È importante ricordare sempre il limite delle diverse forme culturali. […] quando le identità culturali di un gruppo, una comunità o una nazione vengono assolutizzate, il rischio di conflitti insolubili tra identità diverse è molto accentuato. Solo il riferimento a una comune appartenenza al senso che trascende le particolarità culturali consente che i contrasti tra interessi trovino la possibilità di compromessi meno distruttivi per tutti. Quanto agli individui, se è comprensibile che ciascuno tenga a definire una propria identità, va ricordato che i soggetti dotati di coscienza di sé sono come tali in ultima analisi inoggettivabili, essendo la coscienza la capacità di differenziarsi rispetto a ogni oggettivazione. Fin dall’inizio della vita l’individuo trova la possibilità di formarsi grazie all’intersoggettività, ovvero alla relazione, che fonda la situazione esistenziale.
È quanto scrive Franco Crespi, nel 2020, durante i mesi della pandemia. Una testimonianza in parole di un pensiero articolato, centrato intorno alla lettura critica della modernità, dei suoi sviluppi, dei suoi tratti essenziali. Intorno a idee, come quella di identità, o di aldilà, o in senso più ampio di religione, che in molti suoi scritti – come Identità e riconoscimento (2004), Contro l’aldilà. Per una nuova cultura laica (2008), La maladie de l’absolue (2014) e Pourquoi la réligion (2019) – ci ha fatto percepire problematiche, nella misura in cui potevano diventare, nel lungo corso della storia, strumento di potere, o di violenza e fanatismo. Ma soprattutto, nel loro oggettivarsi, configuravano limiti, veri e propri ostacoli, all’auto percezione di una comune appartenenza; alla percezione dell’esistenza nelle sue umane manifestazioni.
Un pensiero, quello di Crespi, che in quei mesi, come in tutta la sua vita, torna a guardare alla nostra vulnerabilità e ai nostri limiti temporali e conoscitivi. E che lo portava a immaginare, anche da studioso quale era stato del mutamento e del rapporto tra evento e struttura (Crespi 1993), che quell’avvenimento,
distogliendoci da ogni “distrazione” e ponendo ciascuno, per così dire, di fronte alla sua nuda esistenza, potrebbe forse aprire a una nuova forma più consapevole di modernità, attribuendo una priorità alla qualità della vita quotidiana e alla possibilità di eguali opportunità per tutti di vivere […] la comune situazione esistenziale. Se questa è un’utopia, è una utopia non dell’aldilà, ma dell’al di qua. Un’utopia che prende alla lettera il significato della parola, l’ou topos, il non-luogo che è appunto l’esistere nelle sue contrapposte dimensioni di finito-infinito, nella sua fragilità e precarietà.
Con Franco Crespi (1930-2022), nella notte del 25 agosto, la sociologia ha perso una delle voci più autorevoli e prestigiose della sociologia italiana, ampiamente riconosciuta e apprezzata a livello internazionale. Era professore emerito di Sociologia all’Università di Perugia, dove ha insegnato per lunghi anni ricoprendo anche il ruolo di Preside di Facoltà e di Direttore dell’Istituto di Studi Sociali.
Dopo una laurea in Giurisprudenza conseguita all’Università La Sapienza nel 1954, e dopo avere studiato filosofia da autodidatta, Crespi si avvicina alla sociologia, assumendo presto un ruolo attivo nel processo di istituzionalizzazione della disciplina nel nostro Paese. Nel 1958 si iscrive al Corso di specializzazione in Sociologia organizzato per la prima volta in quell’anno dall’Istituto Don Luigi Sturzo di Roma, conseguendo il relativo Diploma nell’anno successivo. Nel 1961 diventa Direttore dell’Istituto di Sociologia dell’Università Internazionale di Studi Sociali di Roma, dove è anche docente di Sociologia. Nello stesso Ateneo fonda, nel 1962, la scuola di Specializzazione in Sociologia. Nel 1963, insieme ad altri studiosi delle scienze politiche e sociali, fonda la Rivista di sociologia, che dirigerà per oltre un decennio. A inizio anni ottanta, è tra i fondatori dell’Associazione Nazionale di Sociologia (AIS). Nel corso della sua lunga carriera accademica, Crespi ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui ricordiamo la medaglia d’oro e il diploma di prima classe per i benemeriti della scienza e della cultura del Presidente della Repubblica, ricevuti nel 1998.
In un costante dialogo con i classici, non solo della sociologia, e con molti grandi nomi delle scienze sociali contemporanee (tra i quali Bourdieu, Giddens, Habermas, Honneth, Moscovici), Crespi ha approfondito in modo originale una grande varietà di concetti e di temi della disciplina sociologica all’insegna dello scambio imprescindibile che, come ben traspare dalla sua opera, coglieva in modo magistrale tra sociologia e filosofia. Si tratta di uno scambio necessario per comprendere fino in fondo le dimensioni che animano la dinamica sociale e la sua particolare dialettica; tra queste, innanzitutto, la costituzione intersoggettiva degli individui, la dimensione dell’autocoscienza e la richiesta di riconoscimento che è all’origine di ogni agire. Queste questioni generali si articolano variamente in molti dei suoi lavori, tra cui citiamo L’uomo senza dimora (1974), Esistenza e simbolico. Prospettive per una cultura alternativa (1978), Azione sociale e potere (1989), Evento e struttura. Per una teoria del mutamento sociale (1993), Imparare ad esistere (1994), Teoria dell’agire sociale (1999), Sociologia del linguaggio (2005), Il male e la ricerca del bene (2006), Esistenza come realtà. Contro il predominio dell’economia (2013).
Uno dei fili generali che legano l’intera riflessione sociologica di Crespi può essere rintracciata nella critica e nella denuncia dei processi di assolutizzazione, come, a esempio, il dogmatismo del potere dei regimi religiosi e dittatoriali, l’utopia di una società perfetta, priva di conflitti, l’assolutizzazione di identità collettive o individuali legate a nazionalismi e alle diverse forme di appartenenza particolaristiche, oltreché il desiderio di assoluto (inteso come tentativo di sfuggire ai limiti dell’esistenza e del riconoscimento) che è all’origine del male che affligge la vita umana; ciò perché, come dichiara in un’intervista di qualche anno fa, con parole che ben si adattano a leggere le crisi dell’attuale momento storico:
Ogniqualvolta ci troviamo di fronte a forme più o meno accentuate di assolutizzazione delle forme culturali di tipo ideologico (dogmatismi religiosi, utopie politiche, varie forme di populismo ecc.) il potere degenera in dominio e perde la sua funzione di gestione delle contraddizioni, provocando i gravissimi effetti distruttivi cui abbiamo assistito durante tutto il corso della storia e purtroppo anche recentemente. […]. Ogni tentativo di assolutizzare un ordine costituito, creando sistemi rigidi e immutabili, è destinato, in tempi più o meno brevi, al suo fallimento, causando spesso reazioni violente (Savonardo 2013, p. 191).
Convinzioni e prospettive ben radicate nella cifra di uno studioso dei processi di costruzione e – come abbiamo messo in evidenza all’inizio – della problematicità delle identità individuali e collettive, fondate sul principio della intersoggettività, ed esposte a continue tensioni e necessità di riarticolazione. In particolare, secondo Crespi «l’intersoggettività è la relazione costitutiva che presiede alla formazione degli individui, i quali raggiungono la loro autonomia e ottengono la loro identità personale e sociale solo attraverso il rapporto con gli altri» (Crespi 2013, p. 52).
Un’autonomia dell’individuo che si definisce, quindi, (e qui la contraddizione è solo apparente) dipendendo dallo sguardo degli altri secondo meccanismi di reciprocità. Su tutto questo, i processi della globalizzazione e di quelli, speculari, della nuova localizzazione, spesso generatori di conflitti, inducono a una riflessione cogente sull’identificazione di dinamiche solidali fondate su un rinnovato riconoscimento delle diversità, rendendo quindi necessario un atteggiamento capace di relativizzare le identità culturali. Studi e riflessioni che Crespi fonda anche sull’analisi del linguaggio e delle forme di mediazione simbolica, secondo un percorso di ricerca e di studio che mette insieme, nell’ottica della teoria sociale, gli strumenti della filosofia e della sociologia.
Crespi era dotato di una curiosità intellettuale raffinata e incrollabile, che traspare con forza nella sua produzione ricchissima e negli scambi che ha quotidianamente intrattenuto con sociologi e sociologhe di diverse generazioni, non facendo mancare mai il suo sostegno e la sua generosità elegante alle generazioni più giovani. A riguardo, ricordiamo il suo sostegno e la partecipazione costante alla rivista “Quaderni di Teoria Sociale”, fondata nel 2001 dall’amico, allievo e collega di sempre Ambrogio Santambrogio, e al successivo gruppo di ricerca RILES (Ricerche sul Legame Sociale), che costituiscono due rilevanti luoghi di confronto e di dialogo intellettuale, tesi a sottolineare l’importanza della teoria sociale, e particolarmente della prospettiva critica generale, al fine di cogliere in pieno i processi di cambiamento che interessano le nostre società, nelle loro cause strutturali e nei riflessi che essi hanno sull’agire e sui comportamenti degli individui.
Riferimenti bibliografici
L. Bruni, Emozioni e sessualità. Intervista a Franco Crespi, in “Società Mutamento e Politica”, n. 24, 2021.
E. Caniglia, A. Spreafico, a cura di, Il carattere necessario e riduttivo delle identità. Un’intervista a Franco Crespi, in “Società Mutamento e Politica”, n°8, 2013.
M. Cerulo, Addio a Franco Crespi. Padre della sociologia italiana, in “Huffpost”, 2022.
F. Crespi, Esistenza-come-realtà. Contro il predominio dell’economia, Orthotes, Salerno 2013.
Id., Vulnerabilità e senso del limite: per una nuova modernità, in “Cambio. Rivista sulle trasformazioni sociali”, OpenLab on Covid-19, 2020, DOI: 10.13128/cambio-8580.
L. Savonardo, a cura di, Intervista a Franco Crespi, in “Sociologia Italiana. AIS Journal of Sociology”, n. 1, 2013.
R. Segatori, C. Cristofori, A. Santambrogio, a cura di, Sociologia ed esperienza di vita. Scritti in onore di Franco Crespi, il Mulino, Bologna 2004.
Franco Crespi, Crespi D’Adda 1930-Perugia 2022.