Si potrebbero invertire i termini del titolo dell’ultimo libro di Roberto Esposito, Il fascismo e noi: noi e il fascismo. Infatti, è il punto di vista che assume Esposito nell’interpretare il fascismo a caratterizzare e a connotare la peculiarità di questo saggio. Non si tratta ovviamente di un punto di vista personale, bensì della posizione ben situata da cui si considera il fenomeno fascista.
Diversi sono gli aspetti che convergono in questo “noi”: noi, qui e ora, che di nuovo torniamo a pensare il fascismo a ottant’anni dalla conclusione della sua vicenda storica; noi che – come indica il sottotitolo: Un’interpretazione filosofica – ne possiamo interpretare la durata e l’ombra che si proietta fino a oggi in quanto filosofi; noi che lo guardiamo “da sinistra”, cioè da avversari politici; noi che siamo europei, bianchi, maschi, ovvero ne condividiamo i tratti fondamentali della narrazione ideologica. Sono tutte sfaccettature, queste di un noi situato, che, rispetto al fascismo, al contempo ne misurano la distanza e la compromissione, facendo di Il fascismo e noi non solo un libro ricco e complesso, ma pure un libro che ci chiama in causa e in questione.
Esposito si è già occupato del fenomeno nazi-fascista all’interno della sua riflessione sulla biopolitica, di cui rappresenta la deriva tanatopolitica (Bíos. Biopolitica e filosofia); stavolta, però, sebbene fondamentale, la biopolitica rappresenta solo uno degli angoli prospettici della sua interpretazione filosofica. Resta il posizionamento filosofico, che consente a Esposito di selezionare e fare uso della sterminata letteratura storica sul tema per definire il suo oggetto, limitandolo ad esempio al fascismo italiano e al nazismo tedesco, ma pure per smarcare la sua interpretazione dalla ricerca di quelle analogie storicamente determinate che avallerebbero oggi un ritorno del fascismo per come la storia lo ha conosciuto.
Si può ben parlare di un fascismo “storico” in quanto è, nella forma del fascismo italiano e del nazismo tedesco, concluso. Ma ciò non toglie affatto che il fascismo possa riemergere in altre forme, si riproponessero mutatis mutandum congiunture affini a quella degli anni Venti e Trenta, come una crisi diffusa (democratica, sociale, economica, culturale). Eppure, non di fascismo “infinito” si tratta; a durare non è il fascismo storico, bensì la sua “macchina metafisica”, questa è la tesi “filosofica” di Esposito: «La macchina funziona acquisendo ciò che di volta in volta rappresenta la polarità contraria in un processo egemonico costruito attraverso questa stessa dialettica» (Esposito 2025, pp. 29-30). Se, come nel caso del razzismo o della misoginia, alcuni tratti del fascismo storico si ripresentano con vigore tutt’oggi, ciò accade per la funzione che ancora svolgono all’interno della sua macchina metafisica, incorporando e così neutralizzando quelle istanze sociali che tendono a porre in questione un ordine costituito in evidente crisi.
Ecco perché, rendendo funzionali all’ordine istanze di dissenso o di rifiuto, il fascismo può presentarsi rivoluzionario – o trasgressivo o modernista – pur restando a tutti gli effetti conservatore, tradizionalista e retrogrado. Già Gramsci, in carcere, si poneva la questione se il fascismo potesse rappresentare una forma di “rivoluzione passiva”, cioè una forma antinomica di “rivoluzione-restaurazione”. È allora come macchina metafisica e non tanto in quanto regime politico (come voleva Arendt) che il fascismo è “totalitario”: per la capacità di sottrarre a una potenziale alternativa quelle forze rese invece funzionali al mantenimento di un ordine senza alternativa. Lo stesso Esposito a più riprese richiama una formula – questa del there is no alternative – che rimanda a dibattiti piuttosto recenti, quelli sul neoliberalismo: «Spostandosi nel campo avverso o incorporandolo nel proprio polo, non lascia spazio all’alternativa, svuotata prima ancora che possa formarsi» (ivi, p. 30).
La filosofia in questione non è soltanto quella in grado di riconoscere, astraendo dai fatti e dalle fonti che ne costituiscono la storia, la macchina metafisica del fascismo, assicurando allo studioso una certa distanza di sicurezza; anzi, al contrario, Esposito discute di quei filosofi e quelle filosofe (Bataille, Lévinas, Weil, Bloch, Marcuse, ma anche un giurista come Neumann) che una tale distanza hanno rischiato di perderla pur di penetrare nei recessi della macchina del fascismo. E non si tratta di quei filosofi più o meno direttamente compromessi con il fascismo o il nazismo, da Gentile a Heidegger, Schmitt e Jünger tra gli altri, considerati piuttosto come “contrappunto” alla linea argomentativa principale; non è infatti la filosofia del fascismo il tema di Il fascismo e noi, è piuttosto – ripeto – “noi” e il fascismo. Ovvero noi oppositori del fascismo, che per esser tali dobbiamo innanzitutto comprenderlo, comprendendo soprattutto perché ci riguarda.
Esposito – e qui risulta evidente la sua presa di posizione rispetto ai dibattiti più recenti sul ritorno del fascismo – non trova che la postura antifascista sia la più efficace nella lotta al fascismo di oggi. Non certo perché l’antifascismo un’efficacia storica non l’abbia avuta, si è rivelato anzi decisivo quando il piano è stato quello della contrapposizione frontale, della Resistenza e della guerra civile. Il problema sorge invece quando il piano dello scontro è quello “ideologico”, quando si rischia che le forze antifasciste possano fornire carburante alla macchina del fascismo, oliandone gli ingranaggi della propaganda. Certamente, per noi, questo è l’aspetto più delicato del libro, ma anche quello di maggiore attualità: stando completamente fuori e contro il fascismo, totalmente immune alla fascinazione del suo discorso, l’antifascismo senz’altro è nella posizione di giudicarlo frontalmente e condannarlo, ma, con esso, giudica e condanna pure coloro che, in cerca di un’alternativa a un ordine in crisi, finiscono catturati nelle sue spire.
Il capitolo sulla psicoanalisi (Freud, Reich, Fromm) e quello su Pasolini e Littell (con Deleuze e Guattari sullo sfondo) sono i più vertiginosi, interrogando il fascista in noi: in noi europei (i titoli dei capitoli del libro – Parigi, Francoforte, Vienna, Salò – ci collocano inequivocabilmente nella nostra geofilosofia); in noi che ci sottomettiamo all’autorità pur di soddisfare il nostro desiderio – pervertito in sadomasochismo – di superiorità se non di sopraffazione; in noi maschi in ritirata che ci arrocchiamo nel patriarcato. La lotta al fascismo, insomma, comincia innanzitutto in noi stessi, proprio in noi che ci sentiamo al sicuro e ben attrezzati per non cadere risucchiati negli ingranaggi della sua macchina, e proprio per questo non sappiamo combatterlo.
Riferimenti bibliografici
R. Esposito, Bíos. Biopolitica e filosofia, Einaudi, Torino 2004.
A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 2001.
Roberto Esposito, Il fascismo e noi. Un’interpretazione filosofica, Einaudi, Torino 2025.