Il primo genere fotografico di successo è stato il ritratto: per la prima volta l’umanità si è trovata a fare i conti con la propria immagine più reale e concreta. Guidati dal desiderio di lasciare una traccia di sé, dalla smania di dare forma duratura alla propria rappresentazione verosimile, dalla necessità di attestare un’identità, gli uomini e le donne della seconda metà dell’Ottocento sono accorsi davanti all’obiettivo fotografico («l’immonda compagnia si precipitò, come un solo Narciso, a contemplare la propria triviale immagine sul metallo» scriveva nel 1859 Charles Baudelaire che pure aveva posato più volte nello studio dell’imprenditore di ritratti Nadar).
Anche dopo le varie forme di sperimentazione, innovazione e riflessione sul genere – le solarizzazioni di Man Ray, gli sfondi angolari di Irving Penn, i freaks di Diane Arbus, i volti serializzati di Andy Warhol, le pennellate di Arnulf Rainer, i cataloghi di Thomas Ruff, ecc. – il ritratto sembra aver preservato quella funzione primaria di attestazione e identificazione attentamente descritta da autori come Walter Benjamin (in Piccola storia della fotografia, 1931, contrappone «i quadri, [che] se durano, durano solo come testimonianza dell’arte di chi li ha dipinti» alle fotografie che nel corso del tempo possono obliare il proprio autore ma mostrano sempre una persona «ancora reale», 2011, p. 12) e Roland Barthes (nel volume testamentario La camera chiara, 1980, individua nel noema è stato la chiave di lettura della fotografia come «Particolare assoluto […]. Essa dice: questo è proprio questo, è esattamente così», 2003, pp. 6-7).
È l’incrocio tra ciò che è stato e che è ancora reale a caratterizzare i ritratti fotografici di Stefano Missio pubblicati in piccola parte nel volume Le mie stelle. 45 cineasti del reale (2023) edito dalla Cineteca di Bologna. Missio è un documentarista che lavora con l’immagine in movimento e che usa la fotografia per realizzare ritratti di altri documentaristi che lavorano con l’immagine in movimento. È lo sguardo di un regista su altri registi; lo sguardo del cineasta del reale su altri autori del cinema del reale attraverso uno strumento di riproduzione del reale.
Sono più di vent’anni che porto avanti questo progetto: l’idea è nata un poco alla volta, iniziando a fotografare dei colleghi e dei cineasti di cui amavo particolarmente il lavoro. Poi ho cominciato a estendere questo progetto alla gran parte dei registi italiani. Ancora una volta un’urgenza, di fissare e ordinare un qualcosa che mi sembrava in pericolo di scomparsa. Poi, qualche anno fa, ho sentito il bisogno di non autolimitarmi al mio paese. Il risultato alla fine è meraviglioso: ti sembra di lottare contro il tempo, di poterlo ricostruire in uno spazio tuo, di abbracciarlo un po’ tutto, e di far stare insieme registi che forse non si sono incontrati mai (Missio 2023, p. 9).
Con queste parole Missio motiva e presenta la sua serie fotografica che – così come ci ha insegnato Walker Evans – non è un contenitore statico di immagini ma un progetto che si evolve e si alimenta nel corso del tempo. Mario Bernardo, Vittorio De Seta, Cecilia Mangini, Pietro Marcello, Gianfranco Rosi, Amos Gitai, Frederick Wiseman, Marceline Loridan, Claire Simon, sono solo alcuni dei registi e delle registe immortalati. I ritratti si susseguono corredati dalle medesime informazioni, ovvero il nome e subito dopo il luogo e l’anno in cui è avvenuto lo scatto. Si tratta di dati necessari a enfatizzare la valenza documentale delle fotografie, quindi delle vere e proprie coordinate spazio-temporali che assolvono la funzione di prova, memoria, testimonianza. D’altro canto, è proprio questa finalità che si cela dietro alle immagini del documentarista mosso dall’urgenza di «fissare [su un supporto] una ricchezza culturale che era in pericolo, che stava per perdersi» (Missio 2023, p. 8).
L’operazione compiuta da Missio, cioè la ritrattistica di celebrità, non è un unicum se si pensa ai lavori di Timothy Greenfield-Sanders, Annie Leibovitz, Richard Avedon, Philippe Halsman, tra i tanti. Tuttavia, il suo catalogo di volti ha come protagonista una specifica categoria di soggetti (i cineasti del reale) fotografata, raccontata, nella dinamicità dello scatto off studio. In altre parole, gli scatti di Missio non hanno la retorica reiterata di Nadar né tantomeno l’austerità degli scatti di Harcourtche rendono il soggetto «un dio [che] non fa mai niente: è colto in riposo» (Barthes 1995, p. 15). Ogni foto è, in più, accompagnata da un testo o da una frase che traccia o dà indizi sul profilo del fotografato attraverso ricordi, dialoghi, suggestioni, commenti. L’interazione tra immagine e testo mette in evidenza la struttura narrativa del volume. È ormai assodato che la fotografia è in grado di raccontare una storia, tanto la singola immagine come peripeteia (secondo quanto affermato da David Bate ne Il primo libro di fotografia, 2017) quanto la sequenza fotografica che trova nel photo essay la sua forma più completa (molto affine alla narratività cinematografica). In Le mie stelle Missio costruisce una narrazione per immagini sfruttando il connubio tra la forza evocativa della parola-testo (per come intesa da Michel Chion e che in questo caso specifico si compone di una voice over in prima persona) e la natura documentale della foto (l’attestazione dell’esistenza, della presenza, dell’identità dei fotografati).
Un simile approccio narrativo è tipico di chi, come Missio, proviene dal mondo del cinema. Il documentarista si colloca, in questo contesto, accanto a una schiera di registi/fotografi e fotografi/registi che estendono la narrazione per immagini da un linguaggio all’altro (Ruth Orkin, Morris Engel, Agnès Varda, Larry Clark, William Klein, David LaChapelle, Anton Corbijn, e molti altri; la lista è piuttosto lunga). Qual è la storia narrata da Missio? La storia del/della regista attraverso ogni singola fotografia e la storia del cinema del reale attraverso l’insieme di tutte fotografie. La fotografia documenta, racconta e ricorda. La fotografia documementa.
Riferimenti bibliografici
R. Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, Einaudi, Torino 2003.
Id., Miti d’oggi, tr. it., Einaudi, Torino 1994.
D. Bate, Il primo libro di fotografia, Einaudi, Torino 2017.
W. Benjamin, Piccola storia della fotografia, Skira, Milano 2011.
Stefano Missio, Le mie stelle, Cineteca di Bologna, Bologna 2023.