figlia ma restituiscono anche un frammento, uno dei più significativi, del cinema italiano, strappandoli alla fossilizzazione mettendoli in comunicazione con il presente e con le forme estetiche e narrative contemporanee, in un pastiche che supera l’estetica dell’omaggio e ha il coraggio di giocare con i mostri sacri, di parlare con loro, di riconoscerli come entità ancora vive nella loro potenza comunicativa e ancora capaci di veicolare messaggi.
Marcello Mio gioca sul piano dell’identità di genere e sulle declinazioni che può assumere sullo schermo: Chiara che diventa Marcello ridisegna i rapporti tra i rigidi modelli di femminilità e mascolinità considerati come il canone, ma soprattutto contribuisce a ridefinire e a restituire complessità all’immagine divistica e attoriale di Mastroianni stesso. Una figura che incarna tensioni diverse e in contrasto tra di loro che si riflettono nella grande varietà di personaggi che l’attore interpreta nel corso della sua lunga carriera. In particolar modo nella lunga collaborazione con Fellini, da La dolce vita fino a La città delle donne (1980)i personaggi di Mastroianni danno vita al ritratto di una mascolinità stratificata, in cui la virilità esibita del latin lover coesiste con una fragilità esistenziale, un’insicurezza segno della crisi profonda della mascolinità tradizionale che investe l’uomo novecentesco. Jacqueline Reich ha studiato questo fenomeno partendo proprio dalla figura di Mastroianni. Scavando nell’immagine pubblica del divo e analizzando i suoi ruoli, Reich individua l’esistenza di una figura che li mette in relazione e che sconfessa l’etichetta di latin lover attribuita all’attore: quella dell’inetto, caratterizzato da passività, alienazione e impotenza emotiva.
Il Marcello messo in scena da Chiara gioca con queste nozioni: l’apparenza da affascinante conquistatore costruita con cura attraverso gli abiti cede subito e accoglie le paure, le insicurezze, la fragilità e il terrore di fronte al cambiamento più vicini alla figura dell’inetto. Ma rispetto a quest’ultima la performance di Chiara nei panni del padre esegue un’ulteriore variazione data dall’elemento femminile che ridefinisce la dicotomia stessa tra mascolinità e femminilità creando uno spazio ibrido dove i confini si fanno sempre più sfumati.
Una figura che potrebbe accomunare Marcello Mastroianni e il Marcello impersonato da Chiara e trascendere le categorie di genere è quella del flâneur.
Marcello è legato in modo inestricabile alla città. Lungo il corso del film vediamo Marcello in molti dei siti più famosi di Roma: la Fontana di Trevi, la Fontana di Caracalla e Via Veneto. […] Marcello, come il flâneur, è in un viaggio, alla ricerca di un significato. Secondo Keith Tester, il flâneur cerca un senso di identità nello spettacolo della vita moderna. Dunque la flânerie è «l’attività di uno spettatore che gira per la città per trovare le cose che occuperanno il suo sguardo e perciò completeranno la sua identità altrimenti incompleta, soddisferanno la sua esistenza insoddisfacente e sostituiranno il senso di perdita con un senso di vita» (Reich 2004, p. 40).
In Marcello mio Chiara si ritrova spesso a vagare di notte per le strade di Parigi: ma se Reich associa la figura del flâneur a quella dell’inetto affermando che la sua ricerca di un’identità è destinata a fallire, nel caso di Chiara/Marcello la pratica della flânerie è un dispositivo di riappropriazione di sé stessi attraverso la riappropriazione dello spazio. Così l’atto di passeggiare per le strade di Parigi diventa un momento di evocazione del passato e di riscrittura del presente, in cui Chiara può esprimersi liberamente attraverso la maschera del padre, un espediente che nel suo essere un artificio teatrale le permette di esprimere le emozioni più autentiche e recondite.
Attraverso questo viaggio nel tempo e nello spazio, Marcello Mio riesce a raccontare la storia intima di una famiglia che cerca di elaborare il lutto e il senso di perdita restituendo al tempo stesso il ritratto di un uomo il cui volto raccoglie in sé decenni di cinema italiano. Ma è soprattutto la lettera di una figlia che cerca di districare i nodi della propria esistenza e di ritrovare se stessa nel complesso intreccio di amore e appartenenza, di identità e di radici, di realtà e finzione.
Riferimenti bibliografici
G. Muggeo, Marcello Mastroianni: Echi e riscritture di un attore, Bonanno, Acireale-Roma 2017.
J. Reich, Beyond the Latin Lover: Marcello Mastroianni, Masculinity and Italian Cinema, Indiana University Press, Bloomington 2004.
A. B. Saponari e F. Zecca, a cura di, Oltre l’inetto. Rappresentazioni plurali della mascolinità nel cinema italiano, Mimesis, Milano 2021.
Marcello Mio. Regia: Christophe Honoré; sceneggiatura: Christophe Honoré; fotografia: Rémy Chevrin; musiche: Alex Beaupain; interpreti: Chiara Mastroianni, Catherine Deneuve, Fabrice Luchini, Nicole Garcia, Benjamin Biolay, Melvil Poupaud, Hugh Skinner, Stefania Sandrelli, Francesca Fialdini; produzione: Les Films Pelléas, BiBi Film, Lucky Red, France 2 Cinéma, Super 8, LDRP II, TSF; distribuzione: Lucky Red; origine: Francia, Italia; durata: 121’; anno: 2024.