Scrittore scandaloso, perenne ribelle, provocatore disperato, Eduard Veniaminovič Limonov [Savenko] ha rappresentato la figura più contraddittoria della letteratura russa degli ultimi decenni. Nel fortunato saggio a lui dedicato, Emmanuel Carrère ne abbozza il profilo con espressioni diventate proverbiali: «Teppista in Ucraina, idolo dell’underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell’immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados». Carrère “sospende” il suo giudizio sull’individuo, nondimeno è lapidario: «Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna» (Carrère 2012, p. 29). L’adolescenza, tra furti e alcolismo, è burrascosa. Autodidatta, forse privo di titolo di studio, Limonov inizia precocemente a comporre versi d’avanguardia. Giunge a Mosca dall’Ucraina all’età di 23 anni e riesce – pur con qualche difficoltà – ad accedere al seminario del poeta Arsenij Tarkovskij. Parlerà in seguito di quellа breve esperienza in modo dissacrante, esibendo una originaria vocazione anarcoide: una perdita di tempo, lezioni prive di qualsiasi interesse, dove non era permesso leggere versi in libertà. È già grafomane: cinque volumi di poesie autoprodotti in pochi anni.
Arriva negli Stati Uniti nel 1974, a suo dire per sottrarsi al Kgb che lo vuole arruolare come informatore, ed è allora privato della cittadinanza sovietica. A New York si arrangia come scaricatore, addetto alle pulizie, cameriere e altro (riferisce in seguito di aver esercitato almeno tredici diverse professioni). L’opera prima in prosa, Eto ja – Edička (Sono io, Eddie, 1976) è un romanzo autobiografico sulla vita di un oscuro poeta immigrato russo. Per alcuni versi, benché non anonima, la si potrebbe leggere come una di quelle “vite minuscole” che abbiamo imparato a riconoscere attraverso Pierre Michon. Il romanzo è però rifiutato – stando ancora all’iperbolica testimonianza dell’autore – da 35 editori americani. Riesce a pubblicarlo in Francia, paese dove si stabilisce, con il titolo Le poète russe préfère les grands nègres (1980; tr. it. 1985).
L’uso ad alta frequenza che vi si fa del turpiloquio (il mat della lingua russa) è subito al centro di grandi controversie all’interno della comunità degli scrittori in emigrazione. Limonov, dal canto suo, critica il loro “ghetto letterario”, accusandoli di farsi manipolare dall’Occidente per fini politici e commerciali; rifiuta di essere etichettato in base alla nazionalità e nega ogni influenza della tradizione delle lettere russe sulla sua scrittura; s’ingaggia nel dibattito con il gusto della controversia radicale e dell’offesa estrema. Seguiranno una miriade di volumi, il più delle volte autobiografici, di cui è quasi impossibile tenere il conto (un’ottantina?).
La fine dell’Unione Sovietica è una svolta biografica. Rientrato a Mosca nel 1992 e riottenuta la cittadinanza, Limonov abbandona l’impegno puramente letterario. La sua evoluzione intellettuale, da poeta esiliato a scrittore politico, è quanto meno insolita e ancora irriverente. Nel 1993 è tra i fondatori, insieme a Aleksandr Dugin, del Partito nazional-bolscevico. L’anno successivo inizia a pubblicare “Limonka” (tiratura da 5.000 a 10.000 copie), organo ufficiale del PNB finché non sarà messo fuori legge per estremismo nel 2002. Il giornale è, soprattutto nei primi anni, uno strumento di propaganda controverso e provocatorio, in cui s’intrecciano simboli e tematiche proprie della prassi totalitaria, l’estetica e le pose ostentate delle avanguardie, la controcultura occidentale, col risultato di forgiare un inedito, talvolta originale linguaggio della protesta politica nella Russia postsovietica (Fenghi 2017).
In verità, non c’è nulla di romantico e c’è poco di audace. Già a partire dai primi anni novanta, Limonov è l’ideologo dell’espansione territoriale di una nuova grande Russia; l’esploratore, in veste sia di giornalista che di soldato, di aree geografiche “calde” come la Serbia, la Transnistria, l’Abcasia… impegnato nella costruzione di un immaginario imperiale da applicarsi nei confini dell’Europa, in conflitti di cui però il cittadino europeo non ha sempre buona cognizione. Nel film documentario di Paweł Pawlikowski Serbian Epics (1992) – è cosa nota – lo vediamo ripreso mentre conversa amichevolmente con Radovan Karadžić e spara con un Browning Machine Gun in direzione dell’assediata città di Sarajevo. Ma, ancora una volta, non c’è nulla di picaresco.
Le frequentazioni con criminali di guerra sono ampie e ben titolate: Željko Ražnatović (Arkan) e Ratko Mladić in Serbia, Jurij Kostenko in Trasnistria… L’apologia dell’espansionismo è sostenuta da una struttura retorica in cui l’azione sovversiva prevale su ogni dimensione etica, sulla scorta di una rivisitazione delle teorie dell’etnologo neo-eurasiatico Lev Gumilëv, nume indiscusso dei nazional-bolscevichi: le nazioni, o meglio le entità etniche, sono l’opera dei cosiddetti portatori di “passione”, persone la cui straordinaria vitalità va oltre il mero istinto di autoconservazione, dedite altruisticamente ad una causa superiore anche al rischio della propria vita.
Nell’aprile del 2001 Limonov è accusato di traffico di armi e organizzazione di formazioni paramilitari sovversive, sospettato insieme ad altri membri del partito nazional-bolscevico di preparare un’invasione delle regioni russofone del Kazakistan. Condannato a quattro anni di privazione della libertà personale, è rilasciato sulla parola nel giugno del 2003. I volumi V plenu u mertvecov (Prigioniero dei morti, 2002), Po tjur’mam (Di prigione in prigione, 2004) e Toržestvo metafiziki (Il trionfo della metafisica, 2005; tr. it. 2013), frutto dell’esperienza personale della prigionia, potrebbero essere letti nel filone della nobile tradizione della letteratura carceraria e concentrazionaria russa o internazionale.
Ma, nelle molte interviste concesse dopo il ritorno in Ucraina nel 2007, paese in cui era stato dichiarato persona non gradita per le sue posizioni di sciovinismo russo, Limonov ribadisce sempre il rigetto della funzione classica del letterato, concependo ormai la scrittura come azione politica integrale. Vitalismo e esibizionismo si convertono nel primato dell’esperienza. Lo scrittore, a suo avviso, non ha più ragione di esistere come lo si concepiva in passato: «Le persone non sono per nulla attratte da pensieri indolenti nel mentre che si passeggia tra le betulle, solo le manifestazioni di vita estrema suscitano interesse. Uno scrittore dev’essere in guerra, in prigione o in esilio: è questa dura esperienza ad essere innanzitutto percepita dai lettori».
Dopo la dissoluzione del Partito nazional-bolscevico da parte delle autorità nel 2005 (poi fuori legge per estremismo dal 2007), Limonov partecipa alla creazione della coalizione L’Altra Russia, trasformata in partito nel 2010, privo però di registrazione per volontà del ministro della Giustizia. Nel 2007 partecipa alle “Marce dei dissidenti” indette dalle opposizioni in diverse città russe e nel 2009-10 è tra i protagonisti della cosiddetta “Strategia 31”, una campagna di disobbedienza civile in difesa del diritto di riunione garantito dall’articolo 31 della Costituzione, che adotta un ampio ventaglio di comportamenti concreti e di pratiche discorsive. Questo “repertorio” di azioni collettive (nell’accezione di Charles Tilly) imita e al tempo stesso rinnova le tradizionali forme di attivismo e militanza del dissenso, sperimentando una inedita, anche se solo temporanea, coalizione politica tra destra radicale e difensori dei diritti civili (Horvath 2015).
Le divergenze di Limonov con le autorità russe – riflesse, in particolare, nel volume Limonov protiv Putin (Limonov contro Putin, 2006) – si sono infine volte in un tentativo di conciliazione quando, nel 2014, la Crimea è stata occupata militarmente e annessa alla Russia. Già nel 1995 lo scrittore aveva affermato che Sebastopoli è una città russa, prigioniera in uno Stato ostile e bisognosa di difesa armata. Le attività militari nel sud-est dell’Ucraina non potevano non apparirgli, nel loro insieme, come una sorta di traduzione dell’ideale nazional-bolscevico. Non sorprende dunque che, nel 2015, abbia pubblicato ancora una volta un libro ad alta tensione, Kiev Kaput, in cui prediceva l’imminente disintegrazione territoriale dell’Ucraina e anticipava l’emergere di una formazione statale alternativa con centro a Charkiv, la città in cui era cresciuto.
Ora che l’esistenza estrema di Limonov si è arrestata, attendiamo il ritratto che Paweł Pawlikowski ha voluto fare di un interprete maggiore di quella letteratura eletta a «dire le plus indicible – le pire, le plus secret, le plus intolérable, l’éhonté», in un intreccio di parola e vita da cui nasce «encore un certain effet mêlé de beauté et d’effroi» (Foucault 1994, pp. 253-239).
Riferimenti bibliografici
E. Carrère, Limonov, Adelphi, Milano 2012.
F. Fenghi, Making post-Soviet Counterpublics. The Aesthetics of Limonka and the National-Bolshevik Party, in “Nationalities Papers”, n. 2 (2017).
M. Foucault, La vie des hommes infâmes, in Id., Dits et écrits, vol. 3, Gallimard, Paris 1994.
R. Horvath, “Sakharov would be with us”: Limonov, Strategy-31, and the Dissident Legacy, in “Russian Review”, n. 4 (2015).
E. Limonov, Il poeta russo preferisce i grandi negri, Frassinelli, Milano 1985.
Id., Eddy-Baby ti amo, Salani, Milano 2005.
Id., Il trionfo della metafisica. Memorie di uno scrittore in prigione, Salani, Milano 2013.
M. Puleri, “Sospendo il giudizio”. Il ‘ritratto’ dell’ego limonoviano di Emmanuel Carrère, in “Studi Slavistici”, n. 10 (2013).
A. Rogachevskii, A Biographical and Critical Study of Russian Writer Eduard Limonov, The Edwin Mellen Press, Lewiston (N.Y.) 2003.
Eduard Limonov, Dzeržinsk 22 febbraio 1943 – Mosca, 17 marzo 2020