È una delle numerose notti di lockdown della pandemia: Irene (Barbara Ronchi) non riesce a dormire e si aggira inquieta all’interno di un appartamento claustrofobico. All’improvviso, lo schermo del suo cellulare si illumina e compare il nome del suo ex fidanzato: Pietro (Claudio Santamaria). Anche se i due non si sentono dal giorno in cui si sono separati circa sei mesi prima, Irene intuisce che c’è qualcosa che non va in lui. Nonostante le frasi sconnesse dell’ex compagno, capisce che l’uomo si trova sul tetto della sua casa al mare a Santa Marinella e sta per commettere un gesto estremo. Senza interrompere la chiamata, la donna prende l’automobile e si dirige verso Pietro violando il coprifuoco, e avendo cura di non farsi scoprire gli rivolge un unico ammonimento che non ammette repliche: non riattaccare.
Nelle numerose interviste che hanno preceduto l’uscita di Non riattaccare, il regista Manfredi Lucibello ha utilizzato a più riprese un aggettivo molto suggestivo per definire il suo ultimo film: essenziale. Difatti, il lungometraggio, dal modesto budget produttivo, ha pochissimi elementi strutturali: la protagonista, Irene, onnipresente sullo schermo, la voce al cellulare di un personaggio il cui volto verrà svelato solo nella sequenza finale, Pietro, e due ambienti principali che occupano quasi per intero la durata del film: l’abitacolo dell’automobile e la strada che collega il centro di Roma a Santa Marinella. Tuttavia, il film riesce a condensare al suo interno una molteplicità di toni e atmosfere che vanno dal thriller al road-movie, dal melò al one-location movie. A reggere tale eterogeneità stilistica e tematica è una sceneggiatura (cofirmata dallo stesso regista e da Jacopo Del Giudice) che è contemporaneamente puntuale e incalzante.
La struttura generale dello script, nonostante la modernità del suo approccio eterogeneo, è sostanzialmente classica e poggia sul paradigma neo-aristotelico dei tre atti. Gli eventi sono legati da rapporti di causa-effetto, e l’agire dei personaggi ha conseguenze dirette sulla narrazione. Le primissime sequenze del film mostrano quella che, nei termini di Vogler (2010), viene definita «la chiamata all’avventura» dell’eroe. In questo caso, è letteralmente una chiamata; quando Irene decide di rispondere, il meccanismo della narrazione si innesca e la protagonista intraprende il suo viaggio.
Il tema del viaggio è fondamentale nel film e si sviluppa lungo due percorsi paralleli: un viaggio vero e proprio (quello di Irene in auto) e un viaggio simbolico e interiore (che porterà ad una maturazione psicologica dei due personaggi). Nel primo caso tutto si gioca sull’onnipresenza attoriale di Ronchi, che si pone come una forza centripeta rispetto alla macchina da presa e allo sviluppo dell’azione. Irene, lungo il suo percorso, affronta una serie di ostacoli concreti: un’ora di strada da percorrere, il cellulare scarico, tanti imprevisti e Pietro, che dall’altro capo del telefono non ce la fa più e vuole farla finita. L’insieme di questi fattori contribuisce a rendere possibile un’unica soluzione: la lotta contro il tempo.
Nel film, scongiurare l’interruzione irreversibile della comunicazione diventa una metafora dell’allontanamento definitivo dell’uomo dalla vita: Pietro non deve riattaccare, se la telefonata si interrompe la minaccia può compiersi in tutta la sua tragicità. La fotografia dai toni molto cupi, la colonna sonora angosciante e l’espediente narrativo del time-lock (intenso come un limite temporale imposto al personaggio per sfuggire una minaccia) contribuiscono alla costruzione di uno stato di continua suspense. Dal canto suo, Irene cerca ogni espediente per evitarlo: lo distrae, gli chiede di raccontargli come era vestita quando si sono conosciuti, delle vacanze passate assieme, lo prega di far partire un disco e, mentre è alle prese con gli ostacoli di un improvviso viaggio in pieno lockdown, pone la conversazione su un piano di stasi volto a dilatare il tempo. Attua una non-comunicazione che le permette di fissare l’ex compagno nel limbo dei ricordi e arrivare in tempo a casa per salvarlo.
Questi dialoghi però presentano una duplice funzione e, oltre a dissuadere Pietro dal suicidio, assumono fondamentale importanza per il viaggio parallelo dei personaggi, quello interiore. Grazie alla potenza evocativa della voce acusmatica di lui, chilometro dopo chilometro e aneddoto dopo aneddoto, ricostruiamo i pezzi di una felice relazione andata in frantumi. I due personaggi ripercorrono le tappe della loro relazione e insieme ai momenti felici riaffiorano anche quelli più bui che hanno portato alla separazione. Allo stesso modo in cui Irene si avvicina a Pietro e a Santa Marinella, la distanza emotiva tra i due sembra accorciarsi. Gradualmente il sole sorge e finalmente gli ex amanti possono dirsi tutto ciò che il dolore prima non aveva concesso; finalmente è quindi possibile ristabilire un contatto, un dialogo (letterale e simbolico) in grado di sciogliere i traumi e le incomprensioni del passato.
Nelle sequenze finali troviamo il climax che infine porterà alla risoluzione: Pietro, nonostante sia sceso dal tetto, rivela di aver ingerito una confezione intera di psicofarmaci e Irene, in preda al panico, un attimo prima di arrivare a casa del suo ex, fa un terribile incidente. Nonostante ciò, raccoglie tutte le sue forze ed esce dall’auto. Qui si dispiega tutta la potenza della protagonista femminile, che Ronchi riesce a restituire con grandissima intensità: dopo aver a lungo rinunciato alla propria vita, è di nuovo in grado di agire per modificare il suo presente e svincolarsi finalmente dall’inerzia e dall’incomunicabilità. Vuole ad ogni costo salvare Pietro e completare il suo viaggio, che non è più solo un elemento strutturale della narrazione, ma assume i caratteri di uno stadio intermedio necessario al cambiamento, «una foucaultiana tecnologia del sé, una strategia di trasformazione, una prassi metamorfica» dell’individuo (Capra 2024). Anche la fotografia ora restituisce toni rassicuranti, gli ambienti si aprono alla luce e siamo lontani dall’oscurità ansiogena dell’autostrada e dall’angusto abitacolo dell’automobile. La trasformazione si manifesta simbolicamente ed esteticamente; attraverso l’intreccio e attraverso la macchina da presa. Irene dunque entra in casa, salva Pietro e, assieme a lui, salva anche sé stessa.
Riferimenti bibliografici
R. Capra, Filosofia del viaggio. Modi, tempi, spazi, sensi del viaggiare, Mimesis, Milano-Udine 2024.
C. Vogler, Il viaggio dell’eroe. La struttura del mito ad uso di scrittori di narrativa e cinema, Dino Audino Editore, Roma 2010.
Non riattaccare. Regia: Manfredi Lucibello; sceneggiatura: Jacopo Del Giudice, Manfredi Lucibello; fotografia: Emilio Maria Costa; montaggio: Diego Berrè; musiche: Motta; interpreti: Barbara Ronchi, Claudio Santamaria; produzione: Mompracem, Rosebud Entertainment Pictures, Rai Cinema; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: Italia, Francia durata: 90’; anno: 2024.