Nella storia del cinema italiano, secondo una nota definizione di Lino Micchiché, il cortometraggio documentario è stato a lungo considerato una res relicta, oggetto residuale cui non è stata riconosciuta la giusta rilevanza. Il cinema nonfiction merita invece ampiamente attenzione e riconoscimento per il ruolo fondamentale che ha ricoperto su più fronti, in tutta la parabola del cinema italiano del XX secolo: nella formazione di giovani autori, quadri tecnici e maestranze, quasi una sorta di autentica scuola sul campo; come incubatore nuove forme estetiche, fermenti di mutamento, momenti di svolta nella storia del medium; per la rilevanza numerica in termini di film realizzati e circolanti, specie nel periodo di massimo picco produttivo, ossia il secondo dopoguerra.

Da tempo numerosi studiosi si sono mossi a correggere questa errata visione del documentario come cinema “minore”, ma ancora mancava un approccio sistematico che si focalizzasse sulle dinamiche produttive e distributive, sulla dimensione economica, sui quadri legislativi che regolarono un comparto così rilevante nell’industria filmica.

Il libro di Cosimo Tassinari Il cinema documentario italiano (1940-1960). Aspetti economici, produttivi, industriali, edito da Marsilio, colma questa lacuna, affrontando il documentario italiano postbellico secondo l’ottica dei production studies e analizzandolo come sistema integrato e complesso tra produzione, distribuzione ed esercizio che procede in parallelo alla controparte del cinema fiction, con la quale stringe al contempo fitti rapporti. In ottica più generale, lo studio della dimensione economica e industriale del cinema vanta ormai una certa tradizione e dei precedenti fondamentali, dal contributo canonico di Leonardo Quaglietti alle indagini condotte da Barbara Corsi su produttori e produzione, fino alla recente riflessione storiografica sul film industriale. Integrando le metodologie dei production studies e la ricerca sui modi di produzione ai contributi della ricerca italiana e internazionale attorno allo useful cinema, Tassinari delinea un panorama assai esauriente e stratificato.

“Formula 10”, politica degli abbinamenti tra documentario e film di fiction, premi e incentivi statali, obbligatorietà della proiezione, oligopolio del comparto da parte di poche case (l’Astra, la Documento, la Corona Cinematografica): questi ed altri fattori alla base della speculazione denunciata fin dagli anni Quaranta dagli addetti ai lavori sono aspetti noti, ma spesso ricordati e riportati con semplificazioni e imprecisioni.

Il libro di Tassinari li affronta invece sistematicamente e con una metodologia rigorosa, basata sul confronto sinottico tra numerose fonti a stampa e d’archivio (principalmente dall’Archivio Centrale di Stato, dall’Archivio storico della Banca Nazionale del Lavoro, dalla Cineteca Lucana) e districando una matassa spesso assai caotica di strategie produttive e distributive, investimenti economici, rapporti con gli esercenti o con il cinema americano (aspetto fondamentale, che il volume non manca di evidenziare), ruolo delle associazioni di categoria (ANICA e AGIS), senza mai dimenticare la legislazione, che regola tutte le relazioni tra gli attori in campo.

Un solo esempio: il mito del documentario postbellico come impresa capace di garantire enormi guadagni con minimi investimenti iniziali grazie a premi e abbinamenti, quasi un’autentica gallina dalle uova d’oro per le case di produzione specializzate, viene ridimensionato dall’analisi dei numeri e delle consuetudini di lavoro: produrre documentari si rivela, a un’attenta lettura e interpretazione delle fonti, un’attività che poteva certo garantire un buon ritorno economico, ma solo a determinate condizioni, e che rimaneva pur sempre un investimento rischioso, dipendente da diverse variabili non sempre controllabili, affrontabile solo da aziende solide come quelle sopracitate, che costituiranno il famigerato “cartello” del documentario italiano.

Particolarmente importante il lavoro di analisi storica della legislazione cinematografica, che oltre a commentare le leggi e il dibattito attorno ad esse ne illustra ampiamente le ricadute sia immediate che sul lungo termine nelle modalità di produzione e distribuzione. La periodizzazione operata risulta efficace nell’articolare chiaramente il discorso anche per un lettore meno esperto in questioni di storia del cinema: il ventennio preso in esame è diviso in tre fasi, chiaramente separate da svolte legislative e politiche importanti, e prende giustamente avvio dagli ultimi anni del fascismo, in particolare dalla legge Alfieri e dalla liberalizzazione della scena del cinema nonfiction.

Evitando la facile tentazione di considerare il conflitto mondiale come una cesura di comodo per la periodizzazione, Tassinari si allinea – supportandolo ulteriormente – a un dato ormai assodato dalla storiografia cinematografica: le continuità tra cinema del dopoguerra e periodo antebellico – anche nel campo del documentario – sono numerose e rilevanti.

I prodromi della fioritura del cinema nonfiction (come di quello fiction) italiano tra anni quaranta e cinquanta vanno quindi ricercati nel panorama che si delinea a fine anni trenta, quando in Italia si struttura un apparato cinematografico solido che, pur colpito dal conflitto, avrà basi sufficientemente salde per riprendersi nel periodo postbellico.

Le elezioni del 1948 e la successiva promulgazione della legge Andreotti del 1949 aprono alla seconda fase del documentario del dopoguerra, la sua età dell’oro: un periodo di tumultuosa produzione di cortometraggi nonfiction, che arrivano alla cifra record di 1132 film presentati per l’ammissione alla programmazione nel 1955, con forte drenaggio della spesa statale dovuto al sistema dei premi e degli incentivi.

La situazione cambia profondamente con la nuova legge sul cinema del 1956, altro fondamentale tornante, che ridimensionando il sistema nato dalla legge Andreotti fa crollare la produzione e porta a una stagnazione del comparto, fino a un’autentica crisi da cui il settore si risolleverà solo agli inizi degli anni sessanta. A quest’altezza, la televisione sta ormai colonizzando le case degli italiani, e il sistema del documentario perderà progressivamente terreno, mutando profondamente le proprie caratteristiche.

A conti fatti, un’indagine come quella condotta da Tassinari sui modi di produzione e sui versanti economici e legislativi ha il merito di dare pienamente contezza delle dimensioni e della rilevanza complessiva del settore nonfiction all’interno dell’industria, confermando con numerosi dati e uno scrupoloso esame storico che, come già indicava Micciché, lungi dall’essere un aspetto accessorio o una res relicta, il documentario fu invece un pilastro centrale del sistema cinematografico nazionale nel suo ventennio di massima espansione.

Riferimenti bibliografici
B. Corsi, Con qualche dollaro in meno. Storia economica del cinema italiano, Editori Riuniti, Roma 2001; Id., Produzione e produttori, Il Castoro, Milano 2012.
L. Miccichè, a cura di, Studi su dodici sguardi d’autore in cortometraggio, Lindau, Torino 1995.
L. Quaglietti, Storia economico-politica del cinema italiano 1945-1980, Editori Riuniti, Roma 1980.
F. Pitassio, F. Pierotti, a cura di, Immagini industriose. Film e fotografia industriali nella cultura visuale italiana: interfaccia, evento, archivio (1945-1963), in “Immagine. Note di storia del cinema”, 19, 2019.

Cosimo Tassinari, Il cinema documentario italiano (1940-1960). Aspetti economici, produttivi, industriali, Marsilio, Venezia 2024.

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