La nozione di antropocene, resa celebre da Eugene Stoermer e Paul Crutzen, attribuisce all’essere umano la qualifica di forza geologica e propone una periodizzazione in cui questa forza assume centralità nell’attuale epoca geologica. A prima vista potrebbe sembrare che questa ipotesi acquisisca conferme ed efficacia man mano che la quantità di dati sulle variabili ecologiche aumenta e gli strumenti di misurazione si affinano. Kristupas Sabolius avanza una proposta che scardina questa prospettiva e la ricolloca su un piano – paradossalmente – più instabile. L’efficacia dell’ipotesi antropocene non si valuta sulla base della sua accuratezza, poiché il suo contributo si definisce a partire da come essa innesca processi immaginativi che producono una prospettiva altra rispetto a quella data. L’antropocene è una narrazione per trovare orientamento nella complessità, in cui la posta in gioco è la nostra rappresentazione del tempo e il modo in cui essa determina differenti possibilità operative. Il rischio è però che essa approdi ad una forma di riduttivismo con la pretesa di fornire un’immagine totalizzante della crisi.

In Immaginazione. Al di là dell’Antropocene (2024), tradotto da Serena Parisi per Castelvecchi, Sabolius mostra che il grande rimosso dalla riflessione contemporanea su come ripensare il mondo alla luce della crisi ecologica è nientedimeno che la facoltà per eccellenza “relazionale”: l’immaginazione. La scommessa del libro è perciò di assegnare all’immaginazione un compito che il pensiero non potrebbe svolgere da solo, ovvero quello di dare senso, con le parole di Sabolius, alla dialettica tra incommensurabilità e compossibilità. Si tratta della dialettica tra l’alterità non sistematizzabile delle relazioni che tessono la vita degli organismi e la pluralità equivoca del possibile.

Se l’immaginazione è la facoltà volta alla moltiplicazione dei punti di vista e alla critica di ogni sguardo totalizzante – di cui la prospettiva rinascimentale emersa a partire da Alberti sarebbe un esempio – essa non è una fuga dal reale, ma ciò che fa emergere la relazionalità circolare costitutiva della vita di ciascun organismo. Per rispondere alla sfida planetaria non è sufficiente una risposta basata su una ipotesi teorica, ma un’immaginazione che resista alla tentazione di racchiudere la co-implicazione degli organismi all’interno di una sola formula descrittiva. In questo senso l’oggetto della riflessione di Sabolius non è la validità del termine antropocene per descrivere la nostra attualità epocale. Non è la corrispondenza o meno di questo paradigma con il reale, ma la sua capacità di posizionare la nostra immaginazione in uno spazio critico in cui l’immagine del mondo venga tenuta presente e tuttavia mai del tutto chiusa: l’antropocene come possibilità di un mutamento di prospettiva che ci faccia riconoscere l’alterità che tesse la nostra vita in comune.

La sola diagnosi non può essere sufficiente a cogliere la relazionalità intrinseca alla crisi stessa, dato che essa possiede una natura al contempo globale e intricata, e sembra comprendere ogni componente del cosmo e al tempo stesso tener presente l’eterogeneità di ciascuna relazione. La scelta di riprendere la riflessione di Bruno Latour sulla zona critica mostra un tentativo di Sabolius di rivendicare i grandi passi in avanti di questa proposta, tentando al contempo presa di distanza. «Instead of an agent, “The Human”, acting “On Nature”, we recover from the studies multiple tracers of heterogeneous agencies mixed together in wildly different combinations» (Latour 2014, p. 4). Sabolius radicalizza questa prospettiva riprendendo un concetto classico, già rielaborato da Gilbert Simondon, quello di milieu. Considerare il milieu come fondamentale nella genesi dell’individuo significa mettere al centro la rete di relazioni che ci spinge ad abbandonare l’idea che esistano realtà isolate. Si tratta innanzitutto di rintracciare nella «traiettoria epigenetica» che segna la vita la chiave attraverso cui ripensare la relazione tra umano e milieu in termini di interrelazione, in cui l’immaginazione svolge un ruolo determinante. Ne consegue un abbandono del ruolo di privilegio dell’essenza umana.

L’immaginazione apre a zone di indeterminatezza. Mentre il pensiero votato alla comprensione di un fenomeno punta a bonificare ogni aspetto di una questione al fine di chiarirla, l’immaginazione si trova a suo agio nei terreni paludosi, in cui spazi in ombra convivono in equilibrio omeostatico con aree più illuminante. Non si tratta allora ci sciogliere una volta per tutte i legami dal reticolo ecologico che ci tiene in vita ed espone al rischio: nessuna immagine può prometterci una visione completa del nostro groviglio. Sabolius definisce l’immaginazione attraverso la sua in-betweennes, a cavallo tra l’immagine poco chiara e definita del reale e la distorsione fallace. Immaginare vuol dire mantenersi in una condizione «metastabile» in cui identità e differenza possono trovarsi a coincidere. L’afantasia, ovvero l’incapacità di usare l’occhio della mente per vedere ciò che non è presente nella realtà, mostra che non è necessario vedere per immaginare. In questo modo è possibile separare l’immaginazione dall’immagine. È ciò che pensa, secondo Sabolius, il Kant che distingue l’immaginazione produttiva da quella riproduttiva.

Sabolius, nella sua definizione di immaginazione, pone al centro il riferimento a Kant, Fichte e Castoriadis, ma è in Simondon che individua l’autore che ha saputo collocare l’immaginazione tra gli aggrovigliamenti che legano mente e milieu materiale. Diviene perciò centrale la nozione simondoniana di invenzione come approdo del processo immaginativo. Non si tratta di una creazione dal nulla, ma di un posizionamento nel reale più complesso della semplice adeguazione:

Il ruolo dell’immaginazione dovrebbe essere inteso essenzialmente come una modificazione proliferante: la sua traiettoria implica non solo la fusione con i milieu, ma anche la ricettività creativa, che viene definita un’attività endogena. Pertanto, secondo Simondon, l’anticipazione ha a che fare con la questione dell’adattamento, poiché possiede una certa disposizione alla trasformazione immaginativa: una disposizione a priori e inarticolata non ad assecondare, ma ad avvicinarsi alle mutevoli condizioni dell’ambiente cambiando essa stessa (Sabolius 2024, p. 145).

Il ruolo dell’immaginazione nell’adattamento dipende dall’eterogeneità tra organismo e milieu e la capacità di entrambi i poli di ridisegnare continuamente il limite che li frappone. L’immaginazione è così ciò che nella percezione produce uno scarto dal comportamento modellato sul rapporto stimolo-risposta, poiché valuta la compossibilità di reazioni alternative. L’immagine deve essere perciò intesa come un sottoprodotto dell’immaginazione, al quale essa si appoggia nel dare forma alle diverse possibilità offerte dalle molteplici connessioni tra individuo e reale. L’antropocene stesso svela perciò la sua natura di narrazione: è una storia che organizza una temporalità attraverso protagonisti e personaggi secondari. Esso svolge perciò un ruolo nel gioco tra sforzo dell’immaginazione e incommensurabilità del reale. Sabolius pensa l’antropocene nei termini di una sineddoche, poiché esso misura il ruolo dell’umanità nell’attuale epoca geologica a partire dal suo impatto chimico, l’aumento della concentrazione globale di anidride carbonica e metano. Ma questo riduttivismo non compromette interamente l’efficacia della narrazione, la quale dipende da un bilanciamento tra la sua dimensione unificante e quella che Latour definisce una «imprecisione ibrida». La narrazione dell’antropocene riposa in questa ambiguità, che è anche ciò che ne garantisce la capacità preformativa. Perciò essa rompe gli schemi precostituiti immaginando altre possibilità di azione. Ma tali possibilità non nascono dal nulla, sono il modo in cui mantenendo la nostra posizione teniamo conto di altre prospettive, altri milieu che si connettono al nostro.

Riferimenti bibliografici
B. Latour, Some advantages of the notion of “Critical Zone” for Geopolitics, in “Procedia Earth and Planetary Science”, n. 10, 2014.
G. Simondon, Immaginazione e invenzione (1965-1966), a cura di R. Revello, Mimesis, Milano 2023.

Kristupas Sabolius, Immaginazione. Al di là dell’antropocene, Castelvecchi, Roma 2024.

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