Mi hai sottovalutato,
perché non mi hai guardato.
Tu mi hai visto, ma non mi hai guardato.
Come non mi guardano loro,
quelli per cui lavoro.
Che vivono là, mentre noi viviamo qui,
che vivono in alto quando noi siamo in basso: non ci guardano.
E grazie a questa invisibilità diventeremo ricchi.
Raul, il figlio di Assane, cammina sulla ghiaiosa spiaggia di Etretat travestito da Lupin, con cilindro, mantello e monocolo, in mezzo a dozzine di altri ragazzi mascherati come lui. Secondo la leggenda letteraria di Leblanc negli anfratti rocciosi di quella scogliera si nasconde il passaggio segreto che porta all’Aiguille, dove Lupin avrebbe nascosto i suoi tesori. È il regalo di compleanno da parte di Assane per suo figlio, al quale egli ha trasmesso la passione per le avventure del famigerato ladro, e ha dunque deciso di far trascorrere lì una intera giornata alla sua famiglia. Accade qui, improvvisamente, un colpo di scena: mentre Assane e la madre di Raul discutono, si accorgono improvvisamente che loro figlio è scomparso nel nulla. È una sequenza, nonché finale di stagione, della nuova serie tv francese Lupin di George Kay e François Uzan, uscita su Netflix e prodotta da Gaumont che riprende, in chiave contemporanea, il famoso romanzo Arsenio Lupin (Arsène Lupin, gentlemen cambrioleur, 1907) di Maurice Leblanc. Il cast vede Omar Sy, già noto dopo la partecipazione al film Quasi amici (Nakache e Toledano, 2011), nei panni del protagonista: Assane Diop. Al momento la serie televisiva conta una stagione composta da cinque episodi ma Netflix ha già annunciato l’ufficialità della seconda parte.
Dimentichiamo il famoso manga Lupin III di Kazuhiko Katō (a.k.a. Monkey Punch) che, dal 1967 ad oggi, ha dominato larga parte degli interessi fumettistici e delle anime televisive. Dimentichiamo anche il samurai Goemon, il pistolero Jigen, la ladra Fujiko (alias Margot nella versione italiana) e Zenigata, l’ispettore dell’Interpol. Con questa serie televisiva i registi, infatti, propongono a tutti gli effetti un reboot. I nove racconti scritti da Leblanc nel 1907 sembrano essere un tutt’uno con la storia di vita del protagonista. La serie racconta il vissuto di un uomo che si immedesima in un personaggio della letteratura e, allo stesso tempo, il personaggio di Lupin che sembra materializzarsi nei panni di uomo di colore durante il XXI secolo. La cornice entro cui si sviluppa la vicenda è invece basata su uno dei racconti di Leblanc, ovvero Il collieur della regina, che narra la leggendaria storia della collana reale della regina Maria Antonietta. La medesima collana viene venduta ai conti di Dreux-Soubise i quali ne rimangono proprietari per oltre un secolo, finché non viene rubata.
La vicenda inizia con il quattordicenne Assane Diop e suo padre, che presta servizio come autista e governante presso la nota famiglia Pellegrini. Entrambi sono immigrati senegalesi che cercano di guadagnarsi il rispetto di una società senza scrupoli. In casa Pellegrini sparisce un monile storico, il famoso collier, e dell’accaduto viene accusato il padre di Assane come capro espiatorio. Finito in carcere per un crimine non commesso, si suicida per la vergogna. Rimasto orfano, Assane tempo dopo trova in casa un regalo di compleanno da parte del padre: il romanzo Arsenio Lupin, il ladro gentiluomo. Successivamente egli verrà preso in custodia dagli assistenti sociali. L’azione riprende venticinque anni dopo: Assane è cresciuto e, convinto dell’innocenza del padre, è intenzionato a rendergli giustizia. Nel frattempo la collana è stata ritrovata e Assane escogita la sua elegante vendetta ispirandosi alle avventure di Arsenio Lupin.
Sono molti i riferimenti alle tematiche sociali e culturali presenti nel racconto. Tra i vari temi emergono, con particolare vigore, gli effetti sociali del potere politico nonché il valore della libertà, quella di stampa o, più in assoluto, la libertà come condizione necessaria dell’uomo. In particolare, nella serie televisiva questi due argomenti appaiono quanto mai legati. Infatti, immergendosi nelle storie di vita dei personaggi si scoprirà come all’eccedere di uno (il potere politico) venga negato l’altro (la libertà). Tuttavia emergono anche tratti distintivi come l’ironia. Sfumature che conferiscono un guizzo di leggerezza nei momenti più impensati. Ad esempio, le scenette tra la giornalista Fabienne Beirot e il suo cagnolino, che ha chiamato J’accuse. Non è un caso, dal momento che la stessa aveva pubblicato anni prima un libro-inchiesta contro il politico Pellegrini il quale, come reazione, la fa espellere dall’albo dei giornalisti. Grazie ad Assane, che la rintraccia e la convince a rimettersi in pista, Fabienne ritrova la forza di continuare a lottare ed indagare in nome della verità e della libertà. Ma come un eterno ritorno, la storia si ripete. Nel momento in cui si avvicina alle verità che si celano dietro il nome Pellegrini ed annesse vicende rimaste irrisolte, Fabienne viene trovata impiccata da Assane. Inscenato come suicidio, lo spettatore sa che in realtà si tratta di omicidio ad opera del sicario di Pellegrini. Ancora una volta è il potere politico a sopraffare la libertà.
La storia di Lupin chiama evidentemente in causa il tema della maschera e del doppio. Assane agisce sotto varie identità: Louise Perenna, Paul Servine, tutti anagrammi di Arsene Lupin. Lupin è Assane. Assane è Lupin. Da una parte l’ispirazione e il mondo fantastico, dall’altra la realtà e la vita vera. E quando si è abitati dal doppio c’è il rischio di essere, ad un certo punto, svelati. Come ha insegnato Leblanc nei suoi romanzi, qui è l’arte del travestimento ad indicare la contraddittorietà della metafora. Negli alias utilizzati da Assane, si tratta quasi sempre di identità appartenenti a classi sociali superiori, uomini ricchi e benestanti, facendo emergere il desiderio di integrazione che ha vissuto quando era piccolo, nonché il senso di rivalsa dovuto all’esclusione di cui è stato vittima. Se il Lupin dei romanzi adottava travestimenti perfetti al punto da farli sembrare caricature delle sue “vittime”, in equilibrio tra imitazione ed irrisione ironica o iconica, i travestimenti di Assane si mantengono in bilico tra desiderio di integrazione e – forse – parodia, nell’ottica dell’imitazione del “grande” idolo.
Come nella versione cartoon Zenigata investiga e corre dietro le tracce di Lupin, del quale ormai conosce trucchi, ingegni e travestimenti, nella versione televisiva la polizia indaga ma si ritrova sempre in un vicolo cieco. Solo un ispettore, amante e conoscitore dei romanzi lupiniani, riconosce il modus operandi e “vede” il vero volto sotto le maschere. Se la canzone del cartoon manga cantava l’inafferabile Lupin, in questo caso Assane, per quanto furbo e attento, lascia lungo il sentiero molliche di pane che consentono agli ispettori di risalire a lui. Ma il personaggio di fantasia non era mai emotivamente coinvolto nei suoi furti se non per omaggiare e compiacere la sua amata Fujiko. Assane, invece, agisce camuffandosi in pubblico senza mai realmente nascondere i suoi tratti somatici, lasciandosi anche tradire dall’emozione e dal sentimento e svelando ad un suo ostaggio la sua identità.
Ma chi è davvero quest’uomo? Quali tratti emergono nel corso del racconto che ci consentono di definire il personaggio? Di lui conosciamo poco: ha un figlio cui trasmette la passione per le avventure del ladro gentiluomo, Claire è la donna della sua vita ma con cui non intrattiene più una relazione e, filo rosso degli episodi, la voglia di vendicare il padre. Il rapporto padre-figlio è un altro aspetto molto interessante della trama. È un rapporto che si intuisce in piccoli aspetti e flashback, nei quali la figura del padre è l’unico punto di riferimento, guida e supporto del figlio. Ed è grazie a questa continua rievocazione del passato che si consente allo spettatore di comprendere il background emotivo che anima l’azione del protagonista e, alla luce di questo, si approfondisce la consapevolezza del trascorso di vita di Assane e le motivazioni che lo hanno condotto ad impersonare il mito di Lupin. Assane finisce con l’essere eroe della sua storia e, al contempo, anti-eroe della società, perché il ladro in questione non è colui che rubava ai ricchi per dare ai poveri. Quel che trapela è il senso di rivalsa, riscatto e ribellione. Non c’è un senso di altruismo e di aiuto nei confronti del più debole. Al più, una sorta di “patto d’affari” con il suo miglior amico al quale cede alcuni dei diamanti rubati per la vendita di contrabbando.
In conclusione, la nuova serie tv proposta da Netflix non corre il rischio di confondersi con altri prodotti filmici o televisivi che abbiano già riproposto le avventure del famigerato Lupin alla Leblanc, essendo questa la storia di un uomo della Francia del XXI secolo che vive il mito dell’inafferrabile ladro attraverso una propria caratterizzazione del personaggio e delle sue vicende di vita. Non a caso l’ultimo episodio, pur terminando con un finale aperto, chiude il cerchio ritornando al rapporto padre-figlio che ha attraversato tutti gli episodi. Probabilmente nella seconda stagione potremo assistere ad una evoluzione non solo del personaggio ma anche del suddetto rapporto. Intanto una cosa è certa. L’omaggio letterale a Lupin e al suo inventore Maurice Leblanc è riuscito alla perfezione, con tanto di evocazione finale di cilindro, mantello e monocolo del personaggio della Belle Époque.
Lupin, ideazione: George Kay e François Uzan; sceneggiatura: George Kay, François Uzan, Marie Roussin, Florent Meyer, Tigran Rosine, interpreti: Omar Sy, Vincent Londez, Ludivine Sagnier, Fargass Assandé, Clotilde Hesme, Nicole Garcia, Hervé Pierre, Soufiane Guerrab, Ethan Simon; produzione: Gaumont; distribuzione: Netflix, origine: Francia; anno: 2021.