Il Festival di Sanremo resta una delle grandi rappresentazioni nazionalpopolari non solo del gusto e delle tendenze musicali del paese, ma anche del suo senso comune. Non importa chi vince o chi perde. È successo, e succederà ancora, che canzoni arrivate tra le ultime al festival scalino la vetta delle classifiche di vendite – posto che, nell’epoca post-discografica della musica, si possa ancora usare questo criterio per misurare l’indice di gradimento del pubblico. Allo stesso modo, a essere premiate non sono per forza le canzoni più innovative dal punto di vista della musica o dei testi. Si verifica anzi spesso un divario tra la classifica ufficiale del festival e la fortuna delle canzoni. È un divario quasi strutturale alla definizione delle gerarchie di valori estetici e culturali rintracciabili dietro la musica leggera italiana. Nella geografia disegnata da questo divario, la graduatoria stabilita dal festival è sotto ogni profilo reazionaria.

La canzone vincitrice, Brividi, interpretata da Mahmood e Blanco è reazionaria dietro le apparenze della provocazione: tanto la musica quanto il testo ripropongono schemi già noti. Il fatto che l’interpretazione ammicchi, ma ammicchi solamente, alla possibilità di un amore tra due uomini non modifica il giudizio. L’omosessualità non rivoluziona più l’idea di amore di un’intera società. Accade piuttosto il contrario: la società assimila alla sua idea superficiale e in definitiva adolescenziale dell’amore come passione solitaria l’immagine dell’amore omosessuale. La dichiarazione, secondo cui i due giovani interpreti avrebbero chiesto il “nullaosta” delle rispettive madri prima di cantare la canzone, non fa che confermare il loro carattere reazionario.

Sanremo prevede ovviamente delle eccezioni: a volte anche le canzoni innovative sono premiate. La canzone interpretata da Gianni Morandi, Apri tutte le porte, arrivata terza, sembra essere uno di questi casi. Il primo effetto che fa questa canzone, sia per il ritmo che per il testo, è che il vecchio Morandi faccia il verso al giovane Morandi. Il giovane Morandi è stato uno dei protagonisti della musica italiana degli anni sessanta. Il suo profilo può sintetizzarsi in due parole: twist e provincia. Il ritmo musicale delle canzoni del giovane Morandi è in senso lato un twist da ballare con movimenti scattanti. I testi fanno eco a questo ritmo, nel senso che aprono a modi di sentire e di vivere del tutto nuovi per l’Italia dell’epoca. Allo stesso tempo il giovane Morandi è un personaggio rimasto legato al suo ambiente d’origine, la provincia, sebbene si tratti di una provincia più ricca ed evoluta della media nazionale. La rivoluzione tranquilla del giovane Morandi è tutta racchiusa nell’ingiunzione all’innamorata a farsi «mandare dalla mamma a prendere il latte» per stare da soli a discutere della gelosia per la fantomatica presenza di un terzo.

Ascoltando il pezzo che il vecchio Morandi ha portato all’ultimo Festival di Sanremo, si ha l’impressione che il cantante, dopo aver attraversato con successo altre stagioni musicali, voglia tornare alle origini. La sensazione è che il testo, scritto insieme a Jovanotti, voglia prospettare una nuova vita a questa icona musicale nazionale come cantore della generazione boomer. Boomer è infatti la pretesa, espressa fin dai versi della prima strofa del testo ed enfatizzata dal ritmo della musica, di poter tornare giovani nell’ultima stagione della vita:

A forza di credere che il male passerà
Sto passando io
E lui resta
Mi devo trascinare presto fuori di qua
Dai miei pensieri pigri nella testa
Fare qualcosa
Oppormi all’inerzia e alla sua forza
Che rammollisce il corpo mio da dentro
Mantenendo rigida la scorza
Ogni giorno mi sveglio e provo
A dire questo è un giorno nuovo
Se funziona o no non lo so forse sì

Significativo è il fatto che metafore pensate per indicare un movimento di rinascita, di risveglio del senso di vitalità, fenomeno comune tanto ai vecchi quanto ai giovani, possano essere lette come la trasfigurazione poetica della resistenza al progressivo irrigidimento del corpo, tipico della senilità. Analogo discorso può essere fatto sulla seconda strofa per quanto riguarda i processi di sclerosi mentale:

L’abitudine è una brutta bestia
Un parassita che lentamente infesta
Tutto quanto fino a prendere il potere
E non riesci più a reagire
Ogni giorno mi sveglio e provo
A dire questo è un giorno nuovo
Lo esplorerò
Partendo da ora e da qui

Un’opera d’arte è sempre un gioco tra particolare e universale, in cui il particolare è simbolo dell’universale e questo riempie di senso quello. Così si potrebbe interpretare la sovrapposizione tra le metafore di rivolta contro l’invecchiamento, presenti nel testo della canzone, e la condizione umana considerata in generale. Ma è nel refrain che l’identificazione tra la condizione umana e l’essere boomer assume tratti inquietanti:

Vai così vai così vai così vai così
Stai andando forte
Apri tutte le porte
Gioca tutte le carte
Fai entrare il sole
Stai andando forte
Apri tutte le porte
Brucia tutte le scorte
[…]
Se tu mi guardi una volta
Mi basta per ore
E quando il sole va via
Se tu mi fai una magia
Sento tornare l’amore
Amore amore

 

La condizione umana del boomer è quella di un’esistenza al limite delle forze rimaste, un ultimo scatto di vita, una finalizzazione di tutte le energie prima della fine. Un verso in particolare getta una luce sinistra su questa ultima spinta vitale. «Brucia tutte le scorte» si può intendere in due modi. Secondo la prima lectio l’individuo dà fondo alle scorte vitali rimaste, perché questo è vivere, sia che dopo troveremo un aldilà, sia che la vita si concluda con l’esistenza terrena: dobbiamo arrivare fino in fondo. È la lectio etica della canzone. Ma c’è anche una lectio politica: secondo questa lettura «bruciare le scorte» significa prosciugare le riserve della Terra, come oggi il mondo sta facendo, perseguendo, soprattutto in Occidente, uno stile di vita di cui ha goduto in particolare la generazione boomer, senza preoccuparsi delle generazioni future. Il boomer è troppo scafato per non sapere che la pienezza della sua vita costerà un’esistenza ai limiti della sopravvivenza a chi verrà dopo, ma non può fare altro che celebrare la propria gioia di vivere.

È una lettura aberrante del testo? Forse, ma è significativo che la canzone del giovane-vecchio Morandi dialoghi a distanza con la canzone che più ha rappresentato nell’ultimo festival la generazione Z: Ciao Ciao del duo La Rappresentante di lista. Anche qui, sin dai primi versi e poi in tutta la canzone, la dimensione intima dell’amore si mescola a quella pubblica della fine del mondo – non è dato sapere se del mondo interiore di chi canta o del mondo comune a tutta l’umanità:

Come stai bambina?

Dove vai stasera?

Che paura intorno

È la fine del mondo

Sopra la rovina sono una regina

Ma-ma-ma

Ma non so cosa salvare

[…]

Questa terra sparirà

Nel silenzio della crisi generale

[…]

Questa è l’ora della fine

Romperemo tutte le vetrine

Tocca a noi, non lo senti, come un’onda arriverà

Me lo sento esploderà, esploderà

La fine del mondo è una giostra perfetta

Mi scoppia nel cuore la voglia di festa

La fine del mondo, che dolce disdetta

[…]

Mentre mangio cioccolata in un locale

Mi travolge una vertigine sociale

Mentre leggo uno stupido giornale

In città è scoppiata la guerra mondiale

A differenza della canzone di Morandi, qui la fine non corrisponde alla pienezza di una vita che fa uso di tutte le sue energie. Qui la fine è catastrofica, ma non per questo è presa sul serio:

Con le mani, con le mani, con le mani

Ciao ciao

E con i piedi, con i piedi, con i piedi

Ciao ciao

E con le gambe, con il culo, coi miei occhi

Ciao ciao

E con la testa, con il petto, con il cuore

Buonanotte, bonne nuit

E bonne nuit e ciao ciao

Buonanotte, è la fine, ti saluto

Ciao ciao

Buonanotte, bonne nuit

E bonne nuit e ciao ciao

La fine del mondo è salutata con un semplice “ciao”, reso ancora più lieve dal fatto di essere rivolto a un’ipotetica persona amata, quasi che chi rappresenta la generazione Z si rivolgesse al boomer Morandi per informarlo del fatto che nemmeno lei prende troppo sul serio l’implicito monito apocalittico celato dietro la sua euforia. La Rappresentante di lista sembra dire che la fine preparata volontariamente o involontariamente da altri non è una vera fine, almeno non più di quanto lo sono stati i grandi cambiamenti storici, che hanno segnato il passaggio da un’umanità a un’altra, marcando le differenze non tanto nelle apparenze di superficie quanto nel radicarsi di nuove abitudini profonde. E se è vero che lo stile di vita promosso dall’Occidente negli ultimi settant’anni non è più sostenibile, i cambiamenti riguarderanno innanzi tutto la sfera del quotidiano.

Va aggiunto in conclusione che non si deve cadere nel tranello di vedere in questo confronto lo schema di uno scontro dialettico tra forze storicamente contrapposte. Proprio perché categorie come boomer e generazione Z non esprimono classi o movimenti realmente operanti nella società, ma solo proiezioni ideali di tali soggetti, il loro manifestarsi è quello di una cattiva coscienza, che non fa i conti con le poste in gioco sul piatto della storia.

Festival di Sanremo 2022, Teatro Ariston, 1 feb 2022 – 5 feb 2022.

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