Britney come Spears. The Pooh come Winnie. Holly come Olivia. Nell’assurdo non-universo de Il rapimento di Arabella, secondo film da regista di Caterina Cavalli, in cui gli squarci nello spazio-tempo rendono il caso un concetto illogico, la realtà prende forma attraverso i nomi che i suoi abitanti danno alle cose. O, almeno, è quello che accade alla protagonista del film, Holly (Benedetta Porcaroli), sedicente laureanda in fisica, insoddisfatta della piega che ha preso la sua vita, in fuga verso un futuro che non riesce ad immaginare, intrappolata com’è nel suo personalissimo Bosco dei Cento Acri. 

Proprio nei romanzi di Alexander Milne e nella serie animata che ha reso celebre Winnie The Pooh in Italia, la foresta che fa da fondale alle avventure extra-ordinarie dell’orsetto diventava un set mutevole in cui ritrovare la compagnia di vecchi amici (gli animali antropomorfi che lo abitano) o perdersi tra le ombre dei suoi alberi. Locus amoenus o selva oscura, efficace allegoria dell’infanzia e della potenza immaginifica (e orrorifica) di cui forse solo un fanciullino è capace. Cosa accade se a vagabondare tra quei cento acri è una ventottenne la quale, più che in Winnie, sembra riconoscersi nella Spears dei primi duemila?

“I pull a Britney every other week” cantava Lola Young in Messy, riprendendo una locuzione gergale che rimanda a perdite del controllo, ai comportamenti eccentrici che hanno segnato la carriera dell’incona del pop. Nel film, la fervida immaginazione di Holly fa il paio con una forma di dissociazione dal reale che la porta a riconoscere in Arabella (Lucrezia Guglielmino), capricciosa bimba che incontra nel parcheggio di un fast food, la se stessa bambina. Anche Arabella sta scappando da una quotidianità non all’altezza della sua perspicacia, da un padre (Chris Pyne) in crisi di mezz’età che paga una sex worker per leggerle i suoi scritti, è invidioso di Jonathan Franzen e non paga le tasse. 

La bambina accetta volontariamente di seguire Holly e diventa complice del suo stesso “rapimento”. Il film si trasforma così in un road movie in cui Britney The Pooh (il nome che la protagonista si dà per non farsi rintracciare dalle forze dell’ordine) e Holly (come la ragazza chiama Arabella, confondendola per se stessa) attraversano uno spazio sospeso, privo di qualunque connotazione geografica, abitato figurine grottesche strozzate da rimorsi e sensi di colpa. Meta del viaggio, perduta tra la memoria e l’immaginazione, è La Creuz – il Bosco dei Cento Acri della protagonista –, dove Holly potrà, forse, rincontrare Granatina (Eva Robin’s), collega danzatrice e performer di sua madre defunta, cui potrà affidare la bambina, perché quest’ultima non commetta i suoi stessi errori, ovvero rinunciare a diventare una ballerina.

Arabella, però, non è una pedina passiva. Anche lei sta ingannando Holly assecondandone i deliri. Anche la bambina sta giocando ad un gioco di cui, però, non conosce le regole. L’infanzia è forse la culla di quelle bugie bianche che, se perseguite anche da adulti, si trasformano in illusioni castranti. La vera vittima del rapimento, allora, è la stessa Holly, illusa di poter cambiare il proprio passato, rintanata in quella fantasia, tutta infantile, di poter dare al mondo la forma che si desidera. La possibilità fanciullesca che si fa pretesa adulta di poter stare al mondo senza averne contezza. Senza fare i conti con le leggi (fisiche ed emotive) che governano la realtà.

Ma non è una resa alla razionalità, come cura ad una condizione generazionale – quella generazione che guardava Winnie The Pooh e ascoltava Britney Spears – di perdita delle certezze e dei punti di riferimento, che vuole incentivare la regista. Ciò che sembra suggerire, piuttosto, è la necessità di recuperare una capacità immaginifica dello sguardo tale da permettere di guardare oltre e attraverso le assurdità del mondo che ci si para davanti agli occhi. Senza aggrapparsi a dei feticci. Quella possibilità, tutta cinematografica, di osservare, ri-proiettare e ridare forma al reale senza mai eluderlo. La strada che, come nel precedente Amanda (2022), imbocca Cavalli: esagerare la realtà, costruire un palcoscenico straniante dove mettere in scena una tragicommedia dell’assurdo in cui, a colpi di no sense, le sue strambe marionette ritrovino il senso della loro umanità.

Solo così, forse, Holly non confonderà più il profilo di una bambina con il referente della proiezione immaginaria della sua infanzia. Potrà imparare a distinguere le sagome dei fantasmi che la tormentano dal corpo vivo di chi vuole solo accoglierla nel calore di un abbraccio. E senza rinunciare alla fantasia, potrà volontariamente vedere in uno spiedo un giradischi e immaginare di ascoltare, nel suo Bosco dei Cento Acri finalmente ripopolato di figure amiche, una canzone di Britney Spears. 

Il rapimento di Arabella. Regia, sceneggiatura: Carolina Cavalli; fotografia: Lorenzo Levrini; montaggio: Babak Jalali; musiche: Thomas Moked Blum, Noaz Deshe; interpreti: Benedetta Porcaroli, Lucrezia Guglielmino, Chris Pine, Marco Bonadei, Eva Robin’s; produzione: Elsinore Film, The Apartment Pictures, PiperFilm; origine: Italia; durata: 107′; anno: 2025.


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