Nella fotografia italiana del Secondo dopoguerra, Ugo Mulas percorre una traiettoria complessa e al contempo cristallina, un percorso di grande coerenza e linearità che lo conduce a riflessioni e lavori tra i più rilevanti degli anni sessanta e settanta. Attento osservatore e attivo protagonista di quella stagione culturale, ne ha captato con acume e profondità le dinamiche, i movimenti intellettuali, le direzioni di ricerca e di creazione, passando dall’iniziale adesione a una fotografia di matrice documentaria e neorealista a un approccio di marca concettuale, culminato nel celebre ciclo delle Verifiche (1968-1972). Ripercorrere questa traiettoria individuale significa dunque tagliare trasversalmente correnti, indirizzi ed idee che muovono l’intero panorama artistico dell’epoca.

La mostra attualmente presentata a Palazzo Reale a Milano – dopo essere passata da Venezia – Ugo Mulas. L’operazione fotografica, a cura di Denis Curti e Alberto Salvadori, espone circa 250 scatti del fotografo bresciano ma milanese d’adozione, in un percorso per nuclei tematici che dà conto della centralità riconosciuta a Mulas nella fotografia italiana. Il titolo della mostra, che richiama quello della Verifica 2. L’operazione fotografica. Autoritratto per Lee Friedlander, pone l’accento sull’atto fotografico, in cui metalinguisticamente il fotografo è al contempo autore e soggetto dell’immagine. La fotografia stessa, intesa come connubio di una praxis e di una teoria che procedono in simbiosi, è infatti il fulcro fondamentale dell’opera e della poetica di Mulas.

Con le quattordici Verifiche, ognuna dedicata a una persona precisa, incluse figure centrali per il medium come i fratelli Alinari o Marcel Duchamp, Niépce o Man Ray, Mulas ripercorre idealmente alcune tappe storiche della fotografia per evidenziare le qualità linguistiche e strutturali del medium. Dall’ingrandimento e dalla pellicola agli obbiettivi, dalla didascalia all’autoritratto, dagli usi sociali dell’immagine fotografica allo sviluppo in laboratorio, le singole componenti dell’operazione fotografica sono dissezionate per far emergere una riflessione teoretica e critica, condotta attraverso le immagini: un’autentica metafotografia che riflette su sé stessa, divenendo elaborazione intellettuale in atto sullo sguardo fotografico.

Già Italo Zannier osservava che con le Verifiche Mulas innalza un definitivo muro contro l’idea ancora positivista della fotografia come trascrizione meccanica del reale, dimostrandone la capacità filosofica di essere mezzo di elaborazione del pensiero astratto; lo stesso fotografo, in una lunga conversazione con Arturo Carlo Quintavalle, ripercorre le Verifiche ragionando sulla figura del fotografo non solo come cacciatore di immagini o testimone di eventi, ma come artista intellettuale che opera una trascrizione del mondo attraverso un linguaggio solo apparentemente mimetico. In definitiva, come scrive Cristina Casero, «ogni tassello del discorso visivo di Mulas conduce anzitutto alla contezza del fatto che l’immagine fotografica è il risultato di una scrittura, che si fa seguendo delle regole e delle condizioni che vincolano necessariamente lo sguardo del fotografo; ma asserisce anche che essa è un oggetto, fisico, e non può essere identificata con quanto rappresenta» (Casero 2021, p. 44). In questo senso, l’esposizione nella mostra di Palazzo Reale di alcune prove antecedenti al ciclo delle Verifiche, conservate nell’Archivio Mulas e mai esposte prima, esplicitano la volontà dell’autore di considerare la fotografia tanto nella sua materialità (il rullino e la pellicola, soggetti di queste prove), quanto nella sua funzione di partitura sulla quale trascrivere la realtà in sequenza iconica, secondo un accostamento tra fotografia e musica già indicato da Germano Celant per l’operato di Mulas.

In questo lavoro di decostruzione e analisi del medium nelle sue componenti linguistiche, Mulas si inserisce perfettamente nel clima artistico degli anni sessanta e settanta, che d’altra parte conosceva benissimo. L’esposizione milanese sottolinea ampiamente i profondi contatti e le lunghe collaborazioni del fotografo con il mondo dell’arte, tanto da essere spesso considerato un “fotografo d’artisti”. Grande ritrattista, ha immortalato i maggiori creatori dell’epoca, anche in questo caso ponendo particolare attenzione alla dimensione processuale, all’aspetto operativo del fare artistico. Basti ricordare la sequenza L’Attesa, realizzata nello studio di Lucio Fontana, in cui con pochi scatti Mulas si focalizza sull’atto – squisitamente concettuale – del taglio della tela. Lo stesso Mulas ricordava che fu proprio la frequentazione dello studio milanese di Fontana negli anni cinquanta a fargli capire come la creazione artistica è anzitutto un processo intellettuale: quando Fontana taglia la tela, è solo il gesto concreto e finale di una lunga operazione concettuale, già avvenuta.

La predilezione per gli artisti accompagnerà tutta la carriera del fotografo, che documenterà anche numerose edizioni della Biennale d’Arte di Venezia o mostre e performance che segnano il panorama artistico, come Campo urbano a Como, curata da Luciano Caramel nel 1969. Ritrae gli artisti nei loro atelier, tra gli oggetti della quotidianità creativa, circondati dalle opere in fase di realizzazione, dagli oggetti del mestiere. Durante il suo lungo soggiorno americano iniziato nel 1964, durante il quale viene in contatto soprattutto con la Pop Art, fotografa tra gli altri Jasper Johns, Robert Rauschenber, Claes Oldenburg, Alexander Calder nel grande fienile che funge da atelier per i suoi mobiles. Particolarmente feconda è la relazione con Andy Warhol e la sua Factory, alla quale Mulas dedica un’ampia copertura fotografica. Su questi ritratti – come su tutti gli scatti esposti in mostra – domina una vena di sottile e divertita ironia condivisa con i suoi soggetti, oltre che la capacità di travalicare sempre la funzione di semplice documentazione, creando immagini percorse da una tensione intellettuale, trasmessa all’osservatore.

Il soggiorno americano consente a Mulas di riformulare l’attitudine da fotoreporter con la quale aveva mosso i primi passi nell’Italia. Come la New York del mondo dell’arte, anche la Milano dei circoli artistici di inizio anni cinquanta – in particolare la cerchia riunita attorno al celebre bar Jamaica di via Brera – sono stati oggetto assiduo della sua macchina fotografica. L’intera città, colta nel momento di transizione dalla ricostruzione postbellica, con i segni dei bombardamenti e della miseria lasciata dal conflitto, all’imminente modernità del boom economico, è protagonista del primo decennio della sua attività. Allineandosi a un indirizzo di riscoperta del reale di stampo (neo)realista, Mulas si cimenta anche con dei fotoreportage per alcune riviste illustrate: molto belli e significativi gli scatti presentati in mostra e riferiti a un servizio dall’Unione Sovietica, realizzato a Mosca.

La complessità di una figura come quella di Ugo Mulas è dunque difficilmente contenibile all’interno di coordinate troppo rigide, dal momento che per lui l’iniziale ideale di scoperta fotografica della realtà fluisce verso una progressiva problematizzazione metalinguistica del medium e del rapporto tra immagine e reale, con un passaggio reso possibile grazie allo stringente dialogo che intesse con le ricerche artistiche più avanzate, a cui contribuisce in prima persona. Per questo, pur nella ricchezza tipologica della selezione di scatti esposta, l’organizzazione del percorso espositivo rischia di non rendere giustizia a una traiettoria così unica sulla scena fotografica italiana.

In particolare, la scelta di porre in apertura la sala delle Verifiche, introducendo il visitatore all’esposizione con l’opera più famosa ma anche più complessa e stratificata di Mulas, appare poco convincente: optare per un percorso dall’impostazione più cronologica avrebbe consentito di condurre il visitatore (non necessariamente esperto di questioni di fotografia concettuale, o di dinamiche storiche della fotografia italiana) a comprendere meglio come Mulas passi dal fotoreportage, attraverso il rapporto con il mondo dell’arte italiana e americana, alle elaborazioni finali e profondamente autoriflessive sull’“operazione fotografica”. 

Riferimenti bibliografici
C. Casero, Uno sguardo che riflette. Ricerche di fotografia concettuale in Italia tra gli anni Sessanta e Settanta, Meltemi, Milano 2021.
G. Celant, Ugo Mulas, Motta Ed., Milano 1989.
U. Mulas. Immagini e testi, con una nota critica di A. C. Quintavalle, Istituto di Storia dell’Arte, Parma 1973.
I. Zannier, La fotografia italiana. Critica e storia, Jaca Book, Milano 1994.

Ugo Mulas. L’operazione fotografica, mostra a cura di Denis Curti e Alberto Salvadori, Palazzo Reale, Milano, 10 ottobre 2024 – 2 febbraio 2025.

L’immagine all’interno dell’articolo è un dettaglio di: Verifica 13 Autoritratto con Nini. A Melina e Valentina, 1972. © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano. Fonte: https://www.palazzorealemilano.it/mostre/loperazione-fotografica.

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