Quando si ascolta una favola si entra in un mondo ibrido, familiare e ignoto, in cui si è indotti a fluttuare in uno stato di stupore e meraviglia e al contempo di inquietudine e terrore ben definito dal termine greco thauma. Questa condizione prevale nel film di Lucile Hadžihalilović La Tour de Glace, incentrato sulla celebre favola La regina delle nevi, molto amata dalla regista quando era bambina e rivisitata per la sua opera in concorso alla Berlinale 2025. La fiaba di Andersen si intreccia alle vicende delle protagoniste, la giovane Jeanne/Bianca (Clara Pacini) e l’attrice Cristina Van Der Berg, interpretata da Marion Cotillard, destinate a incontrarsi durante la trasposizione cinematografica della favola.  

Siamo negli anni settanta. In un paesino ai piedi di una maestosa montagna innevata, in una casa modesta, vive una ragazza, Jeanne, con una donna che non è sua mamma e con altri piccoli orfani. Jeanne decide di andar via, verso un luogo che conosce solo attraverso una cartolina custodita con cura, una immagine dalla quale si sente fatalmente attratta. Prima di partire legge La regina delle nevi a una bimba dell’orfanotrofio con cui ha un legame speciale, la stessa favola che ascoltava dalla voce di sua mamma, la stessa che segnerà giorni indimenticabili in quel mondo di fantasmi che si chiama cinema: al termine di un viaggio avventuroso, Jeanne si troverà catapultata in modo rocambolesco su un set dove si sta girando La regina delle nevi. Da questo momento cambia nome e diventa Bianca. Insieme alla protagonista del film, una diva algida, sofferente, sanguinaria, fragile, dispotica vive un viaggio di stupore e terrore dentro e fuori dal set, parte del quale concepito da Lucile Hadžihalilović come metacinema. Tra Bianca e Cristina si crea un gioco di rifrazione eccitante e pericoloso, definito anche dal senso di abbandono e di vuoto provato da Jeanne/Bianca, alla ricerca più o meno consapevole di una madre. Il gioco viene interrotto dalla richiesta di un “sacrifice” da parte di Cristina e da rivelazioni che turberanno Bianca. La cesura irreversibile si consuma in luoghi reali, diversi e lontani dalla tour de glace della favola e della finzione cinematografica

Lucile Hadžihalilović si muove qui principalmente tra dimensione favolistica, realismo poetico, metacinema. Il suo film accoglie in modo non lineare momenti onirici, memorie, ossessioni, situazioni che si prestano a più letture e in alcuni casi sfuggono a una comprensione logica e razionale. Per accedere al mondo de La Tour de Glace è richiesta una visione caleidoscopica: non senza motivo il film si apre e chiude con immagini di mille luci e colori che restituiscono visioni fantasmagoriche, frammentate, decentrate, visioni che a ogni movimento si dissolvono le une nelle altre per poi ricrearsi in modo imprevedibile. Il film inizia e finisce con immagini che sono e sono altro e in esso le due protagoniste sembrano incarnare il rimbaudiano «Je est un autre»: un Altro, abisso impenetrabile, che perturba, disorienta, accerchia, frammenta.

Questo “Altro” ha anche forme e materia visibili e udibili: del ghiaccio, della neve, dell’acqua; di oggetti feticcio – una collana con vaghi scuri e un cristallo dell’abito della regina delle nevi –; di corvi. Ghiaccio e neve dominano intorno all’orfanotrofio, nel paesaggio montano, poi nel luogo della fiaba ricostruito nello studio cinematografico; l’acqua del fiume e di una cascata appare in relazione con Jeanne/Bianca all’inizio e alla fine del viaggio. La materia solida e algida del ghiaccio, la materia fuggevole e incantatrice dei fiocchi di neve, quella fluida e inarrestabile dell’acqua parlano delle variazioni d’animo di Jeanne/Bianca e di Cristina.

La collana che Jeanne ha ereditato da sua madre, alcuni vaghi sfilati, persi, ritrovati, finiti in altre mani e il cristallo, tolto di nascosto da Bianca al costume della regina delle nevi, poi afferrato da Cristina e infine dalla bimba dell’orfanotrofio, scandiscono il nascere, il morire, il mutare di legami femminili e raccontano di desideri, a cominciare dal desiderio di protezione, e paure. Sono tracce di un femminile che si vorrebbe condividere e trasmettere. Questi oggetti feticcio appaiono e scompaiono quando devono, come i corvi, che si rendono visibili tra le montagne grazie ai loro versi poco prima che Jeanne vada via di casa e che tornano in più momenti della storia per dare segnali e determinare gli eventi in un crescendo anche sanguinario che è un chiaro omaggio di Lucile Hadžihalilović a Gli uccelli di Alfred Hitchcock.  

Riferimenti bibliografici
J. Derrida, Il cinema e i suoi fantasmi, in “Aut Aut”, n. 309, 2002.
J. Murphet, The Birds (1963): Trauma and the right of reply, in L. Robinson, M. Robson, a cura di, One Shot Hitchcock: A Contemporary Approach to the Screen, Oxford University Press, New York, 2024, pp. 228-243.

La Tour de Glace. Regia: Lucile Hadžihalilović; sceneggiatura: Lucile Hadžihalilović, Goff Cox; fotografia: Jonathan Ricquebourg; montaggio: Nassim Gordji Tehrani; interpreti: Marion Cotillard, Clara Pacini, August Diehl, Gaspar Noé, Marine Gesbert; produzione: 3B Productions; origine: Francia, Germania; durata: 118; anno: 2025.

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