Dovremmo avere una certa urgenza nel leggere il lavoro collettaneo, Il Trauma di Lacan. Ripetizioni singolari dello stesso (Galaad Edizioni 2024), curato da Celeste Righini, poiché in un libro snello ed asciutto, il lettore vi troverà un’armoniosa sintesi della concettualizzazione di Lacan sul trauma, sulle sue svolte teoriche, partendo da un punto argomentativo singolare che è stato consegnato a ciascuno degli autori, ovvero di includere o iniziare il ragionamento da ciò che del corpus teorico dello psicoanalista francese ha fatto trauma nelle loro vite così come ci ha indicato lo stesso Lacan, il quale ammette che è stato aspirato dalla psicoanalisi durante la cura di Aimeé, Marguerita Anzieu, mentre si dedicava allo studio della follia femminile (Lacan 1971/1972). Qualcosa di questo incontro, evidentemente, ha fatto segno, deviando ed incanalando la sua professione di medico verso la psicoanalisi anziché seguire quella della psichiatria. Non vi è modo migliore, pensiamo, per avvicinarsi ad un’ulteriore analisi e lettura del trauma; in ogni contributo ed in filigrana, si può estrarre ciò che del pensiero di Lacan, continua a riverberarsi e a fare colpo nelle penne degli autori. Vi sono diverse altre ragioni, non secondarie, le quali ci motivano a suggerire questo lavoro di psicoanalisti, filosofi e studiosi impegnati nell’esegesi del pensiero spesso enigmatico e barocco di Lacan e, in questa sede, proveremo a precisarle.
Un’altra riflessione per la quale è necessario ritornare ancora su questo argomento, risiede nell’importanza di marcare e specificare l’idea del trauma secondo il vertice psicoanalitico poiché basta fare un giro sui social, per farsi un’idea di come questo aspetto sia diventato così centrale in tutti i modelli di psicoterapia ed ancora nelle conversazioni più o meno accademiche anche dei non addetti ai lavori, tanto da farlo divenire un concetto plastico, flessibile, nel quale confluiscono le esperienze più disparate e si fatica a percepirne le coordinate di base. Per tutti costoro il trauma sembra essere il mostro da combattere nel quale si annidano forze oscure, ricordi scabrosi, cause immobili, carie purulente da curare e rimuovere. In questa direzione il trauma esercita un appeal tutto suo e muove un mercato economico non indifferente, attirando orde di operatori della salute ben felici di acquisire tecniche per farvi fronte, estirparlo, bonificarlo. Il recente trauma collettivo del Covid ha dato un’ulteriore spinta propulsiva a questo movimento, generando l’idea che questa ferita collettiva abbia prodotto effetti sulla salute mentale e dunque attivando un caldo invito, rivolto agli operatori sul campo, di acquisire le opportune antropotecniche al fine di cercare di contrastarlo.
In queste ultime righe risiede un’altra delle ragioni per le quali è importante frequentare questo lavoro di scrittura sul tema del trauma nel senso che specifica in modo puntuale e teoricamente fondato come la psicoanalisi orientata dall’insegnamento di Lacan in particolare, insista sul fatto che il trauma è in fondo una questione soggettiva e non Universale; è di ciascuno anche se tutti lo registrano. Per proseguire il nostro ragionamento è bene dichiarare che una violenza, un terremoto, una perdita sono significanti, elementi di lingua e, quindi, di linguaggio. Bisogna accettare che il linguaggio dà voce al reale, lo presentifica, anche quando non vi è il dato empirico. La realtà oggettiva esiste in quanto condivisa da un linguaggio al quale tutti (o quasi) si appoggiano.
L’ avvenimento sarà pure collettivo ma la ferita è del singolo e non è detto, inoltre, che lo diventi. Lo diventa, questa la tesi della psicoanalisi, per un soggetto che per ragioni inconsce (combinazioni del significante) decide un collegamento, del tutto inconscio, tra evento Universale e qualche divin dettaglio della sua singola e personale vita: a quel punto l’evento generale lo riguarda, gli parla. Lo stesso può valere anche leggendo un libro nel quale s’inciampa in qualcosa che risveglia, a posteriori, ciò che giaceva lì, sepolto, da qualche parte (Lolli, p. 11).
Il secondo punto da mettere in evidenza è che, per Lacan, un primo e universale trauma è dato dall’avvento del linguaggio o meglio dall’ingresso dell’individuo in un mondo linguisticamente articolato del quale non conosce i codici e non ha un vocabolario per parteciparvi. Nell’esegesi lacaniana il trauma fondamentale di ciascuno è con il linguaggio, da intendersi, nello specifico, come un’articolazione significante che separandoci dal corpo biologico, ci «divide, ci afferra e ci perde, ci prende e ci lascia, dunque ci fa essere lasciandoci nello sconforto» (Pagliardini, p. 125), ma, prima di fare ciò, ci scrive. Il linguaggio alterizza l’essere biologico fatto di un sapere istintuale predeterminato, disarticola la sua natura biologica, ricomponendola culturalmente e trasformando l’organismo in un corpo senziente. È impossibile non incontrare il linguaggio-mondo e questo incontro è, al suo fondo, un trauma, un urto.
Gli autori di questo contributo bordano tutti il fatto che il linguaggio al quale si riferisce Lacan nel suo ultimo insegnamento non è costituito solo da una struttura di linguaggio articolato, da una lingua parlata, ma ancora prima di declinarsi in qualcosa di organizzato e di sintatticamente fluido è contraddistinto dall’essere uno sciame, un’atmosfera, un agglutinamento tra parole, suoni, rumori e brusii. Ora bisogna intendere che non vi è molta distanza tra questo sciame che Lacan nominò la Lalingua ed un terremoto, una violenza, un lutto o il covid per elencare dei traumi linguisticamente condivisi e fattuali. L’impatto del linguaggio è, per il soggetto umano, un vero e proprio Big Bang che inaugura uno spartiacque tra ciò che c’era prima e ciò che verrà. Con la Lalingua, Lacan si inoltra in un versante del linguaggio distante dall’articolazione ordinata di elementi discreti, ma si accosta a qualcosa di vicino al suo punto d’impatto, il quale non è che un impatto non articolato; un rumore improvviso, un suono, un farfugliare che si prende dall’aria. «Siete nati da due germi che non avevano nessun motivo di unirsi a parte questa strana cosa che si è convenuto di chiamare amore» (Lacan 1998, p. 17). Quest’affermazione sta a specificare che l’impatto avviene a caso, senza una ragione a monte.
In questa direzione troviamo anche una diversa concettualizzazione del trauma che se in un primo momento viene attribuita all’apporto del linguaggio, formalizzando la funzione del significante, con il tempo si concentra sulla collisione/incontro con il linguaggio mettendo maggiormente in quota il corpo, il godimento ed il reale. Qui si scrive la tyche, ricorda Lagattolla (p. 96), l’incontro che è appunto malvenuto, illegittimo, fuori luogo, esso s’impone come insensato ed a caso. Quando viene aspirato dal simbolico diventa ripetizione come surrogato, fac simile, dell’evento. Il simbolico cerca di fornire al trauma coordinate di senso ma, tuttavia, fallisce. Siamo dunque alle prese con un ragionamento tardivo di Lacan il quale comincia a farci intendere che il simbolico non ha tenuta, è bucato, insufficiente.
L’insistenza della psicoanalisi lacaniana sul ruolo del linguaggio può certamente disorientare perché, come evidenzia Pagliardini (p. 122), è del tutto evidente che molti traumi si consumano senza parole, non sembrano scanditi dal linguaggio. Una posizione, quella psicoanalitica, difficile da sostenere e che potrebbe apparire ingenuamente controcorrente allorquando ribadisce che il trauma è un’esperienza angolata, personale. Appare, questa, una testarda postura da terrapiattisti e negazionisti in quanto è evidente che il colpo è lì, oggettivo, visibile, rumoroso. Anche per la psicoanalisi lo è con l’aggiunta che, a fare trauma, non è l’evento Universale ma il modo singolare con il quale questo arriva a toccare il soggetto, come lo marchia. La psicoanalisi orientata dall’insegnamento di Lacan, in particolare, che inclina gli scritti degli autori di questo libro, nomina questo urto cèd’luno, significante unario, tratto, marca. Si tratta di ingrandire, come con un microscopio, il momento/punto/luogo nel quale l’urto impatta il soggetto, in particolare il corpo. Un momento che non è dato dall’avvento dell’evento, ma che può dislocarsi non solo in un tempo secondo e, soprattutto, presentificarsi attraverso dei significanti che ne costituiscono il sembiante: significanti che hanno con l’urto un’assonanza e /o una consonanza non sempre di senso. Ed è a partire dall’urto, che si deposita a caso in quel significante per ragioni del tutto inconsce, articolate dal soggetto dell’inconscio e non dal soggetto della coscienza, del raziocinio e della percezione, che sorge il soggetto con le sue identificazioni, sintomi, angosce nel tentativo di attenuare, incanalare, dispiegare senza troppi ulteriori sussulti ed effetti questo evento precipitato nella sua vita.
L’insistenza di questa esegesi psicoanalitica del trauma, è dovuta a metterne in valore il rovescio: questo non è solo un evento che può schiacciare un’intera vita togliendo ogni prospettiva futura, ma è il punto d’insorgenza del soggetto umano. È la necessaria forza perturbatrice che sveglia il soggetto dal suo sonno eterno, dalla sua vocazione all’inorganicità, alla nirvanizzazione della vita come ha messo in luce Freud in Al di là del principio di piacere (Bollati Boringhieri 1977).
Ci teniamo, altresì, ad indicare un’altra tesi scabrosa di questo libro che annoda trauma e ripetizione in modo meno urticante e pessimista augurandoci che i cuor-contenti trovino qui una pacificazione. Essendo il trauma un incontro mancato con il reale nel quale qualcosa sfugge, esso tende a ripetersi in quanto non cristallizza, non immobilizza, non si con-fonde con l’Altro. L’incontro è sinonimo di toccare, ci ricorda Fanelli (p. 80), ma il toccarsi non significa aderenza ma lasciare uno spazio; è un appoggio contro, un aiuto non adesivo, un avvicinarsi sui bordi. Ancora una volta il Trauma è tra, ovvero indica uno spazio ed un’entrata. E se tende a ripetersi vuol dire che è stato, comunque, un buon incontro, sempre soddisfatto. Cosa vuol dire che rimane un buon incontro? Significa indicare una tesi controcorrente e controintuitiva poiché è certo che nessuno si dirigerebbe, nuovamente, verso ciò che gli ha procurato un dispiacere. Ma già a partire da Freud nel testo citato precedentemente, sappiamo che per l’animale umano non è così: piacere e dispiacere sono tacche di uno stesso regolo, per dirla con Wittgenstein (Virno 2013, p. 69). Per il soggetto dell’inconscio non vi è differenza e può dirigersi indifferentemente, verso l’una o verso l’altra sensazione. Il colpo, l’urto è il sito di un piacere primordiale, mitico, da ripetere, da incontrare ancora una volta, anche perché si declina lungo lo stesso regolo. L’amore questo lo sa bene, non per caso è l’a-mur (amore/muro) il significante che mette insieme questa possibile impasse del legame. Dunque il trauma costituisce una cerniera, un punto cardine, un perno dove ruotano identificazioni, sintomi, legami. Ma c’è una questione ancora da non eludere a la puntualizza Pagliardini (p. 134); ovvero ciò che il meccanismo significante non può articolare è la sua stessa presa, il punto d’impatto. Questo eccede il meccanismo significante e ci restituisce la differenza assoluta che ciascuno è. Ovvero l’impatto scrive il ciascuno su cui impatta. Ciò ci porta a dire che non ci sarebbe soggetto umano senza questa scrittura, lettera, marchio, numero. Il trauma è l’incidenza di un corpo estraneo che può diventare una perla, scrive Cimatti (p. 40).
Se non ci fosse impatto, e non può non esserci, il soggetto cadrebbe fuori dalla scena mondo, come nelle melanconie più catatoniche. Vi è dunque una causa-urto, un cèd’luno, che costituisce l’accensione di una miccia per dirla con Lolli la quale innesca e scrive nel corpo un eccesso vitale, un’alterazione della quale il soggetto vuole liberarsi ed è per questo che si rivolge all’Altro nel “disperato” tentativo di localizzare e dunque pacificare il fastidio. Del godimento, ci ricorda Lacan, non ne vogliamo sapere (Lacan 1967 p. 277), ed anche nei sogni, come quelli di angoscia, ritroviamo un modo di questo impatto che si ripete (Villa, p. 30). Ora è bene precisare, come ci ricorda Cimatti, che non vi sarà mai una coincidenza tra sapere e verità ed è bene che non vi sia: «L’importante Lacan, non è tanto che il linguaggio dica o non dica la verità, ma che essa aiuti-semplicemente»(Lacan 1998, p. 14). Questa non coincidenza, questa scrittura assoluta, irrelata, al limite del somatico aggiunge Righini (p. 63), produce effetti di corporizzazione, di scrittura dell’ordine del numero, la quale interroga la clinica e la sua prassi.
Insomma il trauma, il suo urto, s’inscrive continuamente nel corpo dei soggetti umani (come una lava che sebbene il vulcano sia spento continua a scorrere nel sottosuolo) lasciando buchi. Nel testo Il fenomeno Lacaniano lo stesso Lacan illustra con una similitudine questo concetto: dobbiamo pensare ai significanti come dei proiettili che crivellano una superficie liscia, producendo dei fori. I significanti ai quali siamo esposti producono, dunque, delle aperture. Il soggetto non è altro che il tentativo di risposta a queste faglie. Contrariamente dunque alle psicoterapie orientate dal discorso del capitalista che vogliono otturare, saturare, bonificare queste fessure, attraverso una pedagogia mirata, in questi scritti si evidenzia invece come esse vadano lasciate aperte in quanto possono essere ampiezze che situano dei corridoi tra spazi diversi, segnano un tra, un entre come specifica Lacan, il quale gioca con l’omofonia per indicare sia il tra che entrare. Un varco, specifica Fanelli che si pone su due orizzonti clinici; quello della perdita e del significante e quella del godimento che non vanno trattati come delle sliding doors ma annodati (da qui la figura del nodo che ha catturato Lacan nella fase finale del suo insegnamento. Il nodo tiene insieme, non compenetra, non amalgama, non confonde). Il Trauma è dunque uno spartiacque, una porta d’ingresso del soggetto nel mondo o della sua fuoriuscita.
Con l’intuizione del buco, che padroneggia gli ultimi scritti di Lacan, ci troviamo con un pensatore che, per dirla con G. Cima (Cima 2024), ha un’intuizione illuminata ponendo la questione del buco come qualcosa che può essere dimostrato attraverso la topologia, ma non detto. Il pensiero di Lacan dunque si fa più scarnificato, materialista, immanente, pratico, si riduce all’osso. Al posto della mancanza che è un’assenza simbolica, un significante perduto che ratifica il soggetto in quanto mancante, sospeso e quindi rappresentato dal sintomo, dal discorso, dalla ricerca dell’altro nel tentativo di rappresentarsi nel mondo, abbiamo ora il buco poiché, come detto, l’Altro non tiene, vi è una falla, una perdita. Precisa ancora Lacan: «Il buco che si trova al centro del linguaggio vale quanto il buco che si trova la centro di questo corpo, di cui conosciamo unicamente le proliferazioni immaginarie» (Lacan 1998, p. 21). Siamo dunque ad una fondamentale svolta anche in funzione della clinica che questo contributo collettaneo non dimentica di chiamare in causa, per la quale adesso è centrale l’incontro con l’Altro, da intendere come il punto d’incidenza, l’urto traumatico con la materialità del significante, con il tratto singolare, irriducibile all’universalità del significante. Qualcosa si scrive, ma non è articolato, è nell’ordine della lettera, del numero. Da qui prende forma un riferimento all’ideogramma, che appare nella copertina del libro, ovvero di una scrittura legata al gesto singolare. Siamo alle prese con una nuova versione del trauma che per rappresentare il punto d’incidenza non si serve più del linguaggio prolisso del significante, della mancanza ad essere, ovvero del campo semantico della scrittura, scrive Napolitano (p. 104), ma dell’accezione materiale del segno, della scrittura come traccia. È il significante della lettera a mostrare questa evoluzione; la lettera diventa segno grafico, scrittura materiale. Quest’ultima, scrive Lacan in Lituraterra, lettura sulla quale confluiscono diversi autori di questo lavoro, «non ricalca il significante bensì i suoi effetti di lingua, ciò che ne viene forgiato da parte di chi parla» (Lacan 2013, p. 15).
Ciò ci invita a sottolineare, ancora una volta, quanto il trauma sia di ciascuno, ovvero una scelta del soggetto dell’inconscio di avere a che fare con quell’evento in quanto ne richiama uno precedente del quale non avremo che un eco, scrive Pagliardini. Non potremmo mai acciuffare l’urto, ne avremo solo un’eco nel corpo. L’eco di questo impatto è il sintomo, ed il sintomo si fa corpo. Ed è grazie all’insistenza di questo troppo che il soggetto può orientarsi verso l’arte di saperci fare con l’impossibile, che può attivare le necessarie invenzioni per bordare il buco. La bocca del vulcano si borda o si salta, come ha fatto il piccolo Ernst il quale, al cospetto del buco lasciato dalla madre, dalla sua assenza, inventa il giuoco del rocchetto. Ci piace concludere questa presentazione menzionando la figura del testimone citata da Villa, poiché richiama la posizione di colui che c’è e che di fronte al trauma non indietreggia, ma testimonia la sua posizione, si risveglia, senza identificarsi, smarcandosi dall’Altro. Assume la sua ferita.
Un’ultima nota, in verità un parallelismo che facciamo grazie ad uno spunto fornitoci da Cima; in fondo l’idea del buco dell’ultimo Lacan ci avvicina al genere weird che si distingue dall’horror; il weird ci obbliga invece ad accettare che «lo scandalosamente strano e il terribile sono parte integrante dell’esistenza, una turbolenza affascinante che non si può mai placare». Il trauma è il genere weird della soggettività umana.
Riferimenti Bibliografici
G. Cima, Fiat Trou: apriamo qualche buco, in Err. Scritture dell’imprevisto, Drop 1, n° 4, Orthotes Editrice, 2024.
S. Freud, Al di là del Principio di piacere, in Opere, Vol. IX, Bollati Boringhieri, Torino 1977.
J. Lacan, Discorso all’ École freudienne de Paris, in Altri Scritti, Einaudi, Torino 1967.
Id., Il Seminario. Libro XIX bis. Le savoir du psychanalyste (1971-1972), inedito, lezione del 6 gennaio 1972.
Id., Il fenomeno Lacaniano, in “La Psicoanalisi” n.24, Astrolabio, Roma 1998.
Id., Lituraterra, in Altri scritti, Einaudi, Torino 2013.
P. Virno, Saggio sulla Negazione, Bollati Boringhieri, Torino 2013.
Celeste Righini, a cura di, Il Trauma di Lacan. Ripetizioni singolari dello stesso, Galaad Edizioni, 2024.