Anche quest’anno, nel programma della Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, si è avuta la possibilità di avere le Lezioni di storia a cura del programmatore e storico del cinema Federico Rossin, che a questo proposito dice:
Ho concepito le Lezioni di storia, fin dalla loro prima edizione nel 2016, come un laboratorio politico-sperimentale del cinema, in cui programmare vedere analizzare in tutta libertà delle forme non industriali, non conformi, non finzionali del cinema dal dopoguerra agli anni 80. Che questo percorso sia tutto dentro nella marginalità della storia e contro le sue narrazioni ufficiali, era cosa scontata fin dall'inizio: il cinema femminista, quello post-coloniale, la sperimentazione oltre il Muro, il videoteppismo italiano anni '70, le frange più estreme e meno note del New American Cinema, il ‘68 non monumentalizzato.
Nell’edizione 2023, l’attenzione di Rossin si è rivolta al cinema “differente” di tre Paesi dell’Est Europa sotto la guerra fredda: Polonia, Ungheria e Romania. Nelle parole del curatore, raccolte nel catalogo della mostra, «Una panoplia di film sorprendenti in dialettica aperta con il cinema d’autore internazionale, con il cinema commerciale dei paesi capitalisti, e con il realismo socialista d’oltrecortina». E ancora: «Tre esperienze nate grazie al finanziamento pubblico delle scuole di cinema durante gli anni del socialismo, ma tre esperienze di liberazione dalla propaganda e dagli stilemi del cinema commerciale tout court».
In merito alla sezione polacca, l’istituzione a cui fa riferimento Rossin è un circolo di artisti dentro la celebre scuola nazionale di cinema, televisione e teatro di Łódź, ovvero il Warsztat Formy Filmowej, traducibile con “Laboratorio della forma cinematografica”. Si tratta di una esperienza d’avanguardia importante, durata fino al 1977, con connessioni con la videoarte e il cinema strutturale, svincolata dalla letteratura e dalla centralità della narrazione. I cortometraggi che si sono potuti vedere sono i seguenti: Zaprzeczenie [Negation] (R. Wasko, 1973); Prostokat dynamiczny [The Dynamic Rectangle] (J. Robakowski, 1971); Kwadrat [The Square] (Z. Rybczynski, 1972); Konfrontacja [Confrontation] (T. Junak, 1972); Ja i telefon [The Telephone and I] (P. Kwiek, 1972); Okno [Window] (R. Wasko, 1972); Rynek [The Market] (J. Robakowski, 1970); Obszar [An Area] (K. Bendkowski, 1973); Ide [I Am Going…] (J. Robakowski, 1973); Podroz Waclawa Antczaka do kiosku przy ulicy Glownej [Mr Antczak’s trip to the kiosk in Glowna Street] (R. Wasko, 1973); Centrum [Center] (Kazimierz Bendkowski, 1976); Take Five (Z. Rybczynski, 1972); Chodnik [Walkway] (R. Wasko, 1972); 1,2,3… Cwiczenie Operatorskie [1,2,3… Cinematographer’s Exercises] (Pawel Kwiek, 1972); Od A do B, od b do A [From A to B and Back to A] (R. Wasko, 1974); YYAA (W. Bruszewski, 1973).
Per quanto riguarda invece l’Ungheria, tutti i film mostrati a Pesaro condividono la medesima origine, il Béla Balázs Stúdió (BBS): senza dubbio, il maggior laboratorio ungherese per un cinema diverso (tendenzialmente di ricerca) nel secondo dopoguerra, oltre che una delle esperienze più radicali e riuscite di fare un cinema autenticamente libero in Europa, dai suoi inizi nei primi anni sessanta fino – almeno – a tutti gli anni settanta e i primi ottanta (in quel decennio gli interessi sembrano spostarsi altrove: per esempio, videoarte, televisione, narrazione).
Rossin aveva già curato – in grande – una retrospettiva molto ricca sul BBS (Lussas 2021) e, quando possibile, ha sempre ricordato come quanto fatto dagli ungheresi fu frutto di una iniziativa autogestita ma con un sostegno economico da parte dello Stato, che poteva certamente limitare la distribuzione ma lasciava molto campo libero nella produzione. Rispetto alla sezione polacca, il numero dei film ungheresi visti è stato minore. I titoli: Visus (P. Timar, 1976); Study I. (J. Toth, 1974); Hajnal (Andante) [Down] (A. Szirtes, 1979); Round (Z. Jeney, 1975); Triolak [Triolets] (D. Maurer, 1980); Aldrin üropera [Aldrin Opera] (G. Bódy, 1976).
Infine, il focus sulla Romania si è incentrato sull’esperienza di kinema ikon, laboratorio satellite multimediale della Scuola d’arte di Arad (Transilvania), nato nel 1970 prima come cineclub (Atelier 16) e poi via via diventato un gruppo eterogeneo al cui centro gravitava il suo fondatore, George Săbău, professore di Estetica ad Arad e uomo che fu capace di attirare diversi talenti. Come ricorda Rossin, Atelier 16 riuscì ad avere finanziamenti statali come incentivi per attività extracurriculari, soldi che i membri del gruppo dovevano tendenzialmente utilizzare per girare documentari per lo Stato; un compito che svolgevano ma risparmiando sulla pellicola, dal momento che ne utilizzavano di media metà e con l’altra metà, invece, realizzavano i propri film sperimentali. A Pesaro si sono visti: Autopsia uitarii [Autopsy of Forgetting] (I. T. Morar, 1977); Exercitiu subliminal [Subliminal Exercise] (A. Pecican, 1979); Ilumin ri [Lighting] (I. Pleș, 1981); Imblinizitorul de serpi [The Snake Charmer] (E. Ţeţ, 1981); Pulsioni [Pulsations] (M. Muntean, 1983); Convergenta spre inutil [Convergence towards futility] (C. Ostafi, 1984); Autoportret [Self-Portrait] (I. Stroia, 1984); Studiu 1. Detalii [Study 1. Details] (I. Galea, 1986); Ocular (V. Simulov, 1985); Fragmentarium (G. Săbău, 1985-1990); Mise en ecran (R. Chereche, V. Simulov, L. Trandabur, 1989).
Ora, fra le strategie di lettura possibili del programma di Rossin, si può certamente porre l’accento sulla qualità delle singole cinematografie. E allora, magari, si potrebbe ipotizzare che i film targati BBS siano forse quelli più “perfetti”, compiuti, dentro un macro-ambito – quello che per mancanza di termini più precisi, potremmo definire sperimentale – che per sua natura include opere intrise di una poetica che tende, fra le altre cose, all’incompiuto. Oppure: si potrebbe guardare ammirati ai formalismi polacchi. Oppure: si potrebbe rimanere divertiti, incuriositi, o magari coinvolti dai funambolismi visionari rumeni. Un altro modo di analizzare il programma potrebbe però essere quello di focalizzare l’attenzione critica su di un piano interpretativo diverso: per esempio, sul rapporto estetica-nazione in senso lato. E quindi: esperienze come il Warsztat Formy Filmowej, il BBS, e Atelier 16/kinema ikon ci dicono qualcosa dei Paesi in cui hanno avuto luogo e si sono sviluppate? E se sì, cosa? Da questo punto di vista, il discorso da fare è un discorso che non può che deviare da certi canoni di studio che si focalizzano su specifici immaginari simbolici o mediazioni filosofiche per individuare tratti estetici afferenti a questa o quella cultura.
Non si può che deviare da questi canoni perché, con queste “lezioni”, si ha a che fare con idee di cinema che per loro natura si sottraggono alla narrazione come strumento principale di trasmissione di significati. L’analisi però è possibile. In merito, la curatela di Rossin ci suggerisce senza dubbio qualcosa. Per esempio, che nell’Europa sotto il Comunismo ci siano stati casi in cui collettività e libertà, sul piano creativo, hanno trovato sintesi feconde. E anche che certe immagini “parlino” nel loro “silenzio”. Come – per esempio – nel caso di kinema ikon, i cui film, visti cronologicamente, indicherebbero una tendenza alla frammentazione e alla cupezza che può essere interpretata come un rifiuto nel mostrare immagini del regime di Ceaușescu, registrandone comunque la presenza sottotraccia, come un sintomo di malessere.
Chiaro: sono solo suggestioni, che però arrivano più e meglio di certe lezioni cattedratiche, visto come la saletta Pasolini del Teatro Sperimentale è stata riempita in tutte le proiezioni, e con tanti giovani fra gli spettatori.
Riferimenti bibliografici
M. Kuźmicz, Ł. Ronduda, Workshop of the Film Form/Warsztat Formy Filmowej, Les presses du réel, Dijon 2018.
G. Gelencsér, a cura di, BBS 50. Essays for the 50th Anniversary of Balázs Béla Studio, Budapest, 2009.
G. Săbău, Istoria proiectului kinema ikon 50, Dark Publishing, Bucharest 2021.