Non è facile introdurre una serie come Kingdom Hearts, per tante e diverse ragioni. Fra tutte il fatto che si tratti di un crossover, quindi di un intreccio multimediale tra due universi preesistenti ma, soprattutto, apparentemente inavvicinabili: Final Fantasy, fortunata serie di videogiochi di ruolo giapponesi, e Disney. Come al solito quando si tratta di accostamenti inusuali, i risultati avrebbero potuto essere diametralmente opposti: o una catastrofe commerciale oppure un grande successo. Kingdom Hearts ha sicuramente fatto centro.
Per quanto sarebbe bene farlo, ci viene difficile presentare la storia di questi videogiochi, specialmente per motivi legati alla nota idiosincrasia che caratterizza il telaio narrativo della serie: anche all’interno della tendenza giapponese a elaborare intrecci interconnessi, Kingdom Hearts (d’ora in poi KH) spicca per la sua complessità. Ci limiteremo, quindi, a esporne il nucleo intrinsecamente filosofico: malgrado siano tanti e vari i temi affrontati nelle decine di titoli che compongono la serie, alcuni sono ricorrenti. Qui vogliamo trattenerci sui legami, leitmotiv caratterizzante tutta l’opera, e sulla loro rilevanza – non solo prettamente narrativa ma specie filosofica – per la costruzione dell’identità.
Nonostante Nomura, direttore della serie, sia conosciuto per le sue interviste spesso criptiche, su questo concetto è sempre stato esplicito, chiarendo da subito come KH fosse prevalentemente una storia sull’importanza dei legami (Studio BentStuff 2002). In questo senso, pure con sfaccettature diverse, ogni iterazione della serie ne esplora la specifica dinamica mediante un percorso infittito gradatamente. A noi interessa soffermarci sui tasselli principali in gioco, che poi imbevono e modulano KH come tale.
L’idea è questa: i legami sono fondamentali per la costruzione dell’identità. Tutto il primo KH ci ruota attorno: il viaggio di Sora, Paperino e Pippo, protagonisti della serie, si sviluppa proprio a partire dal fatto che essi intessano dei legami, grazie ai quali maturano in quanto soggettività. È Sora stesso, verso la conclusione, che lo evidenzia: «Malgrado il mio cuore possa essere debole, non è da solo. È cresciuto grazie a ogni esperienza, e ha trovato una casa in ogni amico che ho trovato. Sono diventato parte del loro cuore come loro lo sono diventati del mio. E se mi pensano… se non mi dimenticano… i nostri cuori diverranno uno. Non mi serve un’arma. I miei amici sono la mia forza!».
Le successive iterazioni scavano meglio nel concetto di legame, mantenendo l’assunto per cui si matura grazie alle esperienze e alle amicizie. È soprattutto il secondo capitolo numerato a porre nuove fondamenta, introducendo i Nessuno che, come viene spiegato, sono corpi vuoti che imitano ciò che erano quando possedevano ancora un’identità. Peggio, «i Nessuno neanche esistono per davvero». Perciò l’obiettivo di questi Nessuno, antagonisti dalla seconda iterazione numerata in poi, è proprio quello di riottenere l’identità. Dalla loro, i protagonisti dovranno evitare che i Nessuno scombussolino la stabilità delle identità altrui per riaverne una, cosa che già di per sé sollecita importanti considerazioni circa il valore dell’identità e il modo di averne una. È proprio da qui che si espande non solo l’universo narrativo di KH ma anche l’insieme delle questioni filosofiche che lo interessano. Noi vogliamo inspessirne il sottofondo filosofico proprio incorporando le suggestioni di due autori che hanno esplorato da vicino la dinamica dei legami e, più correttamente, della relazionalità. Nello specifico, proporremmo la co-ontologia di Jean-Luc Nancy, esposta in Essere singolare plurale e l’empatia (Einfühlung) di Edith Stein per come affrontata ne Il problema dell’empatia.
L’empatia è descritta da Stein con un esempio: «Un amico viene da me e mi dice di aver perduto un fratello ed io mi rendo conto del suo dolore» (Stein 2009, p. 72). Quindi, l’atto di empatia non è una percezione esterna del dolore altrui, giacché non si potrebbe mai avere contezza esperienziale di quanto l’altro sente, ma è più simile a un’immedesimazione con cui cerco di vivere quello stato d’animo come se fossi io il suo soggetto (ivi, pp. 77-80). Prendendo in considerazione la gioia altrui, «empaticamente colgo la sua gioia e, mentre mi trasferisco in essa, colgo pure la gioiosità dell’avvenimento, sicché ora io stesso provo a motivo di ciò quella gioia» (ivi, p. 83). L’empatia steiniana, allora, non è il banale “mettersi nei panni dell’altro” ma assomiglia più a una immersione nel mondo altrui per captarne gli stati d’animo.
Dall’altro lato della staccionata filosofica, anche Nancy è affascinato dall’importanza dei legami, ma di questi coglie un altro aspetto strutturale. Diversamente dall’indagine di Stein, che è svolta attraverso gli strumenti della fenomenologia husserliana, quella di Nancy è condotta con gli equipaggiamenti dell’ontologia heideggeriana. Così, Nancy risalta la dinamica ontologica dell’essere-gli-uni-con-gli-altri (être-les-uns-avec-les-autres), da cui si evince che l’essere è già svelato e completamente accessibile nell’immediatezza delle relazioni che viviamo. In questo senso, il fatto di non poter che essere in relazione ci fa partecipi di ciò che Nancy chiama esposizione (ex-position) dell’essere: noi (nous) siamo già interamente nella sensatezza dell’essere e, intessendo legami, ne disseminiamo il senso. Essere “singolare plurale” significa proprio questo: la nostra soggettività è inserita all’interno di un reticolato di relazioni che ci riposizionano, riqualificano, potenziano o inibiscono a seconda dei casi. Non siamo, allora, singolarità chiuse ma identità che circolano in un intreccio di legami. È in virtù di questo che la sua è un’ontologia dell’essere-con (être-avec) che insiste sui caratteri di co-implicazione (co-implication) e co-esistenza (co-existence) dell’essere.
A suo modo, KH fa proprie queste strutture teoretiche rielaborandole in una fabula che dice la sua sui legami e sul dilemma dell’identità personale. Personalmente, vedo nella storia di Nomura tanto la co-ontologia di Nancy quanto l’Einfühlung di Stein. Se da un lato la prima è evidente nel discorso di Sora che abbiamo già riportato, che diventa addirittura una delle catch-phrases dell’opera, ribadita da Ventus in Birth By Sleep e ancora Sora in Dream Drop Distance, la seconda permea l’intera serie, stando al sottofondo ad ogni evento che accade.
Se l’empatia steiniana è una soggettivizzazione degli stati d’animo altrui talmente profonda che questi vengono vissuti come ci appartenessero, i legami di KH rievocano lo stesso concetto a più riprese. Il «mi rendo conto» di Stein è proprio quello che Sora intende dicendo «i nostri cuori diventeranno uno» o «sono diventato parte del loro cuore come loro lo sono diventati del mio»: ci si immerge nel mondo dell’altro tanto da farlo coincidere col proprio. In fondo l’empatia steiniana, così come la co-ontologia di Nancy e quindi i legami di KH, tentano di evitare che l’altro diventi un estraneo del quale disinteressarsi. L’Einfühlung, l’essere-con e i legami intrecciano saldamente la soggettività all’alterità, creando un’occasione di comunicazione e immedesimazione senza eguali, grazie a cui non solo si cresce per le esperienze condivise ma pure si entra in intimità con chi ci sta accanto, integrandolo nel nostro mondo. E, dunque, rendendolo qualcuno di cui fidarsi e sul quale contare.
Naturalmente, KH non è solo filosofia. È anche una bella storia, nonché un esempio di come l’entrelacement di boiardiana memoria possa ancora portare a quella contorsione narratologica che, per l’Orlando, fu sciolta da Ariosto. Non sono sicuro che KH possa contare su un intervento simile, ma è anche vero che questo garbuglio diegetico è parte dell’esperienza: KH è ricerca e caccia all’intervista più esplicativa, è ermeneutica dei dialoghi tra i personaggi. Gli errori narrativi poi saldati nelle varie iterazioni, i riavvolgimenti e le ricontestualizzazioni, nonché le infinite teorie degli appassionati, rendono la confusione di KH al contempo sfizio e vizio della serie, che avvicina i suoi appassionati instaurando legami, concretizzando così quello che racconta: una storia sui legami e sul perché essi siano imprescindibili per ognuno di noi.
Riferimenti bibliografici
J.-L. Nancy, Essere singolare plurale, Einaudi, Torino 2021.
E. Stein, Il problema dell’empatia, Studium, Roma 2009.
Studio BentStuff, Kingdom Hearts Ultimania, DigiCube, Tokyo 2002.
Kingdom Hearts. Direzione: Testruya Nomura; sviluppo: Square Enix; 2002-2019