«L’individuo è informe alla sua radice, informe e separato. Una situazione insostenibile, questa, che deve essere salvata» (Zambrano 2021, pp. 61-62). Una intellettuale, colta nel pieno della sua formazione universitaria madrilena, pensa alla salvezza della persona in questi termini. Sta studiando Baruch Spinoza (1632-1677) e con lui cerca le radici profonde dell’identità culturale iberica, o forse con una visione di campo ben più estesa, cerca le radici profonde dell’identità dell’essere umano. Si tratta con ogni probabilità della più ribelle tra i discepoli di José Ortega y Gasset. Si tratta di María Zambrano (1904-1991).

Ludovica Filieri offre la possibilità di consultare in lingua originale ̶ accompagnati da un’attenta traduzione in italiano  ̶ i due capitoli di riflessioni dell’intellettuale andalusa dedicati in maniera più sistematica al filosofo olandese di origine portoghese. Un esempio di sistematicità sorprendente, perché i lettori di Zambrano sanno quanto la frammentarietà sia il tratto distintivo del suo stile filosofico. Ma in questo caso l’eccezionalità è comprensibile, perché a scrivere non è ancora la filosofa matura che traduce in frammenti di pensiero la complessità di un’esistenza vissuta tra i fuochi della guerra civile e le lacrime di un esilio durato quasi mezzo secolo. In questo caso, ci troviamo nel 1931. Allora la Spagna stava attraversando la fase migliore della Seconda Repubblica, mentre María sosteneva la causa democratica con entusiasmo giovanile e trovava il tempo per iniziare a progettare la sua tesi di dottorato. Il titolo scelto era La salvación del individuo en Espinosa. Il Franchismo salito al potere poco dopo non permetterà alla nostra autrice di portare a termine il suo lavoro, ma ci restano le idee e gli appunti che mettono in luce un percorso di crescita in cui Spinoza non è un referente puntuale, bensì ricorrente.

In primo luogo, tra le carte preparatorie di questa ricerca è imprescindibile far menzione di uno studio risalente al 1928 intitolato Tesis sobre Spinoza, oggi conservato presso la Fundación María Zambrano a Vélez-Málaga. Inoltre, in maniera speciale, teniamo presente un saggio omonimo al progetto della tesi che ne era lo schema teorico condensato ed è il testo presentato nel volume curato da Filieri. Questo scritto dato alle stampe nel 2021 da Castelvecchi, fu inizialmente pubblicato nel 1936, nei Cuadernos de la Facultad de Filosofia y Letras di Madrid e nel 1998 in Los intelectuales en el drama de España y otros escritos de la guerra civil. Nell’edizione italiana di cui ci stiamo occupando, la curatrice e traduttrice scrive pagine introduttive che oltre a seguire le tracce dell’influenza spinoziana nella totalità del cammino di Zambrano, hanno il merito di sviluppare l’analisi con un bellissimo paragone tra il mistico castigliano San Juan de la Cruz e il padre dell’Ethica more geometrico demonstrata. L’invito consiste in definitiva a leggere in parallelo due saggi della filosofa dedicati alla questione del divino, ovvero San Giovanni della Croce. Dalla “notte oscura” alla più chiara mistica e La salvezza dell’individuo in Spinoza. Per Zambrano ragionare su Dio facendo filosofia significa procedere dal fondamento teorico essenziale su cui strutturare ogni passo riflessivo, ogni ricerca del sapere.

I pensatori anelano la trasparenza della conoscenza, sospinti da un amore verso l’oggetto di studio che si trasforma in volontà di cancellare la distanza tra la mente e l’oggetto del desiderio anche se si tratta del divino. Ma, allora, come coniugare il realismo religioso iberico con la purezza diamantina della metafisica? La studentessa dell’Università Complutense non trova nella formula filosofica kantiana spiegata da Ortega e in quella aristotelica spiegata da Xavier Zubiri risposte soddisfacenti. L’Amor Dei intellectualis di Spinoza finirà per essere la risposta convincente. In effetti, la formula metafisica di questo autore, come la maggioranza dei pensatori spagnoli, rendeva possibile la piena accettazione di un paradosso: la mistica della materia, o se si preferisce la metafisica del cuore. Era la reazione al dramma della Modernità, quello dell’umiliazione della vita al cospetto della verità cristallina.

Con Spinoza si arriva, dunque, a sposare sapere e amore, ragione e reale in un iter di scoperta filosofica che non teme l’intersezione tra la luce della logica matematica con le ombre del dubbio e della negatività. Come per il mistico carmelitano scalzo non è concepibile toccare la “massima chiarezza” della positività, ovvero dell’unione con Dio, senza passare per la “notte oscura” dell’assenza del divino, così per il filosofo ebreo olandese non è concepibile una spiegazione geometricamente dimostrata della salvezza dell’essere umano in Dio, senza passare per la sofferenza dell’amore. «Se Ortega ritiene che la filosofia, a differenza della mistica, miri a esprimere il reale in maniera del tutto trasparente, nel senso di un disvelamento (aletheia) dell’essere mediane il logos filosofico; Zambrano converge verso un’idea di sapienza mistica e poetica, e in questo senso sembra più vicina al pensiero di Miguel de Unamuno» (ivi, p. 16) e Antonio Machado. Nasce così la “ragione poetica” che María conia in dialogo anche con la lezione spinoziana e di San Giovanni della Croce; sarebbe il motore di una “metafisica della luce aurorale”, in cui predomina “la penombra” che ha rinunciato ad accecare per eccesso di trasparenza come accade con i concetti e ha preferito il contagio con le tenebre senza sconfiggerle, ma alimentandosene come fa il cuore. Il riferimento a queste e molte altre metafore che popolano le opere di Zambrano è un segno evidente della solidità della spiegazione di Ludovica Filieri, in cui abbonda un intercambio costante di contenuti con la ricchezza della bibliografia secondaria sull’autrice malagueña, dando il giusto peso al parere dei grandi esperti come ad esempio, Juan Fernando Ortega Muñoz, Massimo Cacciari, Pina de Luca, Elena Laurenzi, Rossella Prezzo, Paola Coppi.

«L’Etica spinoziana ha saputo così rispondere alla domanda esistenziale dell’uomo su come egli deve vivere e non tanto al quesito su cosa l’uomo possa conoscere» (ivi, pp. 22-23). Con questa impostazione, si orienta anche il punto di vista di Zambrano in La salvezza dell’individuo in Spinoza. Nelle note saggistiche in questione, María crede che Spinoza vada oltre la concezione cristiana di un Dio Padre assoluto e direttore del destino di ogni individuo e non accetta in egual maniera la versione razionalista dell’essere umano delle Meditazioni cartesiane. Per lei, Spinoza filosofa con tre protagonisti: l’uomo, la Natura, Dio. Tra Dio e l’uomo vi è una differenza ontologica abissale sulla scia aristotelica e cristiana; mentre la Natura si concepisce in linea con Giordano Bruno. Quindi, se l’uomo e la Natura sono accidenti semplici, limitati, contingenti della sostanza divina, l’essere umano può salvarsi dal patire del vivere gettati nel mondo, solo se sa pensarsi e conoscersi sub specie aeternitatis. «Solo l’amore intellettuale è eterno». E quale altro legame al di fuori dell’amore sarà essenziale per Spinoza? (ivi, p. 54).

Dal tormento del tempo all’eternità del ricongiungimento in Dio: questo è il viaggio della salvezza dell’individuo che Zambrano delinea con il filtro di Spinoza. Forse bisognerebbe aggiungere a questo punto dopo la notte sanjuanista direttamente evocata dalla curatrice del testo, un’altra immagine evocata sempre direttamente però senza citarne le origini teresiane. Santa Teresa d’Avila nel suo Castello Interiore, paragonato non casualmente a una fortezza e a un diamante trasparente, parla del bozzolo che si trasforma in farfalla per raffigurare la mutazione dell’anima umana in comunione mistica con Dio. Filieri ricorda che María nel saggio sulla mistica sanjuanista parla di un bozzolo che deve trasformarsi in un cristallo di roccia per rinascere adeguandosi al vero, per salvarsi passando dalla lacerazione delle passioni terrene alla gioia dell’azione unitiva con Dio. Per questo, la mistica carmelitana è compatibile al conatus di Spinoza inteso quale opportunità che ha l’essere umano di completare il suo progetto provvidenziale nell’essere di Dio, grazie al sapere adeguato, detto in altre parole, alla conoscenza appropriata del mondo e di sé stesso.

Deus sive Natura è il concetto che usa Baruch per definire la separazione tra l’uomo e Dio, dovuta a un fondo profondo sacro di sostanza divina che non riusciremo mai a capire completamente. «Basterà il fatto di pensare per cadere nell’abisso della Divinità che soggiace come fondo ineludibile alla contingenza dell’individuo» (ivi, p. 50). Solo abbracciando un tale ostacolo epistemologico e ontologico l’uomo può salvarsi con un’autofagia del suo io dalle tinte sanjuaniste che porta all’annullamento trasformante nella Totalità di Dio.

Per Zambrano, ricordando una straordinaria espressione di Filieri, è un «umanesimo» (ivi, p. 39) diremmo capovolto quello che Spinoza elabora da buon esponente dell’epoca Barocca contro i canoni del primo Rinascimento. Si riconosce la vastità dell’universo non per esaltare la dignità di un uomo, ma per sottolineare l’umiltà dell’umanità che se vuole salvarsi non può prescindere dalla consapevole accoglienza della sua affannosa finitudine. «Per quale motivo Spinoza cerca di rimuovere la scissione tra il mondo e l’essere umano? Perché non ha più il sostegno diretto di Dio, […]. Ecco perché Spinoza giunge a Dio attraverso le sue leggi di natura; l’uomo è un modo di Dio, non la sua creatura prediletta» (ivi, pp. 63-64). Ma per la filosofa andalusa, dal dolore si può accedere al ristoro; per Spinoza, dal pathos si può arrivare alla beatitudine; per Filieri, dalla «schiavitù mentale e fisica» si può raggiungere la «potenza della mente per ritrovarsi in Dio» (ivi, p. 40): è il dispiegarsi dell’avventura della salvezza dell’uomo moderno e contemporaneo.

E questi sono gli ingredienti che Zambrano proporrà in Reforma del entendimiento (Atenea 140, Santiago de Chile, 1937) e Reforma del entendimiento español (Hora de España 9, sept. 1937b) quasi certamente in omaggio a quel Trattato sull’emendazione dell’intelletto (ivi, p. 40) che il suo referente, Baruch Spinoza, non era riuscito a concludere arenato per un momento nelle sabbie mobili dell’astrazione logica. Applicando quel tipo di ragione: «Il mondo è spersonalizzato, è rimasto senza individui, ridotto a essere assoluto che è tutto, ma forse proprio per questo è niente. E ci rimane il sospetto, la domanda, se la ragione sarà mai la via per trarre il mondo fuori dal nulla» (ivi, p. 61).

María Zambrano, La salvezza dell’individuo in Spinoza, a cura di Ludovica Filieri, Castelvecchi, Roma 2021.

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