La Gioconda di Leonardo da Vinci è uno tra i più misteriosi ritratti mai realizzati. Il sorriso ambiguo e appena accennato della Monna Lisa ritratta è spesso considerato l’enigma principale del quadro che cattura e perturba l’osservatore. Nessuno può liberarsi del celebre sorriso della Gioconda. Ma è solo questo – il sorriso – il mistero del ritratto realizzato da Leonardo? Nel saggio Un candore affascinante, Georges Didi-Huberman mostra come in realtà il vero enigma – il perturbante – del quadro sia il luogo “impossibile” in cui fluttua la Monna Lisa. La donna appare nella tensione tra il vicino e il lontano, tra la sua fisionomia nitidamente delineata e il paesaggio alle sue spalle che si disperde, sempre di più, in una fitta nebbia. Il panorama alle spalle della Gioconda può procedere verso un luogo indefinito, accrescendo così lo spaesamento di chi osserva il dipinto, grazie alla prospettiva aerea, la grande innovazione pittorica di Leonardo. Attraverso la prospettiva aerea, infatti, Leonardo restituisce il movimento della realtà rompendo con la statica rappresentazione pittorica della realtà legata alla prospettiva “legittima” di impianto brunelleschiano-albertiano.

L’innovazione pittorica che Leonardo teorizza e mette in pratica nei suoi dipinti è il punto cruciale dell’ultimo libro di Stefano Poggi, Il colore e l’ombra. La trasparenza da Aristotele a Cézanne. Poggi ricostruisce le teorie visive e le teorie delle pratiche pittoriche che si susseguono in un lasso di tempo che va da Aristotele a Cézanne, in cui  è fondamentale la riflessione sulla trasparenza, ossia su quel “mezzo” che permette di collocare i corpi che ci circondano senza vederli ammassati gli uni sugli altri, creando quindi l’illusione di profondità, esigenza primaria del nostro sistema percettivo. Il punto di partenza di Poggi, nella sua ricostruzione storica, è il compito realistico che la pittura assume dopo l’apertura da parte di Leon Battista Alberti di una “finestra aperta sul mondo”: restituire l’illusione dei corpi distribuiti nello spazio e la finzione di una realtà che si situa al di là della stessa finestra aperta.

Se l’impianto brunelleschiano-albertiano della prospettiva lineare permette una restituzione fissa della realtà, in quanto l’osservatore è statico e coglie, attraverso la visione monoculare, la realtà in maniera altrettanto statica, è solo con Leonardo che si mette allo scoperto l’esagerata finzione della prospettiva legittima. Teorizzando e mettendo in pratica la prospettiva aerea, Leonardo mostra come il sistema percettivo dell’essere umano non permette di cogliere la realtà così nitidamente come vuole farci credere la prospettiva lineare. Chi osserva la realtà, infatti, si trova immerso nel movimento che sfugge alle coordinate spaziali geometriche di una pittura che si fa eccessivamente architettonica. Tale modo di raffigurare la realtà, nella sua esigenza di perfezione simmetrica, falsa la percezione umana non restituendo il movimento costitutivo della realtà. La prospettiva aerea di Leonardo, invece, restituisce la tridimensionalità e il movimento della realtà non più attraverso la preminenza della linea, bensì attraverso il conflitto di luce e ombra e il movimento dei colori che permettono di modellare sulla tela la realtà rappresentata.

La prospettiva aerea evidenzia l’importanza della visione binoculare per percepire la profondità e restituirla in pittura, prendendo dunque le distanze dalla visione monoculare della prospettiva lineare. Nel divenire scultoreo di una pittura che l’impianto della prospettiva lineare relegava alla rigidità architettonica, le forme create dalla pittura si generano e continuano a fluttuare nella trasparenza dell’aria che pervade tutti i corpi che esistono nel mondo. La densità dell’aria è un aspetto della realtà che percepiamo e che è fondamentale per il pittore “realistico”: infatti è attraverso la minore o maggiore densità dell’aria che si danno le variazioni di colore, i giochi di luce e di ombre. Per questo la prospettiva di Leonardo è aerea: perché è la trasparenza dell’aria che dà a conoscere le distanze tra le cose e che crea, così facendo, la profondità di cui il nostro sistema percettivo ha bisogno.

La trasparenza in questione è il diafano fondamentale nella teoria aristotelica della visione, ossia il mezzo che permette l’apparizione dei corpi colorati che ci circondano e che si danno a vedere nel momento in cui lo stesso mezzo è attraversato dalla luce. Se il diafano aristotelico è il concetto con cui le teorie pittoriche e visive si confrontano nella ricostruzione storica di Poggi, è a partire dall’innovazione pittorica che Leonardo compie teorizzando la prospettiva aerea che l’autore fa convergere le teorie fisiologiche e ottiche, riguardo al modo in cui il nostro sistema visivo percepisce i colori e la luce, e l’importanza fondamentale dell’artigianato nella creazione degli effetti di luce e nella resa del colore.

Poggi ricostruisce, così, i diversi incontri e scontri tra scienziati, filosofi e pittori “artigiani dei colori” nel campo di un sapere interdisciplinare che tenta di costruire la genesi della formazione delle immagini. Da Leonardo a Goethe, fino a Delacroix, è forte l’esigenza di indicare al pittore come restituire il movimento della realtà.Il pittore, infatti, non può restituire una realtà statica, ma deve permettere alla pittura di divenire, per dirlo con Delacroix, “un’arte della memoria” che sappia rappresentare le impressioni di una realtà in movimento nella quale siamo immersi e che non possiamo più guardare staticamente al di qua della finestra albertiana.

Poggi ricostruisce gli scontri tra Goethe e le teorie newtoniane sul colore, tra Delacroix e Ingres per quanto riguarda la preminenza della linea o del colore, mostrando implicitamente come nella sua ricostruzione storica del progresso delle teorie sulla creazione delle immagini ritornino, in maniera improvvisa, gli insegnamenti di “antichi maestri” che mettono in questione l’idea stessa del progresso scientifico che tallona la pittura. Seguendo la ricostruzione di Poggi, notiamo come la pittura, fin dai suoi primordi, non possa fare a meno degli esperimenti artigianali di tessitori che creano nuovi colori di stoffe, nel tentativo di imitare i colori della natura. Se la tavolozza del pittore è costretta a rendere il movimento a partire dai tre colori fondamentali, mettendo in questione anche la varietà astratta del prisma newtoniano, la competenza tecnica di chi usa i pigmenti può reinventare la gamma cromatica della natura concorrendo anche con la perfezione della realtà restituita dalla fotografia. È soprattutto l’impressionismo che può concorrere con la fotografia, in quanto restituisce la memoria delle impressioni dei colori della realtà portando al massimo gli effetti di luminosità e trasparenza dell’aria che creano la nostra fondamentale percezione della profondità.

La ricostruzione di Poggi si conclude con Cézanne che, nella fondamentale importanza che nella sua pittura assume Monet, riflette sullo storico scontro tra la linea e il colore, mostrando come è il colore a far scaturire da sé la linea che rimane di primaria importanza nella percezione della profondità del nostro sistema visivo. Ma Cézanne è anche il pittore che annuncia il pericolo insito nell’eccessiva fiducia che i pittori danno sempre di più al colore rispetto alla linea: la perdita della restituzione dello spazio stereometrico.

Come mostra Michel Foucault, già la pittura di Manet rompe con l’illusione di profondità di cui ha bisogno il nostro sistema percettivo, rivelando come la pittura abbia peccato nel suo tentativo di raffigurare una tridimensionalità che non le appartiene. Con Manet, dunque, la pittura inizia a eludere la restituzione illusoria della realtà e inizia a guardare alle sole due dimensioni che le sono costitutive, chiudendosi alle spalle la “finestra sul mondo” aperta da Leon Battista Alberti.

Riferimenti bibliografici
G. Didi-Huberman, Un candore affascinante, in Id. La conoscenza accidentale. Apparizione e sparizione delle immagini, Bollati Boringhieri, Torino 2011.
M. Foucault, La pittura di Manet, Abscondita, Milano 2005.

Stefano Poggi, Il colore e l’ombra. La trasparenza da Aristotele a Cézanne, il Mulino. Bologna 2019.

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