Il tempo si scioglie
come un ricciolo di burro nella padella
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Peter Neumann

È tentazione non solo rischiosa, ma forse anche fuorviante affrontare con certi strumenti la lettura di un libro come Jena 1800. La repubblica degli spiriti liberi di Peter Neumann, recentemente pubblicato da Einaudi, in un’edizione piuttosto elegante, corredata da apparati e appendici iconografiche fedeli all’originale tedesco apparso due anni fa. Si tratta infatti di un ibrido tra saggistica e opera letteraria, in più di un senso imbarazzante per la disparità tra potenzialità e risultati, tra argomento e trattazione, tra spunti non privi di una qualche originalità, e loro pressoché totale dissipazione nell’ambito del discorso complessivo. L’autore, che ha al suo attivo anche diversi volumi di poesie, dopo aver conseguito il dottorato in filosofia con una tesi sul concetto di tempo in Schelling e Kant e lavorato come ricercatore in filosofia proprio presso l’Università di Jena, in seguito al successo di questo volume (ristampato infatti, con titolo leggermente differente, lo scorso anno anche in edizione tascabile) ha potuto intraprendere una vita da “libero scrittore”, trasferendosi finalmente a Berlino. Nel suo piccolo, quindi, un fenomeno editoriale, o meglio, ritornando alle qualità del libro, un vero e proprio “caso”.

Con piglio da scrittore, infatti, Neumann si propone un’impresa che la maggior parte degli specialisti accademici riterrebbe quantomeno molto coraggiosa, se non temeraria: far rivivere dall’interno, a partire dalle sue dinamiche non solo culturali, ma anche esistenziali, quella Sternstunde, quel momento irripetibile che, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, rese una cittadina di 4000 abitanti della Turingia, collocata al centro del ducato di Sassonia-Weimar, l’epicentro intellettuale della Germania, la “residenza dello spirito”, la sede della moderna Accademia platonica.

Insieme alla vicinissima Weimar, dove da decenni viveva il sovrano della cultura tedesca, Goethe, Jena diventa infatti, nel volgere di pochi, densissimi anni, il luogo dove risiedono e operano Schiller (che è il primo a stabilirvisi, nel maggio del 1789), Fichte (dal 1794), i fratelli Schlegel, Schelling, fino all’arrivo, nel 1801, di Hegel. I contatti personali tra queste figure cruciali della cultura europea moderna, il lavoro a progetti collettivi, l’eco delle polemiche intellettuali da essi promosse, resero Jena l’epicentro di una rivoluzione filosofica e poetica che, secondo Neumann, avrebbe investito la modernità con una forza paragonabile solo a quella avuta, su un piano storico e politico, dalla Rivoluzione francese. Sembra qui di risentire echi della nota tesi di Marx che, nell’Introduzione alla Critica alla filosofia del diritto di Hegel del 1844, scriveva: «Come i popoli antichi vivevano la loro preistoria nell’immaginazione, nella mitologia, così noi tedeschi abbiamo vissuto la nostra storia futura nel pensiero, nella filosofia», sottolineando come l’emancipazione teorica fosse sempre stata centrale nella storia della Germania già a partire dal passato rivoluzionario, anch’esso teorico, della Riforma: «Come allora fu il monaco, così oggi è il filosofo colui nel cui cervello ha inizio la rivoluzione».

Neumann sembra condividere questo punto di partenza, anche se, a differenza di Marx, non ne trae le stesse conseguenze (l’arretratezza politica e sociale della Germania, per Marx, non solo non viene riscattata, ma viene anzi rallentata fino alla rimozione dall’attenzione esclusiva ai riflessi filosofici delle condizioni sociali e politiche). La “ricostruzione” di Neumann prende infatti avvio dall’irruzione violenta della storia nella vita di questa comunità di spiriti (il prologo iniziale, Il mattino dopo, dedicato alla traumatica occupazione della città da parte delle truppe napoleoniche il 13 ottobre 1806), ma solo per concludere sottolineando come si tratti di una battaglia tra «la storia del mondo» e «lo spirito del mondo». L’aspirazione dichiarata di Neumann è infatti di permettere al lettore di esperire dall’interno il farsi di quest’ora cruciale della storia della cultura moderna, di far emergere dalla vividezza delle biografie (esteriori ed interiori) dei protagonisti le ragioni per cui Jena è il nome di quella “storia spirituale” che diventa storia tout court, il luogo in cui viene pensato in modo nuovo il mondo, in cui vengono rivoluzionate le idee di libertà e realtà: «La guerra è nell’aria. E guerra ci sarà. E qui a Jena si deciderà tutto».

Se con queste parole dal tono profetico si chiude la premessa, il resto del libro si incarica di ingarbugliare e di deludere non poco le aspettative del lettore. Divisi in tre parti, si succedono infatti diciannove capitoli caratterizzati da una ininterrotta serie di salti spaziali, cronologici, argomentativi, volti a raccogliere in modo innovativo intorno a questo assunto la galleria di personaggi, tutti geniali e notevoli, che segnano la vicenda, sicuramente unica, della cultura tedesca di questi anni, e le cui biografie si intrecciano tutte in qualche modo con questo “luogo topico” che è Jena. Se, come detto, i protagonisti sono sicuramente Fichte e Schelling, Goethe e Schiller, August Wilhelm e Friedrich Schlegel con le rispettive mogli Caroline e Dorothea, e infine Hegel, anche altre figure (non tutte necessariamente note al lettore medio, non solo italiano) attraversano la scena, e lo fanno spesso in modo rapsodico e senza una reale necessità (dai romantici Tieck, Novalis e Brentano, a Jacobi e Hölderlin, da Moses Mendelssohn, padre di Dorothea, a Schleiermacher, a tante figure “minori” come Kotzebue, Hufeland e altre, diligentemente elencate nell’indice dei nomi).

Ne risulta un quadro confuso e di difficilissima messa a fuoco per il lettore non iniziato, di banalità talvolta desolante per quello esperto, in cui vicende biografiche private che sconfinano spesso nel mero pettegolezzo si mescolano senza soluzione di continuità con ardite sintesi speculative, il cui esempio sommo è forse costituito dalle righe (quattro!) che l’autore dedica al filosofo da cui ha iniziato a propagarsi il grande terremoto spirituale che sconvolge la modernità: «Kant vuole porre delle basi sicure per la filosofia. Ciò che possiamo conoscere degli oggetti dipende dalle forme del nostro intelletto e da quelle della nostra intuizione, e le forme della nostra intuizione sono spazio e tempo. Come le cose siano in sé, di questo, dice Kant, non possiamo sapere niente. L’estensione della nostra conoscenza è limitata».

A questi esempi di cristallina sintesi filosofica si aggiungono poi i numerosi passi in cui si sente la “mano dello scrittore”, come per esempio quello dedicato ad un increscioso episodio capitato a Fichte, la cui dottrina aveva polarizzato le fazioni filosofiche di Jena, fino a spingere i suoi avversari a passare alle vie di fatto:

Un forte tintinnio, e i vetri erano andati in pezzi. Prima che in casa potesse muoversi qualcosa se ne erano corsi via. Soprattutto avrebbero voluto vedere com’era furente, lì nel suo soggiorno. Sì, l’Io assoluto può andare in grande collera, quando si accorge di quanto vitale possa essere un Non-Io così. Il Non-Io può infrangere vetri, è insubordinato, spietato. Dura realtà. Non certo soltanto la palla che l’Io lancia alla parete per riprenderla poi nella riflessione. Con i migliori saluti, firmato: sua maestà il mondo esterno.

Laddove la “palla” fa riferimento ad una lettera di Schiller a Goethe del 28 ottobre 1794, in cui l’autore del Wallenstein (opera a cui pure sono dedicate diverse pagine di cui non si comprende la funzione) scrive: «Stando alle asserzioni orali di Fichte […] l’Io è anche creatore attraverso le sue rappresentazioni, e ogni realtà è soltanto nell’Io. Il mondo è per lui soltanto una palla che l’Io ha lanciato e che esso riafferra nella riflessione!!!».

Si tratta di esempi forse sufficienti a far comprendere il tono generale di questo strano libro, in cui frasi come «la filosofia vive dello sperimentare, e perciò chiunque voglia fare filosofia deve costantemente cominciare da capo» (a proposito della poesia/filosofia universale e progressiva di Friedrich Schlegel) si alternano a spunti interessanti sulle prime manifestazioni storiche di quell’inconciliabilità tra professione accademica ed esistenza da libero scrittore (sempre a proposito di F. Schlegel) che sarebbe poi stato un tema centrale nella critica allo “spirito tedesco” di Schopenhauer e Nietzsche (due nomi miracolosamente assenti dalle liste di riferimenti che intasano il testo).

Alla fine della lettura del libro, che si chiude con Hegel che, mentre fugge in pantofole (gli stivali gli sono stati rubati) dalla città invasa dalle truppe francesi, riflette sulla «storia concettualmente intesa» che forma il «Calvario dello Spirito assoluto» (conclusione della Fenomenologia dello spirito, 1807), rimangono alcuni seri interrogativi. A quale lettore è diretta una simile operazione “letteraria”, “filosofica”, editoriale? Come detto, il lettore non esperto non solo faticherà enormemente ad orientarsi nella ridda di personalità, nella quantità di opere citate sommariamente ecc., ma trarrà forse un costrutto assai ambiguo dalle ardite sintesi filosofiche e letterarie di cui Neumann sostanzia il suo assunto di fondo, cioè che a Jena si è messo in moto il futuro (spirituale e non solo) del mondo di oggi.

Il lettore più esperto potrà al massimo consolarsi con la scoperta di passaggi particolarmente riusciti, come quelli citati a proposito di Kant, o dell’impatto della durezza del Non-Io sull’Io di Fichte (e delle sue finestre). E forse chiedersi, pensando al Nietzsche della prima Considerazione inattuale (1873), al giovane Nietzsche “erede legittimo” della cultura dell’età di Goethe, lettore profondissimo di Schiller e dei romantici di Jena, quale forma possa avere assunto oggi quel “filisteismo della cultura”, che, nella Germania unificata del Secondo Reich, cercava di «trasformare in discipline storiche tutte le scienze dalle quali ci si potesse aspettare turbamenti per la tranquillità, soprattutto la filosofia e la filologia».

Il filisteo della cultura nietzscheano neutralizzava i grandi «ricercatori» del passato, i Lessing, i Goethe, gli Schiller, trasformandoli in classici, musealizzando la loro eredità, che per Nietzsche poteva consistere sono nel compito di «continuare a cercare nel loro spirito e col loro coraggio». Oggi, forse, la musealizzazione dei classici passa per operazioni come quelle di Neumann: una patina letteraria “spregiudicata” e “irriverente” passata su monumenti della cultura europea diventati nel frattempo troppo polverosi per il “lettore medio”, sintesi vertiginosamente limpide e aproblematiche di pensieri una volta incandescenti, operazioni editoriali come questa, che una delle nostre più gloriose case editrici riassume sul suo sito con queste parole: «La città di Jena è stata la Silicon Valley del pensiero filosofico del XIX secolo».

Riferimenti bibliografici
K. Marx, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, Editori Riuniti, Roma 2016.
P.  Neumann, Jena 1800. La repubblica degli spiriti liberi, Einaudi, Torino 2020.
F. Nietzsche, Considerazioni inattuali, Rusconi Libri, Santarcangelo di Romagna 2020.
F. Schiller, Wallenstein, Einaudi, Torino 2007.

Peter Neumann, Jena 1800. La repubblica degli spiriti liberi, Einaudi, Torino 2020.

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