Il 9 maggio scorso se n’è andato all’età di 98 anni anche Roger Corman, l’ultimo grande vecchio del cinema americano che nel 2010 aveva ricevuto l’Oscar alla carriera. Ma Corman è stato un autore unico, una figura molto particolare nel panorama del cinema mondiale. Con lui scompare non solo un grande produttore-regista ma un modello produttivo, una pratica del cinema di genere con una prolificità, una continuità, una disinvoltura che neanche i più celebrati autori americani, come Walsh, Hawks, Vidor potevano vantare, un percorso espressivo ineguagliabile. In più la formula cormaniana dei bassi budget, della velocità di realizzazione, della capacità di coinvolgere grandi attori e sceneggiatori è diventata mitica soprattutto per lo stravolgimento delle vecchie ed equivoche categorie della serie A e serie B. Al punto che dopo i fraintendimenti iniziali e i preconcetti autoriali, alcuni critici e studiosi cominciarono a considerarlo il maggiore autore di serie A tra i tanti che per i materiali utilizzati, il rapporto con i generi, le implicazioni estetiche e linguistiche appartenevano di fatto alla serie B. Insomma un riferimento imprescindibile per chi amava i B-movies ma voleva andare oltre.

I vecchi cinefili della mia generazione che scoprirono Corman nei cineclub non ebbero tutti la lungimiranza e l’elasticità per apprezzare in tempo reale le qualità, l’eclettismo, la genialità del produttore, regista, attore, sceneggiatore e distributore americano. Poi nel 1976 Giuseppe Turroni, uno dei più grandi studiosi italiani di cinema americano, scrisse, in tempi non sospetti di opportunistiche riscoperte, una puntuale e articolata monografia per la collana Il Castoro Cinema e nei primi anni ’90 il Bergamo Film Meeting fu la prima rassegna cinematografica italiana a proporre un focus su Corman con una corposa retrospettiva e due preziosi volumi curati da Emanuela Martini che raccoglievano saggi, approfondimenti critici e materiali di vario tipo. Insomma sembrava che lo sdoganamento totale si fosse compiuto e sicuramente gli appassionati delle varie generazioni successive alla nostra potevano disporre di maggiori strumenti compresa la quantità di dvd di film invisibili o comunque considerati perduti. Però da allora sono passati circa tre decenni segnati da un nuovo oblio, un nuovo disinteresse per Corman, il ritorno di un approccio pressapochista e burocratico al suo cinema irripetibile.

Un altro aspetto interessante di Corman è l’essere stato autore sempre e comunque anche quando ha fatto solo il produttore. Produrre un film per lui non ha mai significato finanziarlo soltanto, visto che oltre tutto ha fatto sempre un cinema indipendente dai bassissimi costi che non gli consentiva di disporre di alti budget. E quindi facendo saggiamente di necessità virtù e da grande talent scout di registi e attori, si è preoccupato di veicolare la sua visione del cinema, soprattutto di genere, con storie che avrebbe potuto dirigere lui. Guidato da un fiuto e un talento infallibili ha tenuto a battesimo autori della New Hollywood e gli allora sconosciuti Coppola, Bogdanovich, Scorsese, Milius, Monte Hellman, Jonathan Demme, James Cameron, Joe Dante, e attori come Jack Nicholson, Peter Fonda, Dennis Hopper, Charles Bronson, Bruce Dern, Robert De Niro, David Carradine.

Chi non è proprio un conoscitore maniacale della produzione cormaniana, fa fatica a distinguere i film da lui prodotti e quelli da lui diretti (e spesso anche prodotti) per le similitudini delle storie, della comunicazione paratestuale, dei manifesti pubblicitari. Il suo cinema (circa 70 quelli prodotti anche per se stesso e una cinquantina quelli diretti) va preso quasi in blocco, c’è un’idea forte e inequivocabile che li tiene uniti, e il fil rouge che lo attraversa produce quasi un metasegno. Dopo studi interrotti e lavori precari alla Fox e un vagabondare tra l’America, l’Inghilterra e Parigi, il giovane e inquieto Roger approdò alla produzione nel 1953 ed esordì come regista nel 1955 con Cinque colpi di pistola.

Oltre a produrre e dirigere film per la American International Pictures (AIP), Corman ha finanziato anche altri film a basso budget prodotti da altre società. Nel 1959 fonda Film Group con il fratello Gene, una società che produceva film a basso costo in bianco e nero. Quando si rende conto che i film in bianco e nero non avevano più lo stesso successo dei film a colori, torna alla AIP e la Filmgroup cessa ogni produzione nel 1962. La fondazione, nel 1970, della società indipendente di produzione e distribuzione, New World Pictures, costituisce forse la sua ultima più grande impresa produttiva. E’ con questa società che produce film destinati a diventare cult: Rivelazioni di un’evasa da un carcere femminile (1971), Anno 2000 – La corsa della morte (1975), Rock ‘n Roll’ High School (1979), Il pianeta del terrore (1981), Grano rosso sangue (1983), e soprattutto Piraña (1978), il film del suo allievo Joe Dante. 

L’infaticabile Corman era sempre attento al mercato e alle nuove realtà audiovisive e i nuovi canali di diffusione: con la New World Pictures ha consentito al pubblico statunitense di vedere le opere dei grandi rappresentati del cinema d’autore: Bergman, Truffaut, Fellini, Kurosawa. Nel 1983 ha poi ceduto la società a un gruppo di investitori per costituire in seguito un’altra società di produzione e distribuzione, la Concorde-New Horizons.

La sua passione per il volo lo ha portato a realizzare nel 1971 Il barone rosso (1971) e tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta I gladiatori dell’anno 3000 (1978) e I magnifici sette nello spazio (1980), senza essere accreditato. La sua ultima regia è invece Frankenstein oltre le frontiere del tempo (1990). Ritorna poi nel 2009 per produrre e dirigere, insieme a Joe Dante, la webserie Splatter (2009) per Netflix. E l’anno dopo produce per il canale televisivo Syfy, DinosharkDinocroc vs. Supergator e Sharktopus.

Non c’è genere che Corman non abbia affrontato: gangster movie, noir, fantascienza, horror, avventura, commedia, musicale. Sempre con lo stesso piglio dell’artigiano infaticabile e dell’autore costretto a continue sfide per la durata delle riprese e i tempi record imposti dai bassissimi budget. Il massimo è stato quando tra la fine degli anni ’50 e i primi ’60 arrivò anche a produrre nove film in un anno e a girare La piccola bottega degli orrori (1960), in due giorni e una notte. Certo a scorrere la sterminata filmografia cormaniana si fa fatica a scegliere i propri preferiti ma non c’è dubbio che nella memoria del cinefilo restano scolpiti: Cinque colpi di pistola, La meticcia di fuoco (1955), La legge del mitra (1958), La piccola bottega degli orrori (1960), L’odio esplode a Dallas (1962), La torre di Londra (1962), L’uomo dagli occhi a raggi X (1963), I selvaggi (1966), Il massacro del giorno di San Valentino (1967), Il serpente di fuoco (1967), Il clan dei Barker (1970) e Il barone rosso.

Ma dalla sua filmografia si stacca prepotentemente il ciclo su Edgar Allan Poe, quello che mette d’accordo i cormaniani della prima ora e quelli che lo hanno scoperto in seguito, i conoscitori maniacali del cinema di Corman e quelli che conoscono e amano solo alcuni film. Sono le opere che maggiormente fluttuano nell’immaginario cinematografico e non solo grazie anche alla presenza di Vincent Price, il grande attore americano che con il regista costituì uno dei più memorabili binomi della storia del cinema, protagonista di tutti i film tranne Sepolto vivo (1962).

Il ciclo dalle opere di Poe era iniziato nel 1960 e comprende titoli memorabili per gli appassionati del genere realizzati in collaborazione con lo scrittore e sceneggiatore Richard Matheson e interpretati da attori come Jack Nicholson, Barbara Steele e Peter Lorre: da I vivi e i morti (1960) a Il pozzo e il pendolo (1961), da I racconti del terrore (1962) a I maghi del terrore (1963), da La città dei mostri (1963) a La maschera della morte rossa (1964) e La tomba di Ligeia (1964).

Scrive Gino Frezza, che sull’argomento sta lavorando a un libro di prossima pubblicazione intitolato Il corvo e l’immagine. Il cinema di Edgar Allan Poe:

L’ispirazione da Poe, per Corman, incide sui temi e le forme di cinema da questi promosse, e si distingue per alcune caratteristiche: la contaminazione fra cinema classico e culture del consumo televisivo, l’uso di un colore dichiaratamente pop e anticonvenzionale, dialoghi che esasperano la scena e dichiarano la situazione psico-nevrotica dei personaggi, esattamente come il viraggio delle immagini sul blu o sul rosso, o l’uso a strati dei colori come lo stesso nero, il blu, il giallo e il rosso per vestiti, oggetti e arredamenti indica la contaminazione fra reale e onirico, fra percezione e delirio, fantastico e straordinario, convenzionale e narrativo-emozionale.

Riferimenti bibliografici
G. Turroni, Roger Corman, Il castoro cinema, Firenze 1976.
G. Laroni, Il cinema secondo Corman, Biblion International Monographs, Milano 2016.
E. Martini, a cura di, Corman 1, Edizioni Bergamo Film Meeting, Bergamo 1991.
E. Martini, a cura di, Corman 2, Edizioni Bergamo Film Meeting, Bergamo 1992.
R. Corman, Come ho fatto cento film a Hollywood senza mai perdere un dollaro, Lindau, Torino 1998.

Roger Corman, Detroit, 5 aprile 1926 – Santa Monica, 9 maggio 2024.

Share