L’equilibrio è un film di Vincenzo Marra del 2017 che racconta uno spaccato di camorra ambientato in un paesino dell’hinterland napoletano. Don Giuseppe (Mimmo Borrelli) dopo molti anni di assenza, decide di tornare nella sua terra nativa per occuparsi in prima persona dei tanti mali che la affliggono, come quello dei rifiuti tossici e delle malattie. Una lotta giusta perché basata su principi morali e cristiani apparentemente abbracciati da tutti gli abitanti del paese e dal parroco uscente, Don Antonio, (Roberto Del Gaudio) stimato da tutti in quanto leader carismatico che da sempre tutela una popolazione che si sente abbandonata dallo stato. Don Giuseppe capirà presto però che si tratta di una realtà cittadina che nasconde e tollera, con il consenso della comunità e della chiesa, molte altre gravi problematiche sociali come la violenza sulle donne, gli abusi sui minori, le piazze di spaccio e la malavita organizzata. Lo scenario culturale del paese è infatti quello di un’omertà latente radicata in un sistema sociale che coinvolge scuola, famiglia, chiesa, forze dell’ordine ed il boss locale, il quale intimerà più volte il prete ad adeguarsi silentemente alla situazione.
Don Giuseppe però non demorde e intraprende con coraggio una battaglia personale contro il boss facendosi portavoce di quei principi e valori cristiani che secondo lui vanno ad ogni costo interiorizzati e salvaguardati per il benessere collettivo. Nelle sue omelie Don Giuseppe cerca di trasmettere un nuovo modo di vedere le cose, esortando i fedeli alla ribellione ed alla trasgressione del sistema camorristico. Lo dimostrerà caparbiamente anche sul campo quando tenterà invano di salvare un ragazzo dal circuito delle piazze di spaccio, o quando aiuterà una donna a proteggere il figlio dalle molestie sessuali del marito. Una cultura nuova, rivoluzionaria, è ciò che predica con forza e convinzione Don Giuseppe, che però dovrà fare i conti con una scomoda verità, cioè che questa rivoluzione non è gradita proprio da nessuno. Don Giuseppe non ottiene consenso alcuno perché in fondo le cose vanno bene così come stanno e nessuno ha la forza e la voglia di cambiarle, nessuno vuole rompere l’equilibrio sociale vigente, seppure in certi casi malsano ed immorale. Ignorato e ostacolato da un’intera comunità, alla fine Don Giuseppe, con la coda fra le gambe, verrà costretto all’esilio forzato.
Vincenzo Marra ripropone una realtà disagiata di camorra che, come spesso accade in questi casi, possiede i propri codici e la propria dimensione valoriale e nella quale i concetti di bene e di male non sono definibili in chiave universale. La prassi quotidiana condivisa dagli abitanti del paese è inserita in un contesto in cui bene e male vengono negoziati in una dinamica culturale che vede chiesa e camorra essere le agenzie di socializzazione che impartiscono modelli e norme sociali da seguire. Fede e malavita camminano a braccetto usando l’arte del compromesso e della mediazione e guidando le redini di un paese che segue una propria condotta esistenziale, giusta o sbagliata che sia, legale o non. Il tentativo di sovversione non è contemplato, perché non appare utile e funzionale ad un sistema che si mantiene grazie ad un equilibrio sociale comunque sempre precario. Don Giuseppe viene condannato proprio perché cerca di rompere, nelle vesti di outsider, quell’equilibrio sul quale si regge un’intera comunità, un intero sistema sociale.
Un sistema che, in caso di violazione delle regole, preferisce intervenire in maniera diretta e a suo modo, perché ha ruoli e capi prestabiliti per farlo e perché «i panni sporchi vanno sempre lavati in casa propria». Si tratta dell’accettazione e dell’assimilazione di un modello culturale dove il controllo sociale della camorra e della chiesa è una sorta di sceriffato dai contorni sfumati che lotta per la sopravvivenza del suo regno e dei suoi adepti e dove la selezione delle regole e della morale rappresentano la morale stessa. L’obiettivo è quello di garantire il mantenimento della struttura latente attraverso la legittimazione coercitiva del proprio consenso. Don Giuseppe (stupefacenti sono l’autenticità e la credibilità del suo personaggio) ne esce sconfitto proprio perché non ha voluto capire e accettare, per fede e per coscienza, questo basilare concetto.
L’equilibrio del regista Vincenzo Marra descrive sapientemente e fedelmente un contesto comunitario controllato dalla camorra che rappresenta una realtà a sé stante, dove la gerarchia delle funzioni e dei ruoli di comando appare dunque ben salda. A differenza di altre realtà di camorra diversamente strutturate e fortemente variegate e imprevedibili – vedi Scampia, Secondigliano, Forcella in Gomorra – La serie (S. Solima, F. Franceschini, C. Cupellini, C. Giovannesi, M. D’Amore, 2014, 2016, 2017) – la stabilità di ruoli e funzioni diventa in questo film una variabile significativa nella limitazione delle manifestazioni di potere dei così detti cani sciolti (buoni o cattivi che siano), qui, invece, sempre tenuti a bada o fatti rientrare in un modello di equilibrio sociale e di controllo territoriale.
Attingendo a tale modello L’equilibrio presenta analogie sicuramente più forti e calzanti con Gomorra – Il film (Garrone, 2008) dove i due protagonisti (Ciro Petrone, detto Pisellino, e Marco Macor) irrompono sulla scena criminale come cani sciolti disturbanti del sistema. Il contesto sociale è quello di un paese del casertano controllato dal clan dei casalesi nel quale i due outsider verranno poi uccisi e fatti sparire nell’immondizia. Ciò avviene attraverso un piano strategico collettivo che ristabiliva l’ordine violato e decretava il trionfo del sistema camorristico locale. Nella stessa ottica strumentale Don Giuseppe, ne L’equilibrio, è soltanto un altro di quei cani sciolti che andava giocoforza eliminato.
Riferimenti bibliografici
F. Crespi, P. Jedlowski, R.Rauty, La sociologia. Contesti storici e modelli culturali, Editori Laterza, Roma-Bari 2002.
T. Parsons, La struttura dell’azione sociale, Il Mulino, Bologna 1987.