Le nuove applicazioni tecnologiche in ambito medico hanno cambiato radicalmente l’approccio scientifico non solo dal punto di vista diagnostico ma anche e specialmente da quello terapeutico. Inducendo una sensazione di “presenza”, immersione, navigazione in un’ambientazione simulata, l’avanzamento delle tecnologie informatiche della realtà virtuale (VR), che integrano computer grafica, strumenti di rilevamento corporeo, immagini foto-realistiche in tempo reale, interazione con gli oggetti, ha avuto un forte impatto sulla psicoterapia.

La Virtual Reality Exposure Therapy è diventata ad esempio una pratica per il trattamento di militari a cui è stato diagnosticato un disturbo da stress post-traumatico (PTSD), come viene mostrato da Harun Farocki nella terza parte della serie Ernste Spiele (Serious Games, 2010), Immersion, in cui viene fatto riferimento al software Virtual Iraq. Il soggetto indossa un visore che gli permette di immergersi in una realtà virtuale che richiama il luogo dell’evento traumatico, la morte del suo compagno durante un attentato. Nello stesso tempo, un terapeuta chiede al commilitone di descrivere il corso degli eventi il più precisamente possibile in modo da provocare un processo cognitivo di rielaborazione del trauma attraverso la sua ripetizione.

I personaggi di Maniac, serie Netflix scritta da Paul Sommerville (The Letftovers) e da Cary Fukunaga (True Detective), anche alla direzione di tutti gli episodi, decidono di prestarsi ad una simile terapia espositiva, una cura sperimentale proposta da un’azienda farmaceutica che permette loro di accedere alla propria memoria traumatica.I due protagonisti della narrazione sono Owen Milgram (Jonah Hill) e Annie Landsberg (Emma Stone). Lui, schizofrenico, già stato internato in passato, messo ai margini dalla sua ricca famiglia, in preda ad allucinazioni, non riesce a distinguere cosa sia reale e cosa frutto della propria immaginazione. L’uomo è convinto di far parte di un piano, uno schema, per salvare il mondo. La donna invece è affetta da una forma di depressione e dipendenza da psicofarmaci, non riesce a superare l’abbandono della madre e specialmente la morte della sorella avvenuta in un incidente stradale subito dopo una furiosa lite.

La prima fase del trattamento a cui si sottopongono consiste nel rivivere la propria esperienza traumatica grazie ad una pillola e un super computer, denominato Gertie, atto a condurre e pilotare i personaggi all’interno delle proprie esperienze personali, immersi in una dimensione virtuale, senza, tuttavia, poter cambiare il corso degli avvenimenti. Annie risulta già essere dipendente dal farmaco, sperimentato anche prima della terapia: “Ogni giorno prendo la pillola per ri-vivere il peggior giorno della mia. E finisce sempre con la peggior cosa che mi sia mai capitata. E lo adoro”. Annie è bloccata in una coazione a ripetere e non riesce a sfuggire al continuo ripetersi del trauma, tanto da esserne ormai assuefatta, verso un istinto autodistruttivo. Secondo quanto teorizzato da Cathy Caruth essere traumatizzati significa “essere posseduti da un’immagine o un evento” assimilato “solo ritardatamente nel ripetuto possesso della persona che lo esperisce”.L’esperienza traumatica non è stato esperita completamente dal soggetto nel momento del suo accadimento e questo provoca una riemersione attraverso i sintomi di una dissociazione come flashback, allucinazioni, fobie e incubi. In un mondo distopico dominato dalla tecnologia e dal mercato, l’esperienza traumatica viene ripetuta e rivissuta attraverso un farmaco. Tuttavia, se da una parte la pillola A promuove un acting out dell’esperienza traumatica, ovvero una ripetizione che non prevede un tentativo di rottura con la fissazione del trauma, la seconda fase del trattamento permette di elaborare cognitivamente l’evento attraverso un processo di superamento dell’esperienza, in linea con il modello del “working through” teorizzato da Dominick LaCapra.

I soggetti della serie vengono esposti attraverso ambienti virtuali che rappresentano una figurazione dei propri traumi e una spazializzazione del proprio subconscio al fine di rivisitare le memorie represse. In ogni simulazione vengono inseriti elementi presi dalle esperienze vissute dai personaggi, tratti che li ricollegano al mondo reale dal punto di vista mnemonico, percettivo e sensoriale. La moltitudine di ambienti in cui si immergono i protagonisti risponde esplicitamente alle caratteristiche di differenti generi cinematografici, dal gangster movie alla black comedy, dalla spy story al fantasy.

Universi disseminati da enigmi che devono essere risolti per fare in modo che i personaggi possano districarsi dai vincoli della memoria traumatica. Le memorie di Owen e Annie continuano ad interscambiarsi, memorie protesiche secondo quanto concettualizzato da Alison Landsberg, memorie senza una base organica, artificiali, esperienze che l’individuo non ha vissuto ma che derivano dall’incontro con le tecnologie dei mezzi di comunicazione di massa, rappresentazioni mediate dal cinema, dalla televisione e dal web. Solo a quel punto i personaggi riescono ad elaborare cognitivamente l’esperienza traumatica, dimenticando l’evento e abbandonando i fantasmi del proprio passato da cui erano perseguitati.

Riferimenti bibliografici
C. Caruth, Trauma. Exploration in memory, The John Hopkins University Press, Baltimora e Londra 1995.
D. LaCapra, Representing the Holocaust, Cornell University Press, Ithaca e Londra 1994.
A. Landsberg, Prosthetic Memory: The Trasformation of American Remembrance in the Age of Mass Culture, Columbia University Press, New York 2004.

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