L’ultimo saggio di Telmo Pievani – Imperfezione: una storia naturale – è un testo che letteralmente “sfida” il lettore a ripensare il suo modo di pensare. La tesi di Pievani è chiara fin dal titolo del volume: dovremmo sforzarci di pensare la storia dell’universo e l’evoluzione come l’esito non di un disegno prestabilito, bensì di una serie fortuita di concause, le quali sono state le condizioni tutt’altro che perfette, anzi intrinsecamente imperfette, dell’apparizione della vita sulla Terra. Non voglio annoiare il lettore con la ricostruzione dettagliata di questi passaggi; lo rimando invece alla lettura del libro, perché l’autore ha tra le altre la dote di saper spiegare con grande chiarezza nozioni scientifiche assai complesse e le più diverse tra loro, spaziando dalla cosmologia all’evoluzionismo. Mi limito a sottolineare il fatto che i passaggi affrontati sono grosso modo quelli che contrassegnano la storia del globo terrestre, della vita che vi è comparsa e dell’emergere della strana specie animale che è homo sapiens.

L’elogio dell’imperfezione – quale autentico motore tanto della nascita dell’universo quanto della formazione della vita e dell’evoluzione delle specie – porta Pievani ad attualizzare la nozione lucreziana di clinamen. Com’è noto, tale nozione si radica in una concezione atomista del mondo, che ha radici epicuree e prima ancora democritee. In sostanza, se la totalità degli enti è composta di atomi, vere e proprie strutture di base dell’essere, invisibili e indivisibili (appunto a-tomoi), e se, secondo questa visione materialista, non è lecito inferire da tale ordine delle cose alcun principio metafisico che ne spieghi e ne fondi l’organizzazione, allora, per rendere ragione del cambiamento nella materia (nascita, morte, trasformazione), è necessario pensare una qualche “deviazione” casuale, appunto il clinamen, nel movimento di caduta degli atomi che dà origine alle cose. Con gli occhi della scienza moderna, questa teoria, se presa nella sua integralità, potrebbe apparire altrettanto metafisica quanto le filosofie contro cui polemizzava in epoca antica. Pievani mostra tuttavia persuasivamente quale sia l’attualità del clinamen. Si tratta infatti di mostrare come una comprensione filosofica (o “riflettente” tout court) dei fenomeni inerenti al cosmo e alla vita sia più aderente alla verità scientifica e possa fungere meglio al compito di fornire un filo conduttore a quella ricerca di senso.

Non è un caso se tutti i capitoli del libro sono introdotti da una breve citazione in esergo tratta dal Candido. L’operetta di Voltaire si configura infatti come un conte philosophique, il cui scopo, almeno uno tra i principali, è quello di mettere alla berlina l’ottimismo della filosofia di Leibniz, il quale, nel quadro di una visione razionalista (e tuttavia metafisica), riaffermava l’adeguatezza dell’idea di “armonia prestabilita” per rendere ragione dell’esistenza dell’universo, così come esso ci si presenta, arrivando ad affermare che noi viviamo nel “migliore dei mondi possibili”, risultato della creazione di un Dio matematico, il quale ha calcolato la migliore tra tutte le possibili combinazioni di fatti presenti al suo intelletto infinito. Il male, dunque, ci appare tale dalla nostra visuale unilaterale; le cose, però, non potrebbero andare diversamente e sono anzi organizzate per il meglio.

Pievani rovescia il ragionamento e, forte dell’assunzione radicale di ciò che la scienza ci può insegnare sul cosmo e sulla vita, propone di pensare l’universo e gli esseri viventi che ne popolano un’infinitesima parte come il risultato fortuito di una serie di fortunate coincidenze, le quali non mancano di mostrare tutta la loro contingenza nelle numerose imperfezioni cui danno luogo. Se il Dottor Pangloss, il personaggio attraverso cui Voltaire fa una caricatura del pensiero di Leibniz, era convinto che il naso fosse stato posto in mezzo agli occhi affinché vi si potessero posare gli occhiali, con Pievani potremmo dire che la sciatica è una conseguenza indesiderata della stazione eretta, la quale costituisce comunque un contributo notevole alla storia dell’evoluzione umana. Non c’è dubbio che le cose stiano così su un piano scientifico e che l’uso regolativo del concetto di imperfezione possa costituire uno strumento di grande utilità nella riflessione, tanto accademica quanto pubblica, sui dati forniti dalla ricerca scientifica.

Si tratta di un contributo filosofico e civile, in un momento in cui altre autorevoli voci nella comunità filosofica si levano per prendere le difese, più o meno apertamente, di concezioni pericolosamente vicine alla teoria – o meglio: alla pseudo-teoria – del “disegno intelligente”. Secondo tale teoria, l’evoluzione andrebbe in sostanza ricondotta al “disegno”, cioè al progetto, di una mente intelligente, ossia a un qualche intelletto divino che ha preordinato le cose in questo modo. Altrimenti un fenomeno “prodigioso” come l’emergere dell’intelligenza umana sarebbe del tutto inspiegabile. Il filosofo in questione è Thomas Nagel e il libro è Mente e cosmo, di cui mi sono permesso di restituire il succo del discorso.

Se Pievani ha perfettamente ragione a rivendicare le ragioni, tanto scientifiche quanto filosofiche, dell’imperfezione contro il ritorno dell’armonia prestabilita, vorrei comunque sollevare due questioni. Non si tratta di obiezioni, bensì di osservazioni a margine di un saggio che, con il suo stile schietto e brillante, invita il lettore al ragionamento indipendente. La prima questione è di natura etica. Se tutto nell’universo è il frutto di casualità e il risultato di arrangiamenti imperfetti, che tuttavia fortunosamente “tengono”, quale posto dobbiamo riservare alla libertà umana? Anch’essa è il risultato di un’imperfezione materiale? E se così fosse, non ricadremmo in una qualche forma di metafisica, una sorta di spinozismo rovesciato, ovvero ridotto sub specie materiae? Era Spinoza, in fondo, a dubitare che l’uomo, il quale crede che le sue azioni siano l’esito di un libero volere, fosse diverso da un sasso che, rotolando giù, credesse di farlo liberamente. O non è il caso forse di ritagliare a questo strano “fenomeno” una “nicchia di eccezione” rispetto al generale prodursi delle cose per mezzo della casuale deviazione dal corso regolare degli eventi? La seconda questione è di natura estetica.

Nell’evoluzione dei viventi, l’imperfezione è la regola. E tuttavia, come riconosce lo stesso Pievani, un qualche senso estetico sembra guidare in diverse specie alcune tra le scelte fondamentali per la sopravvivenza: prima tra tutte, la scelta del partner per la riproduzione. Senso estetico significa però ricerca del bello, quindi dell’armonico, di ciò che ci appare più adatto, dunque in un certo senso perfetto. Come spiegare il funzionamento di una natura che, da un lato, agisce per imperfezioni, e, dall’altro, invita le sue stesse creature ad affidarsi al criterio dell’armonia, quasi della perfezione? È possibile anche qui ipotizzare il formarsi, all’interno del corso della natura, di nicchie o stazioni in cui, dato un equilibrio provvisorio, sia dato elaborare criteri improntati alla ricerca dell’armonia, addirittura della perfezione? O si tratta di nuovo di un errore di sistema? Sono questioni su cui peraltro gli studiosi di estetica si interrogano da diversi anni: in Italia Fabrizio Desideri, Salvatore Tedesco, Mariagrazia Portera e Lorenzo Bartalesi tra gli altri.

Mi sembra un terreno propizio per tornare a leggere un testo capitale della filosofia moderna: la Critica della facoltà di giudizio di Kant. In questo saggio Kant non postula infatti l’esistenza oggettiva di un ordine armonico della natura, ma legittima il bisogno di orientare la riflessione secondo il criterio di una possibile (e non già data) conformità a scopi della natura nel suo insieme e in rapporto con la conoscenza che ne può fare il soggetto umano: un criterio regolativo, dunque, e non costitutivo, secondo la classica distinzione kantiana. E non è escluso che tale criterio non si adatti ad accogliere, ove richiesto, il principio dell’imperfezione, stante il fatto che lo stesso Kant nega l’identità tra bellezza e perfezione. E forse, data la vocazione trascendentale di tale filosofia, incentrata preliminarmente sulle condizioni di possibilità dell’esperienza del soggetto piuttosto che sull’oggetto di tale esperienza, la terza Critica kantiana potrebbe riservarci alcune sorprese anche sul piano di una riflessione etica in merito ai rapporti tra libertà umana e imperfezione della vita.

Riferimenti bibliografici
L. Bartalesi, Estetica evoluzionistica, Carocci, Roma 2012.
F. Desideri, L’origine dell’estetico, Carocci, Roma 2018.
T. Nagel, Mente e cosmo, trad. it. Cortina, Milano 2015.
T. Pievani, Imperfezione. Una storia naturale, Cortina, Milano 2019.
M. Portera, L’evoluzione della bellezza, Mimesis, Milano 2015.
S. Tedesco, Forma e funzione, Guerini, Milano 2014.
Voltaire, Candido, Einaudi, Torino 2014.

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