La Russia di Putin descritta da Anna Politkovskaja (1952-2006) è quella della seconda guerra cecena e del primo mandato presidenziale di Vladimir Putin, «tipico tenente colonnello del Kgb sovietico con la forma mentis – angusta – e l’aspetto – scialbo – di chi non è riuscito a diventare colonnello, con i modi di un ufficiale dei servizi segreti sovietici a cui la professione ha insegnato a tenere sempre d’occhio i colleghi, […] quel piccoletto che ci ricorda così da vicino l’Akakij Akakievič gogoliano in cerca del suo cappotto» (Politkovskaja 2022, pp. 339-340). Il volume costituisce una premessa indispensabile alle innumerevoli altre pubblicazioni edite – con lo stesso titolo e con effetti di smisurata standardizzazione – dopo l’approvazione delle riforme costituzionali che consentirono alla stessa persona di occupare, a partire dal 2012, la presidenza della Federazione russa già ricoperta dal 2000 al 2008; oppure distribuite dopo l’annessione della Crimea (2014) o ancora dopo l’invasione dell’Ucraina (2022) e la violazione della sua sovranità riconosciuta da Boris El’cyn il 2 dicembre 1991.
Mentre l’atto imperialistico della recente “operazione speciale” ha messo in crisi, pur senza disfarli del tutto, i grandi quadri disegnati dalle scienze politiche, che continuavano a ragionare di una “via peculiare” russa, che cercavano nella tradizione nazionale e popolare la nobilitazione di pratiche di de-democratizzazione della breve esperienza “occidentalista” dell’ultimo decennio del secolo XX e che discutevano dell’idea russa di sovranità, l’analisi della società proposta da Anna Politkovskaja è rimasta nella sostanza inascoltata. E non può che destare stupore che ancora oggi non ci si senta sollecitati a rileggere i fatti raccolti in questo grande “libro nero” con le immense risorse di metodo della sociologia e della storia sociale. Il protagonista della Russia di Putin non è infatti Putin ma la Russia. L’autrice si vede come «un volto nella folla di Mosca, della Cecenia, di San Pietroburgo o di qualunque altra città». Non intende proporre un’indagine sulla politica di Putin dal 2000 al 2004, ma solo degli «appunti appassionati a margine della vita come la si vive oggi in Russia» (ivi, p. 14).
Questo capovolgimento della prospettiva mette a disposizione un immenso materiale che si configura come un vero e proprio archivio di fonti per la storia della società russa nel periodo di tempo che sta tra il 1991 e il 2004. Politkovskaja si trova così ad essere partecipe della “letteratura documentaria”, una scrittura che – nella teoria russa della prosa – è fondata, in tutti i dettagli che produce, su informazioni e conoscenze presentate, selezionate e disposte nel testo in riproduzione letterale, completa o parziale, oppure accomodate in una libera sintesi del loro contenuto, ma sempre con tensione all’arte. Si potrebbe anche dire che il suo tipo di rappresentazione della società è fondato sull’accumulo di fatti. L’autrice ne ha pronta consapevolezza, ma questa è la regola che sovrintende alla costituzione di archivi che si formano per conservare ciò che lo Stato intende sottrarre alla società civile e cancellare dalla storia: «Per il momento non riesco a fare un passo indietro e a selezionare quanto raccolto, come è bene che sia se si vuole analizzare un fenomeno» (ibidem). È un lavoro che ha dei nobili precedenti nell’azione dell’associazione Memorial e che viene continuato ancora oggi, con la stessa energia e determinazione, da quella stampa d’opposizione che produce inchieste e raccoglie documentazione parlando ai russi da siti dislocati all’estero, accerchiata e soffocata dal regime attraverso la sempre inasprita legislazione sugli “agenti stranieri” o la recente legge federale sulle fake news. Del resto Politkovskaja era inviata speciale di «Novaja Gazeta», giornale ancora oggi in prima linea nella difesa della libertà d’informazione, che ospitava le sue cronache, poi raccolte in volumi quali Cecenia. Il disonore russo, Diario russo, Per questo.
La prima parte della Russia di Putin è riservata a L’esercito del mio paese e le sue madri. È costruita su due storie. Una sulla madre alla ricerca del corpo del figlio dimenticato dal suo plotone sul campo di battaglia, la quale intenta una causa allo Stato senza pervenire alla conclusione del procedimento – una storia narrata per far emergere cosa significa «metodo» e «consuetudine», perché «la crudeltà è un’infezione seria che tende a diventare epidemica» (ivi, p. 34). L’altra sulla «migrazione verso casa» di cinquaquattro soldati che hanno abbandonato il servizio per sottrarsi alle sevizie dei loro ufficiali – una storia che ci svela la presenza di un altro esercito: «Un luogo chiuso. Chiuso come una prigione. Anzi, no. È una prigione, solo che la chiamano diversamente. […] Ha delle peculiarità tutte sue, o meglio ad averle è il rapporto fra l’esercito e la popolazione civile». Perché, in Russia, «manca il benché minimo controllo della società civile sull’operato dei militari» (ivi, p. 15). Una realtà pervasiva all’estremo, come ci aveva già spiegato Svetlana Aleksievič nel ricordare il conflitto combattuto in Afghanistan, di cui la popolazione sovietica percepiva l’esistenza solo attraverso le bare di zinco provenienti da un paese sconosciuto. Per Aleksievič era la conferma della storia di un sistema chiuso, sempre coinvolto nella guerra o impegnato a prepararla, incapace di vivere altrimenti e persino d’immaginare un mondo diverso, con eroi, ideali, concezioni di tipo esclusivamente militare. Per Politkovskaja è la concretezza del massacro “ordinario”, dal caso del colonnello stupratore Budanov al paesino ceceno di Daj, dal musical Nord-Ost nel teatro moscovita Dubrovka alla scuola n. 1 di Beslan, che anticipano le tante Buča del conflitto odierno.
Un problema che dovrà essere ripreso con grande attenzione e diventare in futuro oggetto di riflessione riguarda un tema che non è molto in voga in occidente: La Russia di Putin «parla di Putin senza toni ammirati» (ivi, p. 13), anzi, guarda con preoccupazione al suo avanzare privo di inciampi, cogliendone anche l’andamento grottesco, e in quanto tale fatale. Perché non è una novità: «La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l’ho con un tipico čekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino» (ivi, p. 356).
Il rimando è qui a qualcosa che ci riguarda: l’esplosione di una letteratura politica la quale non si è accorta che, «diventato presidente, Putin – figlio del più nefasto tra i servizi segreti del paese – non ha saputo estirpare il tenente colonnello del Kgb che vive in lui, e pertanto insiste nel volere raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà. E la soffoca, ogni forma di libertà, come ha sempre fatto nel corso della sua precedente professione». Abbiamo forse accettato l’idea che sia connaturata alla cultura russa una natura illiberale? Al richiamo che Putin fa alla diversità russa rispetto a quella occidentale, Politkovskaja risponde: «Non vogliamo più essere schiavi, anche se è quanto più aggrada all’Europa e all’America di oggi. Non vogliamo essere granelli di sabbia, polvere sui calzari altolocati – ma pur sempre calzari di tenente colonnello – di Vladimir Putin. Vogliamo essere liberi. Lo pretendiamo. Perché amiamo la libertà quanto voi» (ivi, p. 13).
Anna Politkovskaja è stata uccisa il 7 ottobre 2006, nell’ingresso della sua casa, a Mosca. Sei persone sono state condannate a lunghe pene detentive per il suo omicidio, ma il mandante non è mai stato individuato e resterà probabilmente impunito per prescrizione del reato. Il film-inchiesta Kak ubili Annu (Come hanno ucciso Anna, 2021), realizzato dalla redazione di “Novaja Gazeta”, è disponibile su Youtube anche con sottotitoli in inglese.
Riferimenti bibliografici
A. Politkovskaja, Cecenia. Il disonore russo, Fandango, Roma 2003.
Id., Diario russo. 2003-2005, Milano, Adelphi, 2022 (1a ed. 2007).
Id., Per questo. Alle radici di una morte annunciata: articoli 1999-2006, Adelphi, Milano 2022 (1a ed. 2009).
Id., Proibito parlare: Cecenia, Beslan, Teatro Dubrovka. Le verità scomode della Russia di Putin, Mondadori, Milano 2022 (1a ed. 2007).
Id., La Russia di Putin, Adelphi, Milano 2022 (1a ed. 2005).
Anna Politkovskaja, New York 1958 – Mosca 2006.