А partire dal 16 febbraio, quando è giunta conferma della morte di Aleksej Naval’nyj, unico politico di opposizione in Russia che sia riuscito «a imporre la sua agenda e il suo linguaggio alle autorità» (Artem Efimov, “Meduza”, 17 febbraio 2024), sono centinaia le azioni spontanee in suo ricordo. Donne, uomini, bambini, portano fiori, candele e ritratti del politico assassinato ai memoriali dei prigionieri politici e delle vittime della repressione presenti nelle loro città. «Assassinato» significa – come ha dichiarato il politico d’opposizione Garri Kasparov – che «Putin ha cercato, senza riuscirvi, di avvelenarlo rapidamente e in segreto, e ora lo ha ucciso lentamente e davanti agli occhi di tutti, in carcere» (“Meduza”, 16 febbraio 2024).
Le autorità tentano inutilmente di bloccare i flussi del cordoglio: le forze di polizia isolano le aree intorno ai monumenti e smantellano gli improvvisati cippi funerari, rimuovendo fiori, oggetti, cartelli, poesie. Secondo il progetto sui diritti umani OVD-Info, in quattro giorni gli agenti hanno arrestato in tutta la Russia circa 400 persone che partecipavano a silenziose dimostrazioni, svoltesi in almeno 39 località. La maggior parte dei fermi sono avvenuti a San Pietroburgo, in base ad un articolo del Codice che vieta la «simultanea presenza di massa in un luogo pubblico, comportante il turbamento dell’ordine». Gli interventi di sorveglianza delle “azioni di memoria” non si sono limitate al territorio russo. In almeno nove paesi si sono avute restrizioni di varia natura alle manifestazioni: Bielorussia, Cuba, Germania, Grecia, Italia, Thailandia, Turchia, Uzbekistan, Vietnam.
In Russia l’ondata repressiva non pare avere inciso sulla volontà di esporsi, se è vero che oltre 65 mila persone hanno inviato appelli al Comitato d’inchiesta, chiedendo che il corpo sia urgentemente restituito alla famiglia. È la prova ch’è stato raggiunto un punto di non ritorno: «Ai compatrioti che facevano finta che la guerra finora non li riguardasse, viene presentato uno scenario del tutto chiaro per il futuro. Putin esige piena lealtà alla sua guerra e coloro che nutrono dei dubbi in proposito saranno distrutti. È proprio questo il significato politico dell’omicidio di Naval’nyj: dimostrare che non esiste alcuna alternativa al corso attuale e che la sola idea di una simile alternativa può portare all’eliminazione fisica» (Martynov 2024).
Naval’nyj ha avuto molti volti nella sua ventennale attività politica, una complessa e costante evoluzione di linea, spesso evocata, dai numerosi detrattori, a dimostrazione di un preteso opportunismo e cinismo: liberale all’epoca dell’adesione al partito Jabloko; partecipante alle “marce russe” di stampo nazionalista e sciovinista; sostenitore, in difesa degli azionisti di minoranza, della trasparenza e responsabilità delle principali società statali; inventore di piattaforme politiche fondate, alternativamente, sugli ideologemi “popolo” e “progresso”; fustigatore della casta in battaglie audaci contro la corruzione, la frode o la concorrenza sleale negli appalti pubblici; animatore d’inchieste epocali sull’arricchimento illecito di deputati, ministri e presidenti; inventore del fortunato epiteto «partito di truffatori e ladri», rivolto al governativo Russia Unita; leader delle proteste contro la falsificazione delle elezioni, a livello sia comunale che nazionale, e oppositore pugnace di Putin.
Immaginazione e speranza sono state – a partire dalla campagna presidenziale del 2017 – le sue principali risorse politiche. Le troviamo incarnate nell’espressione «Bella Russia del futuro [Prekrasnaja Rossija buduščego]» – progetto di una repubblica presidenziale di tipo parlamentare con regioni e comuni forti, una Corte indipendente, multipartitismo, un’economia denazionalizzata e demonopolizzata, riduzione della disuguaglianza e lotta contro la corruzione, assistenza nell’acquisto d’immobili e diminuzione del tasso ipotecario, aumento delle spese mediche e sanitarie, semplificazione delle operazioni commerciali e abbassamento delle imposte per i proprietari di piccole imprese, deregolamentazione e riduzione della burocrazia, redistribuzione delle risorse.
Nel 2021, prima di tornare in Russia dalla Germania, dov’era in cura a causa di una grave forma di avvelenamento che all’opinione pubblica occidentale sembrò un avvertimento, l’oppositore politico prese parte alle riprese del film sobriamente intitolato Navalny del regista Daniel Roher, presentato in anteprima nel gennaio 2022 al Sundance Film Festival, poi premiato nel 2023 con l’Oscar per il miglior documentario. È ricorrente, negli ultimi giorni, la riproposizione della scena finale, in cui il regista chiede a Naval’nyj di lasciare un messaggio nel caso in cui le autorità russe lo avessero imprigionato o ucciso. La risposta è un’esortazione «semplice» e «ovvia» alla società civile: «Non arrendetevi. Non si deve, non ci si può arrendere. Se hanno deciso di uccidermi, ciò significa che, in questo momento, siamo insolitamente forti. Dobbiamo utilizzare questo potere: non arrenderci, ricordare che siamo una forza enorme, tenuta sotto il giogo di persone malvage solo per non farci rendere conto di quanto siamo davvero forti. Tutto ciò che serve per il trionfo del male è l’inazione delle persone per bene. Per questo non bisogna restare inattivi». È una postura continuamente rievocata nei più recenti editoriali della stampa del dissenso: «Naval’nyj è morto. Il dolore non ci paralizza. Siamo in preda all’ira. E ricorderemo questo giorno nei minimi dettagli, di modo che l’ira non ci abbandoni» (“Meduza”, 16 febbraio 2024).
Nel luglio del 2023, nella dichiarazione finale resa durante l’ultimo processo, conclusosi con una condanna a 19 anni di detenzione in una colonia di massima sicurezza per «estremismo», Naval’nyj ha spiegato perché continuava a combattere «il male sfrontato che si chiama “potere statale della Federazione Russa”», incoraggiando ad agire insieme a lui. Ma come agire? Nella ricerca di parole adatte a definire la cosa giusta da fare, egli si richiamava a Jurij Lotman che, in un intervento del 1990, di fronte ad una platea di adolescenti, aveva detto: «L’individuo si trova sempre in una situazione imprevista. E in quell’istante ha due puntelli: la coscienza e l’intelletto». Dal punto di vista intuitivo, commentava Naval’nyj, era giusto fare affidamento solo sulla coscienza. Ma la morale astratta, che non tiene conto della natura umana e del mondo reale, finisce per «degenerare in stupidità o in malvagità», com’era già avvenuto più volte in passato. La dipendenza dall’intelletto senza coscienza era invece il basamento dello Stato russo e delle sue élites che, grazie a petrolio, gas e altre risorse, avevano costruito «uno Stato disonesto, ma astuto, moderno, razionale, spietato». L’intelletto, se non guidato dalla coscienza, incoraggia alla rapina: «Se sei più forte, i tuoi interessi sono sempre più importanti dei diritti degli altri». Ma il rifiuto della coscienza avrebbe infine portato alla scomparsa dell’intelletto: «Non volendo appoggiarsi alla coscienza, la mia Russia ha fatto alcuni grandi balzi, facendosi largo dappertutto, ma poi è scivolata e con fragore, distruggendo tutto all’intorno, è crollata. E ora annaspa in una pozzanghera di sporcizia o di sangue, con le ossa rotte, con una popolazione impoverita e depredata, mentre ovunque giacciono decine di migliaia di morti nella guerra più stupida e insensata del Ventunesimo secolo».
Aleksej Naval’nyj, Butyn’, 4 giugno 1976 – Charp, 16 febbraio 2024.