Jurassic World

Il cinema è il luogo privilegiato dove, per più di un secolo, si sono intersecate forme e saperi connessi ai miti, alle mutazioni e al mostruoso. Il film di mostri, in particolare, non solo ha ipotizzato diverse forme di esistenza non-umana, che integrassero, sussumessero e completassero i bestiari di figure prodigiose provenienti dalle tradizioni letterarie e folkloriche di tutto il mondo. Ma attraverso queste, da un lato, ha veicolato profonde riflessioni sul rapporto intrattenuto dall’uomo con le altre forme di vita presenti sulla Terra e dall’altro ha messo in scena una crisi della concezione antropocentrica della soggettività dell’essere umano. Rappresentando quest’ultimo nei termini di un’identità di specie in simbiosi con il sistema di produzione capitalista, che vuole, secondo la nota metafora del grattacielo di Horkheimer, gli animali posti al gradino più basso del processo di sfruttamento economico.

L’ultimo capitolo della saga di Jurassic Park, Jurassic World – Il regno distrutto di J.A. Bayona (2018), è l’esempio più recente di questa tendenza del monster movie a mettere al centro della propria riflessione il rapporto fra questione animale e processi di reificazione attuati dal capitalismo. Esso sviluppa, infatti, una narrazione volta a ribaltare la tradizionale rappresentazione filmica del dinosauro, da sempre inserita all’interno di una concezione di matrice aristotelica del mostruoso. Secondo tale visione il mostro ferino è un’aberrazione della natura, che assume connotazioni maligne e va dunque sottomesso o eliminato. Nel film di Bayona l’aberrazione è creata, invece, dall’uomo e le creature preistoriche che la incarnano sono viste, pur nella loro pericolosità, come delle vittime di una civiltà fortemente tecnologizzata, intenta allo sfruttamento di ogni risorsa naturale. In questo universo narrativo le identità umana e animale sono parimenti sottoposte alla stessa reificazione e controllo da parte di un apparato militare-industriale che non solo le governa, ma che ha anche la pretesa di generarle ex novo, tramite la clonazione.

Una simile prospettiva ideologica accomuna Jurassic World – Il regno distrutto a due pellicole come La forma dell’acqua (Del Toro, 2017) e Rampage – Furia animale (Peyton, 2018), che portano avanti un discorso sulle possibili forme di relazione Umano/Animale, all’interno delle coordinate del pensiero antispecista. Rampage ne abbraccia il versante identitario. Quello che cerca di stabilire un’identità morale fra Umano e Animale, ponendo l’enfasi sulle caratteristiche comuni che gli uomini e gli animali condividono, siano esse la facoltà di provare piacere/dolore o una innata soggettività. Però nel suo innescare un processo di rispecchiamento uomo-gorilla, dagli echi darwiniani, asseconda una tradizione che risale a King Kong (Cooper e Shoedsack, 1933), ancora fortemente antropocentrica. Così che, ad esempio, il coccodrillo mutato che si oppone al gorilla, paragonabile ai dinosauri di Jurassic World, si configura qui come un simbolo di alterità assoluta rispetto all’uomo e quindi un pericolo da eliminare. Quest’ottica assoggetta, ancora una volta, il riconoscimento dei diritti dell’animale alla sua continuità biologica con l’Umano.

La forma dell’acqua, forte di una maggiore complessità, invece si pone nell’ambito di una tradizione filosofica, di cui Derrida è stato il maggior esponente e che riscontra nella categoria della differenza il fulcro del rapporto fra uomo e animale. Essa nega le categorie assolute di Umano o Animale. Esistono tutt’al più esseri emergenti, differenziati all’infinito nei loro tratti individuali, che si costituiscono all’interno di tali categorie, di volta in volta, per varie forme di interazioni e relazioni pre-cognitive e pre-intellettuali. Relazioni come quella affettivo/sessuale fra una donna e un merman, tali da permettere di superare sia le barriere fra specie biologiche diverse, che quelle fra la vita e la morte. Attraverso un’epifania del mostro come vettore di rinascita portentosa, il film di Del Toro recupera la nozione rinascimentale di un mostruoso ferino, inteso come segno del Sacro nel mondo umano.

Jurassic World preferisce concentrarsi, al contrario, sulla ricerca di un’ontologia capace di riposizionare l’uomo al livello delle bestie. Sebbene accenni all’approccio identitario, attraverso le istanze animaliste dei due protagonisti, Claire e Owen, il film non vi riscontra le potenzialità per un reale cambiamento della condizione animale. Anzi le ricerche portate avanti da Owen per comunicare con i raptor diventano un elemento a favore dell’affermarsi della concezione aristotelica del mostruoso, imposta dalla multinazionale che possiede gli animali preistorici. Infatti quando gli animali, ridotti a semplici oggetti da laboratorio, ottengono una forma di razionalità umana, nascono i mostri dal carattere apocalittico. l’Indoraptor è un dinosauro frutto dell’ibridazione artificiale di varie specie, che nelle intenzioni dei suoi creatori dovrebbe funzionare come un’arma militare. Esso però, a differenza delle creatures di Rampage, deve la sua pericolosità proprio all’assunzione di tratti umani.

Non è dunque una mera velleità cinefila a spingere Bayona a girare le scene che riguardano questa creatura attraverso la sintassi filmica dell’horror. Con scenografie immerse nelle ombre, manipolazione hitchcockiana della tensione e scomposizione del corpo animale attraverso inquadrature che ne mettono in rilievo gli elementi minacciosi, il regista crea un legame estetico fra il dinosauro e i mostri classici del cinema. In primo luogo con il Nosferatu (1922) di Murnau, anch’esso creatura ibrida, liberata nel mondo moderno dall’avidità del capitalismo borghese. In questa visione la minaccia del mostruoso non risiede più nell’elemento animalesco di per sé. È frutto di una forma estrema di antropocentrismo del capitale, che vorrebbe imporre a ogni forma di vita un’indiscriminata umanizzazione. Non per ampliarne i diritti, ma per poterne sfruttare meglio le potenzialità di guadagno.

Per disinnescare il meccanismo economico che genera i mostri, bisogna allora ripensare il rapporto fra uomo e animale, sempre nei termini di un pensiero antispecista, ma declinato secondo la teoria dell’indistinzione. Una volta che il processo di reificazione attuato dalla tecnologia porta l’uomo e la bestia alla condizione di oggetto e all’annullamento di ogni forma di temporalità lineare nel processo evolutivo, non si pone più né il problema di attribuire agli animali caratteristiche umane, né quello di metterne in risalto le differenze rispetto all’umano. Uomini e animali sono essenzialmente accomunati dal fatto che i propri corpi sono oggetti d’uso, costretti dentro un tempo storico caratterizzato solo dai processi di produzione.

Il film di Bayona segna qui il proprio distacco anche dall’interpretazione della differenza proposta da Del Toro. Si rifiuta di recuperare una mitologia neo-romantica che rimetta in questione la categoria della sacralità del mostruoso e sostiene invece la necessità di una sorta di palingenesi neo-materialista, attraverso un atto di liberazione animale. Sarà, così, un umano generato anch’esso artificialmente, a mettere in dubbio la propria appartenenza di specie e a scegliere di liberare i dinosauri nella civiltà, aprendo simbolicamente, e materialmente, delle gabbie.

Vi è, in definitiva, in Jurassic World – Il regno distrutto l’affermazione di un quadro di pensiero deleuziano, per cui la carne del corpo umano, se può essere manipolata e riconfigurata arbitrariamente alla stregua di quella dei dinosauri clonati, risulta indistinguibile da quella degli animali. Ogni distinzione ontologica fra Umano e Animale viene così a cadere per sempre, lasciando spazio all’avvento di un nuovo assetto socio-animalesco. Al suo interno finalmente uomini e creature non umane potranno partecipare a forme relazionali e di vita impreviste, in un tempo della storia opposto a quello della produzione reificatrice.

Riferimenti bibliografici
G. P. Brunetta, Dai centauri all’”Homo ferus” agli androidi: percorsi del divenire animale lungo la storia del cinema, in L. Vergine e G. Verzotti, a cura di, Il Bello e le bestie: metamorfosi, artifici e ibridi dal mito all’immaginario scientifico, Skira, Milano 2004.
M. Calarco, Identità, differenza, indistinzione, in Liberazioni. Rivista di critica antispecista, n. 9 (2011), pp.5-20.
J. Derrida, L’animale che dunque sono, Jaca Book, Milano 2006.
F. Giovannini, Mostri. Protagonisti dell’immaginario del Novecento da Frankenstein a Godzilla, da Dracula ai cyborg, Castelvecchi, Roma 1999.
G. Olmi, Animali, mostri e meraviglie agli inizi dell’età moderna, in L. Vergine e G. Verzotti, a cura di, Il Bello e le bestie: metamorfosi, artifici e ibridi dal mito all’immaginario scientifico, Skira, Milano 2004.
R.R. Simonsen, Manifesto Queer Vegan, Ortica Editrice, Giugno 2014.

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