Parlare di Leonardo partendo dallo sguardo, dal suo sguardo costantemente e incessantemente alla ricerca della conoscenza, e dal disegno come medium. È questa la linea seguita da Giuseppe Di Napoli in Leonardo. Lo sguardo infinito, edito da Einaudi, dove vengono studiate e presentate le «metodologie della visione e della figurazione che Leonardo ha elaborato e introdotto nella storia della ricerca scientifica e artistica» (Di Napoli 2019, p. XIX). Lettura sicuramente complessa che attraversa le molteplici declinazioni della produzione vinciana, grazie ad un’attenta analisi dei documenti manoscritti, spesso riportati nel testo e nelle note. La vastissima mole di scritti che sono confluiti in raccolte sparse per il mondo – disponibili in rete grazie alla digitalizzazione o al più completo archivio digitale di tutti i manoscritti –, ha da sempre costituito la fonte principale per affrontare lo studio di una figura così complessa e di questo testo ne costituisce un nucleo fondamentale, unitamente alle numerose immagini proposte.

Per Leonardo, più che per ogni altro artista, il disegno ha un ruolo sostanziale e necessariamente, in una qualsiasi mostra a lui dedicata, i suoi studi devono accompagnare i dipinti. Anche nel caso di quella recente conclusasi il 24 febbraio al Musée du Louvre, semplicemente intitolata Leonardo da Vinci, 1452-1519, buona parte delle opere esposte era costituita dai suoi disegni, oltre che da riflettografie a infrarossi di dipinti a grandezza naturale (anche non presenti nell’esposizione), ulteriore tassello utile per analizzare il processo creativo e i frequenti ripensamenti dell’artista.

Con analogo rigore scientifico Di Napoli ha declinato il tema dello sguardo e le forme del disegno nelle loro molteplici relazioni ed evoluzioni, attraversando gli scritti di Leonardo e i suoi disegni ma anche lo stato della conoscenza al tempo di da Vinci.

I sette capitoli del volume partono dalla questione delle teorie della luce e dalle conoscenze scientifiche sull’occhio fino all’epoca dell’artista. Il primo capitolo, La visione e l’ottica ai tempi di Leonardo, costituisce una attenta disamina delle teorie sulla vista e sulla visione precedenti l’epoca dell’artista-scienziato: la teoria emissiva e quella intromissiva, i primi concetti sulla prospettiva introdotti da Euclide nei trattati Ottica e Catrottica, e i trattati del mondo scientifico arabo apparsi intorno all’anno Mille. Ma, soprattutto, il contributo originale di Leonardo «il cui sguardo era costantemente rivolto verso nuovi orizzonti della conoscenza», «sempre intento a osservare cose, forme, fenomeni e meccanismi in gran parte appena sfiorati, se non del tutto ignorati, dagli studiosi che l’avevano preceduto e dalla ricerca scientifica del suo tempo» (Di Napoli 2019, p. 11).

Si comincia così anche a delineare la figura complessa di Leonardo, che sfugge ad un’univoca definizione ma, al contrario, attira a sé appellativi che spaziano dall’artista al genio, dal maestro d’armi (titolo che sfruttò nel suo curriculum, il primo falso della storia come ricorda l’autore, quando con una lettera si presentò così a Ludovico il Moro) al trattatista, dall’ingegnere allo scienziato, per quest’ultima anticipando la concezione moderna della conoscenza scientifica basata sul metodo sperimentale, all’inventore e infine filosofo per il possesso di competenze matematiche, meccaniche, ottiche e acustiche.

Nel suo metodo scientifico Leonardo non separa mai lo studio e la comprensione della natura dal mezzo di conoscenza (l’anatomia dell’occhio e i meccanismi della percezione visiva), dallo studio delle qualità visive, luministiche e cromatiche del fenomeno o dell’oggetto osservato (fenomenologia), dalla natura fisica delle proprietà ottiche e materiche (ontologia), mentre si interroga sulle origini, le cause e i processi della sua genesi (primo motore) e sulle finalità, il suo destino, all’interno di una cornice più generale delimitata da quelle che egli chiama “le ragioni della natura” (metafisica) (ivi, p. 11).

Ed è proprio il suo continuo interrogarsi, la incessante richiesta del perché, il vero motore della sua insaziabile ma anche incantata voglia di conoscenza che può essere soddisfatta solo attraverso l’osservazione della natura e dei suoi fenomeni e delle sue continue variazioni per farsi abitare da «una folla di esseri, da una folla di ricordi possibili, e dalla forza di riconoscere, entro la distesa del mondo, un numero straordinario di cose distinte e di sistemarle in mille modi» (Valéry 2007, p. 36).

Il testo declina, dunque, le diverse forme dello sguardo e del disegno, La visione e l’ottica ai tempi di Leonardo (capitolo I), Lo sguardo fenomenologico (capitolo II), Lo sguardo euristico (capitolo III), “Ho fatto prova disegnando” (capitolo IV), La visività del disegno (capitolo V), Lo sguardo assoluto (capitolo VI), per concludere con L’infinito sfumato nel nulla (capitolo VII).

L’autore sistematizza la pluralità di sguardi riprendendo i differenti studi dell’eroe vinciano, per dirla con Valery, inserendoli nei vari capitoli a seconda dell’argomento trattato. I testi e le immagini dei disegni di Leonardo, provenienti da raccolte diverse, accompagnano lo scritto di Di Napoli e trovano un’organizzazione tematica all’interno di ogni capitolo secondo le declinazioni precedentemente indicate. Si definisce così una scrittura che evidenzia le evoluzioni del pensiero di Leonardo, i ripensamenti, gli approfondimenti di un ricercatore che «non si accontenta di descrivere e contemplare il mondo visibile che ha davanti a sé, ma vuole fondamentalmente conoscere e capire i suoi stessi mezzi conoscitivi, vuole capire come si conosce, attraverso quali procedimenti e quali organi giungiamo a conoscere» (Di Napoli 2019, p. 13).

«L’attività del suo intelletto si introduce in ogni fessura del sapere» scriveva Valery (Valéry 2007, p. 35), per affrontare con uguale rigore scientifico lo studio per la rappresentazione della Vergine o dei vortici di una tempesta grazie ad uno sguardo plurimo, assoluto, fluido e versatile, come ci ricorda l’autore. Leonardo riesce ad indagare e a fissare i risultati delle sue ricerche non solo attraverso lo scritto ma anche e soprattutto attraverso il disegno che costituisce per lui «un procedimento di figurazione continua, un medium di trasfigurazione in forma grafica dei processi di cognizione visiva in atto, una visualizzazione dei ragionamenti e dei pensieri dell’occhio nel momento stesso in cui affiorano nella mente del disegnatore in base a una propria logica immaginativa» (Di Napoli 2019, pp. 55-56).

Vedere e pensare coincidono e innescano il meccanismo dell’analogia che ha consentito all’omo sanza lettere e disciepolo della sperienza di attingere dall’archivio del sapere costruito autonomamente proprio attraverso l’osservazione. Anche Valery si sofferma sulla potenza dell’analogia e sulla capacità di far coesistere e combinare le diverse visioni, e dunque tutto deve partire dalla semplice contemplazione, passare per la constatazione, suscitare l’interesse, soffermarsi e restituire l’energia con l’intervento del pensiero individuale.

Leonardo ha inventato nuove forme di disegno, anticipando moderni modi di visualizzazione per la rappresentazione delle sue indagini e del suo pensiero. In particolare per gli studi dell’anatomia sperimenta due metodologie che, secondo gli studiosi corrisponderebbero a due forme di ricerca, una deduttiva (la rappresentazione derivata dalle descrizioni teoriche), e una seconda induttiva (la dissezione dei corpi e la loro rappresentazione). Di Napoli osserva che in particolare nel metodo induttivo Leonardo sia stato spinto a definire nuove forme di rappresentazione indotte dalla sequenza delle azioni della pratica dissettiva che nel disegno consentono di vedere in modo chiaro e distinto, grazie alla selezione e alla pulizia che la visione diretta paradossalmente non permette.

Figurare e descrivere diceva Leonardo, dove «“figurare” precede “descrivere” perché è innanzitutto assegnato al disegno il compito di presentare in forma visibile l’oggetto indagato, e soltanto in un secondo momento è convocata la parola a integrare ed eventualmente precisare quel che dovesse non ancora risultare esaustivo» perché figurare non significa semplicemente rappresentare riproducendo, ma far «vedere ciò che appare visibile solo disegnandolo» (ivi, pp. 132 e 134).

Ed ecco che ne Il cranio sezionato abbiamo una visione completa dello stesso attraverso uno spaccato tridimensionale, negli Studi del cranio e del cervello e dei genitali maschili la sequenza delle varie parti con un esploso, l’indicazione per la rappresentazione dell’anatomia di mani e piedi di osservare e rappresentare da sei punti di vista, quattro per le viste ortogonali, le altre due per l’interno o l’esterno; o ancora inventa «il disegno che rende trasparente i corpi, sottoponendo a un processo di trasformazione ottica tanto i tessuti organici quanto i materiali inorganici. […] Prescrive che si debbano esplorare e disegnare sempre le ossa e la struttura osteologica, per poi passare successivamente ai muscoli» (ivi, p. 137).

L’ultima parte del testo è dedicata allo sfumato riportando il Vinciano nell’ambito della pittura da intendere anche come sintesi estrema delle forme dello sguardo e del disegno. Il settimo capitolo, dal titolo suggestivo L’infinito sfumato nel nulla, si apre con un’interessante e verosimile interrogativo sulla possibilità che Monet avesse letto questo testo conservato tra i Manoscritti della Bibliothèque de l’Institut de France, che proietta Leonardo ancora una volta in avanti come anticipatore di osservazioni, indagini e approfondimenti futuri:

«Se vedrai una donna vestita di bianco in fra una campagna, quella parte di lei che fia veduta dal sole, il suo colore fia chiaro in modo che darà in parte, come il sole, noia alla vista, e quella parte che fia veduta dalla aria luminosa per li razzi del sole tessuti e penetrati in fra essa, perché l’aria in sé è azzurra, la parte della donna vista da detta aria parrà prendere in azzurro. Se nella superfizie della terra visina fia prati e che la donna si trovi in fra ‘l prato alluminato dal sole e esso sole, vederai tutte le parte d’esse pieghe che possano essere viste dal prato, tignersi per razzi refressi in nel colore d’esso prato: e così si va trasmutando in né colori de’ luminosi e non luminosi obietti vicini» (ivi, p. 225).

Sembra proprio di vedere Femme à l’ombrelle tournée vers la gauche e Femme à l’ombrelle tournée vers la droite di Monet ma anche i contorni azzurri che definiscono i corpi dei bagnanti e delle bagnanti di Cézanne e questa volta il descrivere ha preceduto, e di tanto, il figurare

In questo capitolo convergono, infatti, le questioni relative alla visibilità, alla luce, alla loro rappresentazione prospettica dello spazio e all’uso dei colori, alla rappresentazione dei volti che lo ossessiona e delle loro espressioni, allo studio delle ombre. Ancora per queste ultime un’anticipazione dei temi dell’impressionismo quando scrive che la «pariete priva al tutto d’ogni colore, si tinge del colore delli suoi obbietti» introducendo l’intuizione delle ombre colorate. E finalmente la definizione dello sfumato come ciò che «rende visibile, con la sua divisibilità, la transizione continua della luce all’ombra: un infinito locale» (ivi, pp. 244 e 250).

Testo ricco, dunque, che come dichiarato nella premessa, si propone come uno studio sulle metodologie della visione e della figurazione.

«E quanto al vero Leonardo… chissà mai come è stato. Tuttavia, questo mito più strano di qualsiasi altro, ci guadagna enormemente ad essere trasposto dalla favola alla storia. Quanto più si procede nel tempo e tanto più egli si fa grande» (Valéry 2007, p. 105).

Riferimenti bibliografici
P. Valéry, Introduzione al metodo di Leonardo da Vinci, a cura di S. Agosti, Abscondita, Milano 2007.

Giuseppe Di Napoli, Leonardo. Lo sguardo infinito, Giulio Einaudi Editori, Torino 2019.

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