Un uomo distinto prende un caffè in un bar della periferia di Napoli, in un’alba come tante. Un viaggio in macchina ci porta poi subito fuori città, nella campagna campana, in un podere agricolo. Ora è mattina, l’uomo entra in casa e scambia una fugace conversazione con chi presumiamo essere un camorrista. Mentre il primo fa per andarsene, viene freddato alle spalle con un colpo alla nuca da un uomo del boss. Una macchia rosso sangue cola e invade il rettangolo del teleschermo. Non conosciamo nessuno dei personaggi che vediamo nei primi sei minuti della quarta stagione, ma non abbiamo dubbi: siamo a Gomorra, dove niente è come sembra.

Le vele di Secondigliano ci riportano subito alla ripetitività del già noto, dove Genny torna sui luoghi della memoria della sua “prima” volta: è qui che è stato iniziato all’uso delle armi, anni prima, contro un ragazzo come lui. È stato Ciro a svezzarlo, e adesso Ciro non c’è più. Genny è sconvolto, piange sul fantasma dell’amico, torna a casa da Azzurra per darle la notizia: Ciro è morto, adesso siamo soli. Siamo sempre stati soli, gli risponde lei. È su questo refrain che si apre la quarta stagione di Gomorra: l’assenza fisica di Ciro, che per Genny si trasforma in presenza ossessiva e costante, ricordo tormentato da cui è impossibile liberarsi, vuoto celato dalla solita corazza impenetrabile dell’erede dello storico boss di Secondigliano. L’unica via d’uscita è provare a cambiare vita, per l’ennesima volta. Scappare, pensare in grande, uscire da Napoli. Ma prima, suggellare un’altra alleanza tra i clan della camorra: Valerio, Sangue Blu e la “paranza” di Forcella, i fratelli Capaccio assieme ai Levante, e tutti gli altri, sono costretti ad accettare i prezzi calmierati della merce, ma soprattutto Patrizia, una donna, come boss intoccabile di una nuova Secondigliano indipendente. Genny le lascia la reggenza, tra lo stupore e la diffidenza maschilista. Da oggi in poi non mi vedete più, promette agli altri. Perché solo una femmina può far crescere bene una creatura.

Qui si apre una biforcazione narrativa, una costante dei primi sei episodi: da un lato seguiamo Genny e il suo sogno di costruire il più grande aeroporto d’Italia, grazie all’aiuto del misterioso faccendiere Alberto Resta; dall’altro, osserviamo “donna” Patrizia alle prese con una complicata gestione del potere, e con la solita ossessione dei potenti di essere traditi. Entrambe le linee narrative si sviluppano nei primi sei episodi con la consueta modalità a fisarmonica delle sequenze monoplot: la storia e le storie si aprono e si chiudono in modo alternato, avvicendando approfondimenti orizzontali sui singoli personaggi, congelando quando serve la linea verticale, per poi recuperare e far esplodere nuovamente la narrazione corale. La sensazione è che in questi primi sei episodi non succeda moltissimo: Fasoli e Ravagli, scrittori dell’intera stagione con la collaborazione di Roberto Saviano, decidono di far galleggiare i personaggi in un ritmo narrativo compassato. La modalità di scrittura, che fin dalla prima stagione richiama la complessità dei grandi quality drama del modello HBO, e dunque in continuità con l’ormai consolidata tradizione “riflessiva” della fiction Sky, si contrappone idealmente alla sincopata “snack” TV di Netflix, a una velocità cioè sempre più preponderante nella scrittura seriale contemporanea.

I primi quattro episodi, diretti da Francesca Comencini (che da questa stagione ha assunto anche la supervisione artistica dell’intera serie), sono girati in continuità stilistica con i precedenti. La dilatazione temporale è anche una scelta registica: macchine a mano, camera car, dolly e campi lunghi li ritroviamo, del resto, nei successivi due episodi girati da Marco D’Amore, il fantasma di Ciro in scena e retroscena, al suo esordio dietro la macchina da presa. Le forme del reale, in perfetta aderenza alle stagioni precedenti, rappresentano la grammatica cinematografica preponderante. Cave, discariche, cementifici: tutta l’archeologia industriale è diffusa sullo schermo in piena vocazione realista. Negli episodi successivi alla regia tornerà Claudio Cupellini, affiancato da Enrico Rosati e Ciro Visco (già assistenti alla regia di alcune puntate delle precedenti stagioni). La fotografia livida, cupa e mimetica è quella, inconfondibile, di sempre. Il commento sonoro dei Mokadelic si arricchisce di otto temi inediti, cui vengono aggiunti, con maggiore frequenza rispetto al passato, brani trap/neo-melodici in dialetto napoletano.

In perfetta continuità con le stagioni precedenti, le linee narrative aprono attorno a Napoli una serie di cerchi concentrici, che invadono il resto d’Italia (Bologna, nel terzo episodio) e d’Europa (Londra, in cui è interamente ambientato il quarto). Come ha osservato Angela Maiello, «la serie è riuscita a rinnovare l’immaginario mediale italiano e a configurare un sentimento collettivo identitario che ha percorso trasversalmente l’Italia intera, valicando i confini nazionali stessi». Le Vele di Secondigliano rimangono, tuttavia, un raccordo ambientale ridondante, punto di partenza dove tutto nasce e tutti tornano. L’episodio londinese, a ben vedere, ha la stessa triplice funzione dei monoplot di Colonia (seconda stagione) e Sofia (terza): rivitalizzare gli spazi urbani del già noto, rafforzare la funzione epicentrica di Napoli, collocare la narrazione in una dimensione transnazionale. Una novità della quarta stagione è rappresentata dall’apertura della profondità geografica locale verso la campagna attorno alla città. Il setting si spalanca oltre i luoghi tradizionali della metropoli, fino a spingere i personaggi, come animali selvatici, verso una giungla dell’ignoto che sembra essere rimasta immobile nel tempo. Di fronte al paesaggio rurale dell’agro campano, Patrizia confessa a Michelangelo (uno dei personaggi centrali della quarta stagione) di preferire la città alla campagna, perché non le piace sporcarsi con il fango. Patrizia, come Genny, dice di non avere radici. In realtà, ha paura di ciò che non conosce. Perché la merda più pericolosa è sempre quella che non si vede. Per questo, torna ogni volta al punto di partenza, a contemplare le Vele dalla finestra di casa.

La quarta stagione è anche un ritorno al passato. Se nella seconda e nella terza sono soprattutto i personaggi maschili a funzionare da perni narrativi, nella quarta, come nella prima, le donne svolgono il ruolo di protagoniste indiscusse. Non c’è solo Patrizia, che diventa una nuova donna Imma, ma anche Azzurra, personaggio sempre più invadente rispetto alle insicurezze di Genny. Le donne tornano a essere il cardine delle famiglie, nucleari o allargate, che popolano Gomorra. Non a caso, il secondo episodio si concentra interamente sull’incapacità di Genny di essere uomo, marito e padre: un ex-boss che rappresenta la perfetta forma cinematografica dell’inetto, ossessionato da se stesso e dal possibile fallimento, che non riesce a garantire alla sua famiglia né una vita normalizzata, né a essere fino in fondo umano, a liberarsi definitivamente dalle sue radici. Immobilizzato dalla paura di diventare uno schnook, come l’Henry Hill di Goodfellas, o magari di finire in terapia come Tony Soprano, Genny capisce che non può fare a meno delle donne, di Azzurra come di Patrizia, e si affida a loro.

Il nucleo centrale di questi primi episodi sembra allora essere quello del disorientamento generazionale. Patrizia e Genny si muovono in un mondo che li rifiuta e non riescono a controllare, tentano di sfuggire alle proprie radici, provano a elevarsi, a costruirsi una nuova identità, a mostrarsi per quello che non sono tramite un’ostinata e illusoria ricerca della libertà. Se Genny prova a uscire dal giro per garantire al figlio un futuro alternativo, Patrizia vuole che a Secondigliano si considerino tutti figli suoi. Nel labirinto claustrofobico di Gomorra, finisce sempre per essere questione tra padri, madri e figli. Una tragedia shakespeariana che è soprattutto un affare di famiglia, di sangue o di clan, in cui il caos domina la ragione.


Riferimenti bibliografici
L. Barra, M. Scaglioni (a cura di), Tutta un’altra fiction. La serialità pay in Italia e nel mondo. Il modello Sky, Carocci, Roma 2013.
M. Guerra, S. Martin, S. Rimini (a cura di), Universo Gomorra. Da libro a film, da film a serie, Mimesis, Milano-Udine 2018.
A. Maiello, Gomorra – La serie. La famiglia, il potere, lo sguardo del male, Edizioni Estemporanee, Roma 2016.
J. Mittell, Complex TV. Teoria e tecnica dello storytelling delle serie TV, minimum fax, Roma 2017.

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