Il nostro rapporto con la storia – questa era la tesi di Hilary – è un rapporto
con immagini già predefinite e impresse nella nostra mente, immagini che
noi continuiamo a fissare mentre la verità è altrove, in un luogo remoto che
nessun uomo ha ancora scoperto.

W. G. Sebald, Austerlitz

Nel settembre del 1939, quando i tedeschi sono ormai alle porte di Parigi, il fotografo Robert Capa è costretto a lasciare la città abbandonando il suo studio di Rue Froidevaux. Prima di partire, però, affida i negativi delle fotografie realizzate da lui, Gerda Taro e David “Chim” Seymour durante la Guerra Civile Spagnola all’amico Csiki Weiss, il quale prova a inviarli in Messico. Non ci riuscirà: Csiki, così come Capa, verrà imprigionato e portato in un campo di prigionia in Marocco, e da quel momento si perderanno le tracce di 4500 negativi fino a quando, dopo quasi 70 anni e diverse traversie, gli scatti arriveranno all’International Center of Photography di New York.

Le vicende della maleta mexicana – qui brevemente riassunte – sono note a chiunque si occupi di fotografia. E non solo perché i 126 rullini ritrovati all’interno della valigetta sono stati realizzati da tre dei fotografi che maggiormente hanno ridefinito i codici del fotogiornalismo – quasi tutti i negativi risalgono al periodo spagnolo e portano la firma di Capa, Seymour e Taro tranne due rullini di Fred Stein realizzati a Parigi – ma anche – forse soprattutto – perché hanno restituito alla luce immagini di capitale importanza e che fino a quel momento erano rimaste all’ombra della Storia.  

David “Chim” Seymour. Il mondo e Venezia, la mostra a cura di Marco Minuz e che si è appena conclusa, iniziava proprio da questo ritrovamento. Nell’attraversare i piani di Palazzo Grimani, infatti, lo spettatore veniva invitato a visionare alcune fotografie e documenti ritrovati all’interno della maleta mexicana prima di procedere verso le altre stanze della mostra. Posta a inizio e fine dell’intero percorso espositivo ma tuttavia a lato della “narrazione ufficiale”, al contenuto della valigetta veniva affidato, insomma, il compito di prendere in carico una sorta di eccedenza di tempo, ovvero quella dello scarto che intercorre tra il momento della perdita e il suo ritrovamento avvenuto molti anni dopo la morte di Seymour, Capa e Taro, un’apertura che scompagina il corso lineare degli eventi. 

Tentativo di ogni ricostruzione cronologica, del resto, è proprio la volontà di saturare le lacune, le fratture stesse del tempo, stabilire nessi causali lì dove invece ci sono salti, per produrre coerenza. Una “compattezza” che all’interno dell’installazione veniva risolta attraverso un percorso che, una volta giunti al secondo piano, si snodava tra le diverse stanze, ognuna delle quali presentava una serie: celebrità, Francia e Fronte Popolare, Venezia, Germania nel secondo dopoguerra, Europa nel secondo dopoguerra, bambini di guerra, Egitto e Canale di Suez, Israele. Il mondo a Venezia, insomma. E del resto, nel corso della sua vita Seymour ha documentato alcuni degli eventi più importanti del XXI secolo. Creatore della Magnum insieme a Capa e Cartier-Bresson, George Rodger e William Vandivert (una sezione della mostra è dedicata anche a questo atto “fondativo”) “Chim” ha saputo raccontare con grazia ed empatia la tragedia di un’Europa ridotta in macerie.

Famosi sono i suoi scatti commissionati dall’Unicef: nel 1948 il fotografo polacco viene incaricato dall’Unicef di testimoniare, attraverso i suoi scatti, la condizione dei bambini nell’Europa del secondo dopoguerra. L’obiettivo era la mobilitazione dell’opinione pubblica occidentale attraverso la documentazione della reale situazione in cui versavano migliaia di orfani, mutilati e vagabondi nei paesi maggiormente colpiti dalla follia bellica. Il risultato è una vera e propria “mappatura” – qui presentata in parte – dell’infanzia europea, una geografia dell’infanzia di indubbia potenza emotiva. Così come celebri sono le fotografie che ritraggono la Germania “anno zero” della ricostruzione, del mercato nero, delle prostitute, ma anche del processo di Buchenwald, dei forni crematori di Dachau. E ancora: i profughi di Salonicco, i bambini di Napoli, i contadini calabresi che imparano a scrivere, i seminaristi che giocano a pallavolo a Roma, i contadini di Budapest, la costruzione dello Stato di Israele.  

Nell’attraversare le stanze di Palazzo Grimani, tuttavia, l’impressione è stata quella di assistere a una ricostruzione totale, meglio, totalizzante degli eventi, un modo di ri-produrre la Storia che satura l’esperienza stessa dello sguardo. Perché le immagini, in fondo, se non vengono interrogate “contropelo”, corrono il rischio di rimanere mute, immobili nella loro fissità, cristallizzate nel passato

È tuttavia nelle foto che ritraggono celebrità come Gina Lollobrigida, Ingrid Bergman, Churchill e molti altri, così come nel racconto veneziano, che il tentativo di una presa assoluta e a-problematica degli eventi sembra allentarsi. Ed è in particolare il nucleo dedicato a Venezia a sfuggire da ogni qualsiasi forma di appiattimento. Le immagini, infatti, presentano un racconto della città frutto di un lavoro di osservazione attenta, certo, ma anche di grande ironia: non solo i bambini, i pescatori, il mercato, la fascinazione dei canali, Peggy Guggenheim, ma anche protagonisti insoliti come il piccione Arturo di cui Seymour ha testimoniato “il viaggio”. 

Seymour muore nel novembre del 1956 a Port Said: giunto in Egitto per testimoniare la crisi di Suez, “Chim” viene colpito dalle mitragliatrici egiziane insieme al fotoreporter francese Jean Roy. Ed eccola allora la vertigine della storia, il cortocircuito generato dall’impossibilità di contenere quella “eccedenza di tempo” che nessun percorso espositivo può riassumere: le foto realizzate nel 1956 in Egitto prima della morte sembrano infatti annullarsi al cospetto di quella maleta mexicana che, origine e fine, diventa l’unica forma di resistenza possibile, ovvero ciò che permette la riattualizzazione – letteralmente di riportare in vita – di immagini altrimenti opache, silenziose. 

Il mondo a Venezia, insomma, è davvero contenuto in una valigia.

David “Chim” Seymour. Il Mondo e Venezia, a cura di Marco Minuz, Palazzo Grimani, Venezia, 6 dicembre 2023 – 17 marzo 2024.

 

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