Lussas, paese di un migliaio di abitanti della campagna francese, è un luogo singolare. Insieme alle più ordinarie attività agricole e alla modesta economia della villeggiatura estiva, da più di trent’anni è divenuto sede di un festival internazionale di cinema documentario cresciuto fino a diventare un punto di riferimento continentale. Accanto a grandi festival urbani come il Cinéma du Réel a Parigi o il FID a Marsiglia, Les états généraux du cinéma documentaire si sono imposti sulla scena festivaliera transalpina nutrendo ed indirizzando la circolazione del cinéma documentaire de création. Un tale evento non ha lasciato indenne il tessuto socio-economico di questo centro campagnolo in cui nella restante parte dell’anno si alternano numerose altre occupazioni legate a questo settore cinematografico: una formazione specialistica, una piattaforma di catalogazione, una casa di produzione… E, da circa tre anni, l’esperimento di una piattaforma SVOD specificamente consacrata a questo tipo di film: Tënk.

Essendo la sensibilità per certi luoghi uno dei motori creativi per eccellenza del proprio cinema, la cineasta Claire Simon (ben nota oltralpe) non ha potuto resistere al fascino di questa micro-capitale del mondo documentario internazionale. Parecchie opere della documentarista francese si strutturano attorno ad un particolare spazio collettivo destinato a divenire l’elemento coesivo principale della loro drammaturgia. Si pensi ai suoi esordi in un cortile scolastico (Récréations, 1993), oppure al suo ritratto della stazione più grande d’Europa Gare du Nord (2013), fino al lavoro dedicato alla foresta urbana del Bois de Vincennes (Le bois dont les rêves sont faits, 2015) in cui già cominciava quell’interesse par paesaggi più naturali ed eccentrici che la porterà a Lussas.

In una recente master-class radiofonica, Claire Simon ribadiva un principio assai comune dei registi documentari: la diffidenza nei confronti della preparazione sceneggiata dell’opera, atteggiamento connaturato nella creazione finzionale. La trama del film documentario deve tracciarsi, a suo parere, secondo gli incontri e le situazioni all’interno dell’orizzonte del luogo che costituisce uno scheletro alternativo a quello dell’invenzione scritta. Da Gianfranco Rosi fino a Frederick Wiseman, il metodo locale che Claire Simon rinnova per Le village rappresenta una componente cruciale della strategia documentaria e del suo rapporto con il «reale».

La sfida inedita di quest’ultima opera documentaria, che Claire Simon ha scelto di presentare integralmente agli États Géneraux di alcune settimane fa, riposa senza dubbio nella scelta del dispositivo seriale. Per quanto inizialmente ipotizzato come lungo-metraggio, Le village è stato concepito come una creazione seriale contemporanea, ripartita in due stagioni di episodi dalla lunghezza variabile. Dalla settimana scorsa la diffusione televisiva sul Canal+ é iniziata in Francia, in attesa di una distribuzione SVOD sulla piattaforma Tënk. Tale prospettiva ha imposto una coniugazione alchemica di due correnti del mondo audio-visivo contemporaneo assai divergenti, in termini di economie e processi creativi, benché non contraddittorie : quella del cinema documentario d’autore e quella dell’industria collettiva delle serie.

L’impostazione narrativa e finzionale che sviluppa le serialità contemporanea (fabbricata da team di esperti sceneggiatori) si collocherebbe, in tal senso, agli antipodi della composizione più sperimentale e volubile della cinematografia documentaria a partire dai territori del reale. Ben aldilà del caso specifico di Le village, la constatazione del dominio culturale contemporaneo della serie tv in ampi settori del pubblico dell’on demand interroga in generale le possibilità e le intenzioni del campo documentario. E di chi lo distribuisce, su internet in particolare. La preoccupazione di una coniugazione efficace e creativa delle pratiche del cinema del reale e del dispositivo seriale — dopo alcune esperienze storiche, non sempre soddisfacenti — era al centro di una testimonianza recente di Jean-Marie Barbe, fondatore di Tënk: «Penso, sinceramente, che il feuilleton documentario é un genere che ritornerà protagonista. Penso che le tv non si metteranno a giocare a questo gioco, troppo rischioso. Solo le piattaforme possono farlo. I film di Claire Simon mostreranno che è possibile».

Proprio Jean-Marie Barbe insieme ad altri membri della piattaforma costituisce uno dei personaggi centrali attorno a cui la creazione documentaria può serializzarsi nell’opera di Claire Simon che tenta di sfuggire ad alcuni meccanismi facili delle serie documentarie televisive: il reportage d’inchiesta o il ritratto biografico. L’avventura della piattaforma Tënk — dalla concezione allo sviluppo e lancio — traccia uno dei filoni di narratività in evoluzione che scandisce l’avanzamento della serie. L’altro polo strutturante, che fornisce personaggi e linee di racconto, è quello della società rurale del paese rappresentata, ad esempio, dal sindaco agricoltore o da un giovane produttore vinicolo. La storia di Le village si intreccia tra questi due ambiti, votati a frequenti incroci, secondo un’intenzione che potrebbe ricordare l’articolazione di vino naturale e cineteca in Resistenza naturale (2014) di Nossiter.

Per quanto nulla sia sceneggiato, la composizione di Claire Simon identifica e dipana diverse vene di serialità narrativa nel corpo di un reale in divenire che frequenta e filma nel corso di alcuni anni. Uno degli elementi più intriganti di questo esperimento è probabilmente la sua vocazione «meta-mediale», per così dire, o di mise-en-abîme. Ovvero il fatto di essere una serie sulla nascita e il funzionamento di una piattaforma digitale su cui poi essa stessa sarà diffusa. Contro le dinamiche da scatola nera o black box (Yves Citton) delle piattaforme di consumo che tendono ad assorbire lo spettatore in una funzione immediata e poco riflessiva, Le village svela il dibattito e i volti, le scelte e le finanze che stanno alle spalle del media digitale che lo distribuisce.

Al di là della questione seriale, l’opera di Claire Simon richiede forse un’ulteriore contestualizzazione in un settore piuttosto interessante della creazione cinematografica transalpina, particolarmente dedita agli approcci documentari. Si tratta di quel cinema sul contesto rurale e contadino, cinéma paysan, che pur avendo nobili antecedenti (da Farrebique di Georges Rouquier ai Portraits paysans di Raymond Depardon) conosce oggi un rinnovamento importante, nutrito anche dalle questioni ecologiche e dai movimenti socio-culturali néo-ruraux. Ci si riferisce ai film di Pierre Creton, a quelli di Dominique Marchais, al Petit paysan (2017) di Hubert Charuel, al tragicomico Sans adieu (2017) di Christophe Agou fino alla produzione ingente (non sempre di reale interesse cinematografico) dei militanti verdi di cui Demain (2015) costituisce il caso più celebre. A questa vena, nell’ambito italiano, potrebbe fare eco il lavoro di alcuni registi a cavallo tra finzionale e documentario come Alice Rohrwacher e Michelangelo Frammartino, o alcune opere di Pietro Marcello e Sara Fgaier, o ancora di Giorgio Diritti.

Ciò che Le village inserisce in questa cinematografia impegnata sul terreno delle campagne e della comunità contadina (tra lutto realista e impegno politico, tra contemplazione e proiezione favolosa) è il tentativo di perseguire un racconto contemporaneo in cui un’avventura della cultura digitale più recente (come Tënk) esce dal suo alveo cittadino elettivo per inventare un ecosistema condiviso con la società rurale. Nella traiettoria della serie possiamo cogliere in filigrana gli elementi essenziali del problema del presente e dell’avvenire dei territori campagnoli nella modernità contemporanea, tra scomparse e incerti rinnovamenti, che strutturano le opere e gli autori qui sopra citati. Per Claire Simon, il Lussas di Le village sembra costituire un (umile) laboratorio in cui si tentano di mettere a punto nel contempo forme di vita e forme di visione alternative, altri progetti di campagna dove co-abitano nuovi media e cooperative agricole.

Riferimenti bibliografici
J.M. Barbe, P. Mathéus, Tënk: rêve (numérique) d’un festival permanent, in La Revue Documentaires, n.30, 2019.
Y. Citton,  Médiarchie, Seul, Parigi 2017.
C. Tryon, Cultura on demand. Distribuzione digitale e futuro dei film, Minimun Fax, Roma 2017.

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