di CHIARA SCARLATO
L’incredibile storia dell’Isola delle Rose di Sydney Sibilia.
Nel 1974, il Presidente della Repubblica Giovanni Leone approva la sostituzione del secondo articolo del codice della navigazione risalente al 1942, estendendo di fatto il limite delle acque territoriali da 6 a 12 miglia. Ed anticipa quanto sarà ratificato dalla convenzione internazionale sui diritti del mare, firmata a Montego Bay nel dicembre del 1982, in cui viene stabilito che l’acqua non è più uno spazio di circolazione libera: al codice di comportamento navale, si sostituisce un codice giuridico che stabilisce cosa può e deve essere fatto, tracciando dei confini visibili su ciò che più si sottrae a un gesto di inquadramento e suddivisione. È curioso notare come tutto questo abbia a che fare con l’idea di un ingegnere bolognese che, nell’agosto del 1967, inaugura la sua Insulo de la Rozoj, una piattaforma di 400 mt2 posizionata a 6 miglia dalle coste italiane e, più precisamente, nelle acque internazionali di fronte al litorale riminese. È curioso anche notare come l’ingegnere Giorgio Rosa, la cui vicenda è stata ripresa ne L’incredibile storia dell’Isola delle Rose di Sydney Sibilia, in quasi tutte le interviste rilasciate da chi ha avuto modo di frequentarlo, sia ricordato come un personaggio eccentrico, secondo uno stereotipo tipicamente attribuito in quegli anni ai frequentatori della riviera italiana per eccellenza.
Lo stesso Sibilia presenta Rosa (Elio Germano) come un inventore geniale e un po’ matto che non si preoccupa di guidare la vettura che ha progettato e costruito per l’esame di abilitazione – con il divano della nonna al posto dei sedili, senza targa, né documenti (così come lui è sprovvisto di patente) – mentre accompagna a casa l’ignara ex fidanzata Gabriella (Matilda De Angelis). Sarà proprio la donna a redarguirlo mentre percorrono insieme le strade di Bologna e vengono fermati dalla polizia: Giorgio dovrebbe smetterla di costruire giocattoli e provare a essere normale. Tuttavia, dopo pochi mesi, l’uomo utilizzerà quella stessa macchina per raggiungere Strasburgo e chiedere al Consiglio d’Europa di intervenire in una disputa tra Stati sovrani – la sua isola e l’Italia: che cosa c’è di incredibile nella storia dell’Isola delle Rose?
Attraverso un lungo flashback, torniamo indietro di un anno e ripercorriamo tutte le tappe, dal litigio con Gabriella all’idea dell’isola, dalla costruzione della piattaforma alla richiesta di riconoscimento come Stato (inviata all’ONU), fino agli interventi di intimidazione e corruzione da parte dei servizi segreti italiani rivolti a Rosa e ai suoi compagni. I due tempi della narrazione si ricongiungono quando Giorgio offre a Gabriella “la più grande avventura della sua vita: salvare uno Stato indipendente”.
Nella lettura di Sibilia, il rapporto tra i due è centrale al punto che l’isola sarebbe una sorta di dichiarazione d’amore indiretta: Giorgio non partecipa alla rivoluzione per un mondo che non corrisponde ai propri ideali, ma si impegna nella costruzione di un mondo nuovo in cui la libertà è assoluta. Da un punto di vista narrativo, questa scelta consente di tralasciare molti aspetti che appaiono ancora oggi poco chiari nel progetto di Rosa, mettendo in secondo piano le questioni legate a presunti interessi economici e, allo stesso tempo, privilegiando il valore ideale, nonché la complessità tecnica e giuridica del progetto. Certo, anche in questo caso, nella resa cinematografica, è l’intervento censorio di Gabriella – nel film, docente di diritto internazionale – a spingere Giorgio a fondare la Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose nel maggio del 1968, dopo che la donna aveva criticato le modalità di gestione dell’isola, associando il progetto a quello di una grande discoteca. La piattaforma non è più un giocattolo, e forse non lo è mai stato.
Ecco la terra del mare che ritrova la sua indipendenza nella finzione, come nella realtà: l’esperanto come lingua, una moneta che dovrà garantire l’equità degli scambi, un Presidente del Consiglio dei Dipartimenti, cinque Dipartimenti, un inno e una bandiera, francobolli, una banca, un ufficio postale, un negozio, un bar, una grande attenzione mediatica e soltanto cinquantacinque giorni per essere uno Stato libero, prima che il governo italiano prenda la decisione di occuparne militarmente il territorio e di dichiararne la distruzione.
Nelle conversazioni tra Franco Restivo (Fabrizio Bentivoglio) e Giovanni Leone (Luca Zingaretti), Sibilia condensa tutto il significato politico della costruzione di Rosa che viene recepita come un atto di insubordinazione alla libertà affermata, sancita e riconosciuta dalla Costituzione italiana e dagli organi ecclesiastici, in aggiunta alla minaccia economica – soprattutto per l’eventualità che altri possano adottare la struttura progettata da Rosa per delocalizzare attività commerciali ed eludere il pagamento delle tasse. Ora non si tratta più soltanto di contrastare l’attenzione mediatica sui “misteri dell’isola”: la piattaforma diventa un simbolo e un luogo reale da abitare laddove l’acqua riesce a unire ciò che è impossibile unire in terra, come dimostrano le centinaia di lettere con la rinuncia alla cittadinanza che raggiungono non soltanto il governo italiano, ma anche i governi francese, tedesco e americano.
Nell’unico contatto diretto tra Restivo e Rosa (una telefonata alla segreteria del Consiglio d’Europa mentre l’ingegnere è a Strasburgo), il discorso si concentra proprio sul diritto e sulla libertà: da un lato, l’esperienza di Restivo che ha – simbolicamente – limitato la sua libertà personale per “scrivere una serie di frasette numerate che avrebbero costituito le fondamenta della Repubblica che stava per nascere”, tenendo ben presente il calcolo di “tutte le variabili” perché “basta sbagliarne una che crolla tutto” e “la libertà svanisce”; dall’altro lato, Rosa che vorrebbe essere “l’eccezione a quel calcolo perfetto” proponendo il modello di una libertà assoluta a quella condizionata dalla legge. A questo punto la risposta del Ministro è netta: “Tu hai fondato uno Stato e pure io. Sai qual è la differenza tra i nostri due Stati?”: l’arsenale bellico.
Rosa lascia Strasburgo e raggiunge l’isola insieme a Gabriella: con il rumore degli elicotteri e delle sirene in sottofondo, la sequenza in cui diversi giornalisti raccontano di trovarsi di fronte alla “resa dei conti tra lo Stato italiano e la sedicente Isola delle Rose” evidenzia il valore spettacolare della vicenda, così come è spettacolare il modo in cui i compagni di Rosa approdano sulla piattaforma per difendere l’isola. E, in risposta alle cannonate, formano tutti insieme una catena umana: stavolta, in sottofondo, c’è Eve of Destruction (1965) di Barry McGuire, a rafforzare la contrapposizione tra due modi di intendere la libertà, ma anche tra terra e mare, diritto e immaginazione.
Malgrado le evidenti differenze, c’è una certa assonanza narrativa tra il modo in cui Sibilia racconta la storia di Giorgio Rosa e quella del gruppo di ricercatori precari guidato da Pietro Zinni (Edoardo Leo) in Smetto quando voglio (2014): l’insoddisfazione e la volontà di fare qualcosa di concreto per cambiare quanto è intorno, la presenza di un vuoto legislativo, l’opposizione da parte dell’ordine statale. Tuttavia, la storia di Rosa è più incisiva proprio perché riesce a dare una forma concreta a un racconto, superando così lo spazio della sola rappresentazione.
Non si vive in uno spazio neutro e bianco; non si vive, non si muore, non si ama nel rettangolo di un foglio di carta. Si vive, si muore, si ama in uno spazio quadrettato, ritagliato, variegato, con zone luminose e zone buie, dislivelli, scalini, avvallamenti e gibbosità, con alcune regioni dure e altre friabili, penetrabili, porose. Ci sono le regioni di passaggio, le strade, i treni, le metropolitane; ci sono le regioni aperte della sosta transitoria, i caffè, i cinema, le spiagge gli alberghi, e poi ci sono le regioni chiuse del riposo e della casa. Ora, fra tutti questi luoghi che si distinguono gli uni dagli altri, ce ne sono alcuni che sono in qualche modo assolutamente differenti; luoghi che si oppongono a tutti gli altri e sono destinati a cancellarli, a compensarli, a neutralizzarli o a purificarli. Si tratta in qualche modo di contro-spazi (Foucault 2006, p. 12).
Più che un’utopia, l’Isola delle Rose è stata l’avvento testimoniale dell’eterotopia: riprendendo quanto Foucault affermava durante la conferenza radiofonica del 7 dicembre 1966 su citata, un’eterotopia è un luogo reale in cui viene materialmente spostato e trasferito ciò che è deviante rispetto a una certa norma sociale, ma anche uno spazio limitato – sia geograficamente, sia temporalmente – in cui è concesso deviare dalla norma. Questo accade nel cinema, «una grande sala rettangolare, in fondo alla quale, su uno schermo che è uno spazio a due dimensioni, viene proiettato uno spazio che è nuovamente a tre dimensioni» (ivi, pp. 18-19). Dalla costiera romagnola, l’Isola delle Rose era la proiezione eterotopica dell’Italia emersa dal mare: uno spazio raggiungibile e paradossale nella sua doppia natura immaginifica e concreta fino al 22 febbraio del 1969, giorno in cui l’isola viene abbattuta da una mareggiata, dopo essere stata parzialmente danneggiata dalle cariche esplosive posizionate sui piloni della piattaforma dalla Marina Militare nel mese di gennaio.
Per lungo tempo, l’acqua è stata custode di rituali e pratiche di allontanamento e purificazione: era il confine del mondo conosciuto, il ponte di guerra, l’annuncio di morte e di vittoria, il rifugio di chi non era ammesso nella terraferma e trovava la sua casa nel passaggio da un porto all’altro. Che cos’è oggi l’acqua per noi? La distesa che vediamo dalla spiaggia, il ristoro di un bagno caldo, l’adesione a una religione e poco altro. Per Rosa, l’acqua era un’affermazione di libertà, come a dire che si può concretamente pensare un altro ordine delle cose, senza per forza abituarsi o adattarsi a quello che capita di incontrare una volta nati.
Riferimenti bibliografici
M. Foucault, Utopie, eterotopie, Cronopio, Napoli 2006.
G. Rosa, L’isola delle Rose. La vera storia tra il fulmine e il temporale, Persiani, Bologna 2020.
W. Veltroni, L’isola e le rose, BUR, Milano 2013.
L’incredibile storia dell’Isola delle Rose. Regia: Sydney Sibilia; sceneggiatura: Sydney Sibilia, Francesca Manieri; fotografia: Valerio Azzali; montaggio: Gianni Vezzosi; musiche: Michele Braga; interpreti: Elio Germano, Matilda De Angelis, Leonardo Lidi, Fabrizio Bentivoglio, Luca Zingaretti, François Cluzet, Tom Wlaschiha, Alberto Astorri, Violetta Zironi, Ascanio Balbo, Marco Pancrazi, Fabrizio Rongione, Andrea Pennacchi, Federico Pacifici, Christian Ginepro, Luca Della Bianca; produzione: Groenlandia; distribuzione: Netflix; origine: Italia; durata: 117’.