Ho assistito, in un caldo fine settimana di inizio giugno, in un piccolo teatro ai margini di Roma nord, titolato proprio alla celebre piéce di Eugène Ionesco, Le sedie, ad un notevole adattamento dell’omonimo testo, messo in scena, senza grande successo, per la prima volta nel 1952 a Parigi, nell’indifferenza generale e nel sospetto della critica che non aveva (ovviamente) capito la portata politica del testo stesso, salvo poi essere recuperato nel 1956, grazie anche all’acuta lettura portata avanti da Jean Anouilh che definì il testo di Ionesco un capolavoro, in grado di sintetizzare Strindberg e Molière, la farsa e la tragedia.

La messa in scena che ne propone Andrea Pergolari, scrittore, regista, autore teatrale, nonché direttore artistico del teatro stesso in un contesto rituale destinato a pochi volenterosi spettatori si distingue per originalità rispetto ad altri recenti adattamenti che hanno mantenuto la visione spettatoriale del teatro tradizionale, lavorando sul vuoto delle sedie di scena, oppure che hanno trasposto la metafora dell’invitato silente attraverso l’utilizzo di manichini; Pergolari invece, coadiuvato e sostenuto da tre straordinari attori (Valentina Conti, Francesco De Laurenzi e Stefano Sarra), ha creato per lo spettatore un mondo parallelo (il mondo pre-apocalittico di Ionesco) nel quale entrare senza sentirsi estraneo, anzi divenendo personaggio, rifiutando la lettura psicoanalitica, quella politicamente appiattita sulla metafora dell’incomunicabilità, quella sociologica, ideologica, distopica, ma piuttosto affrontando il testo attraverso la cifra del comico e del grottesco, mai caricaturale, ma sempre controllato e valorizzando il linguaggio come espressione di un racconto, il teatro come condivisione di una storia.

«Su, racconta la tua storia, ciò che è tuo è mio» è l’esortazione che la vecchia fa al marito, mettendo in moto il meccanismo dell’azione, come interazione inscindibile tra attore e pubblico, visto nella sua individualità e non nella sua collettività: ogni sedia ha una identità (e una personalità) diversa e il teatro è l’unico viatico che mette in comunicazione questi mondi anche laddove non c’è niente da dire, anche laddove l’afasia prevale, almeno c’è stato il rito.

Nell’intenso e toccante adattamento diretto da Andrea Pergolari, gli ospiti convogliati ad ascoltare il messaggio del vecchio sono gli spettatori stessi che si trovano naturalmente calati all’interno del gioco. Ognuno di essi, a sua insaputa, viene identificato con un personaggio della pièce (la bella e giovane signora, il colonnello, la coppia di sposi su cui si innesta un ulteriore gioco di seduzione), fatto entrare nella casa-teatro e fatto accomodare, dopo un’attesa sulla soglia (la soglia di ingresso in un nuovo mondo, la porta stretta dell’attesa in cui si innesta e si tasta la curiosità dello spettatore e anche la sua resistenza fisica e mentale a calarsi nel gioco stesso), ogni spettatore viene investito di un ruolo e la sua reazione a tale investimento va a strutturare le modalità in cui il gioco performativo prende piede e da cui lo spettatore non è escluso, ma di cui si trova a far parte accettandolo o rifiutandolo. Ne Le sedie di Ionesco una coppia di novantenni ha un annuncio da fare all’umanità. Siamo ai confini del mondo, in un tempo indeterminato, vicino al mare (da lontano si sente lo sciacquio delle onde che si infrange sul bagnasciuga), il testo ruota intorno ad un fantomatico testo che l’uomo deve affidare ad un oratore che sia in grado di leggerlo a tutti gli ospiti che i due hanno invitato per assistere al dirimente evento.

La sala vuota allora prende vita e diventa dimora in cui le sedie vengono spostate dal palco verso la platea e ogni sedia viene occupata non più da uno spettatore, ma da un personaggio (lo spettatore suo malgrado) che entra a far parte del gioco stesso, abbandonando la sua comoda posizione di invulnerabilità per essere condotto non nella farsa del teatro comico in cui allo spettatore viene riservata la battuta o la strizzatina d’occhio, non nell’illusione del teatro di magia in cui lo spettatore diventa una spalla per la verifica del funzionamento del meccanismo, ma nella tragedia, laddove il messaggio nichilista lanciato da Ionesco e proferito da un oratore che compare epifanicamente rivela la nostra inconsistenza, la nostra inutilità e l’adattamento di Pergolari, contrariamente ad altre letture del testo, non lascia le sedie vuote, ma anzi le riempie del corpo spettatoriale attaccandolo e denigrandolo nella sua sostanziale inutilità.

Secondo Antonin Artaud il teatro deve rompere con l’attualità, ad esso devono essere ascritti significati magici, il teatro lontano dai tempi, non figlio dello Zeitgeist ma conformatore attivo di nuovi mondi deve essere restituito alla sua “destinazione d’origine”, riconsiderato nel suo aspetto metafisico e riconciliato con l’universo. In un contesto teatrale in cui a dominare sono due tendenze, generazionali, potremmo dire: da un lato vi è il mercato, in cui i grandi stabili iperfinanziati si spartiscono surrettiziamente il piccolo pubblico ottuagenario rimasto ancora con gli occhi aperti, anche se non vivi, anestetizzato dallo spottone di turno, sedotto dal nome di grido, indifferente al testo e al senso del teatro stesso oppure dall’altro lato, laddove si situano i cosiddetti “giovani talenti” attenti al tema, sedotti dal messaggio, dall’attualità, dalle urgenze documentarie declinate secondo i dogmi della cronaca del momento, laddove teatro politico non è più atto di dis-tinzione ma atto di omologazione all’Agenda del paese, laddove si parla e si straparla di quello che i media mettono al centro del loro discorso, e allora il teatro diventa ancillare, triste specchio dei tempi conformisti in cui viviamo, anche laddove sembra esserci denuncia, in realtà c’è supina accettazione mortificante del tema del giorno, perché non si sa mai, magari si attira un po’ di pubblico, di giovani.

Ecco, domandarsi perché Le sedie oggi, in un piccolo teatro vicino al Raccordo Anulare è il punto di arrivo di questo discorso e la risposta risiede nella fiducia anacronistica sicuramente, ma tantopiù vitale perché sottratta alla decadenza del tempo, in un teatro ancora in grado di far giocare lo spettatore e quindi di calarlo all’interno di una realtà alternativa, di farlo evadere ma facendolo riflettere, di farlo partecipare al gioco, senza escluderlo, di rifiutare l’intrattenimento favorendo il coinvolgimento, in linea con le sperimentazioni delle avanguardie, in linea con una tendenza storica del teatro di sperimentazione che avvolge e coinvolge, restituendo il teatro alla sua rituale vocazione originaria, come scrive Gregory Bateson, quella del gioco: «Ora, questo fenomeno, il gioco, potrebbe verificarsi soltanto se gli organismi partecipanti fossero capaci di un certo grado di meta-comunicazioni, cioè di segnali scambievoli che portassero il “messaggio”, questo è gioco».

Difficilmente una citazione può essere più calzante, perché qui si tratta proprio di questo: creare segnali scambievoli tra attori e pubblico per portare un messaggio (una sorta di caccia al tesoro, in cui la posta è il messaggio che il pubblico stesso contribuisce a cercare). È quindi urgente recuperare e ridare vita a questo adattamento de Le sedie, facendo in modo che non sia soltanto più un rito giocoso destinato a pochi, ma diventi possibile esperienza condivisa di un teatro ancora vivo, ancora diverso, ancora ludicamente  e lucidamente comunicante.

P.S. Si noti in calce bibliografia volutamente anacronistica.

Riferimenti bibliografici
A. Artaud, Il teatro e il suo doppio con altri scritti teatrali, Einaudi, Torino 1972.
G. Bateson, A Theory of Play and Fantasy, in R.Schechner-M.Schumann, Ritual, Play and Performance, Seabury Press, New York 1976.
M. Esslin, Il teatro dell’assurdo, Edizioni Abete, Roma 1980.
E. Ionesco, La lezione-Le sedie, Einaudi, Torino 1982.

Le sedie. Testo: Eugène Ionesco; regia: Andrea Pergolari; aiuto regia: Moira Battistelli; drammaturgia: Andrea Pergolari; interpreti: Valentina Conti, Francesco De Laurenzi, Stefano Sarra; produzione: Teatro Le Sedie.
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