Il bacio (Der Kuss) di Gustav Klimt è un dipinto che ci pone alcune domande: chi lo riceve? Chi è dominante? Il film di Ray non racconta la vita del pittore austriaco, conosciuto nella storia come il più grande artista dell’universo femminile, ma la storia di un’epoca in declino e l’inizio di una nuova era che sarà fatta di guerra e sangue.

Il bacio come testimonianza di un gesto, il bacio come simbolo di un atto d’amore che avviene sull’orlo di un abisso, anticamera di una parabola psicologica di cui il corpo diviene strumento di comunicazione. Così la regia di Ali Ray ci restituisce l’opera forse più rappresentativa della Secessione pittorica viennese all’inizio del Novecento, con uno sguardo sospeso tra la tecnica dello Jugendstil che invadeva l’arte del secolo e il sostrato sessuale dell’inconscio, dei desideri e dell’erotismo. L’istinto sessuale proveniente dall’inconscio in Klimt non si fa mai patologico ma si declina magicamente tra natura e polveri dorate.

Nelle sale solo lo scorso 30 e 31 gennaio, prodotto da Phil Grabsky con Exhibition on Screen e distribuito da Nexo Digital, il film è stato presentato in forma di evento. Il film non racconta lo stupore dell’artista dinanzi alle prime proiezioni cinematografiche o i corpi intrecciati e sinuosi delle modelle in posa per il grande Gustav. Potremmo definire il lavoro di Ali Ray come un documentario sulla biografia di Gustav Klimt? No, siamo ben oltre.

La regista per un verso traccia con maestria le due linee essenziali che disegnarono la vita e l’opera di Klimt, cioé la passione e diremmo la favolosa ossessione per la bellezza femminile, e per un altro il desiderio di darle vita sulla tela, con tutti gli elementi pittorici che tecnicamente appartenevano allo spazio, alle linee e alle geometrie circostanti. In questo senso anche l’opera di Klimt non abbandona mai la dimensione realistica dell’amore e della vita. Quest’ultima si fa preludio di un inconscio tanto sconosciuto quanto mistico e mitologico.

C’è nell’arte di Klimt quel tormento sobrio, appena percepibile, del buio e del male oscuro, probabilmente sentore dei brutali eventi storici che colpiranno l’Europa del XX secolo. Sguardi e movimenti, corpi e nervi piegati e intrecciati suggellano un momento di debolezza emotiva e fisica che sfida l’osservatore, ma che sono il preludio di un baratro, per come l’artista ne predispone le figure tra la bellezza e la sacralità cromatica dell’epoca.

Il bacio fu realizzato da Klimt nel 1908 ed è esposto praticamente da sempre nell’Österreichische Galerie Belvedere di Vienna, costò alla fondazione ben 28.000 Corone, quando già a inizio secolo Gustav Klimt era annoverato come il pittore più ricercato d’Europa. Era stato capace di costruire attorno a sé un’aura di mistero sino a diventare richiestissimo dall’alta società viennese, soprattutto come ritrattista.

Attraverso Il bacio il film ci accompagna in un’analisi contemporanea della Vienna dell’epoca. Soprattutto attraverso la scandalosa figura di un’artista capace di emergere in una città che sul finire del XIX secolo si avviava verso una fioritura culturale e artistica fatta di valzer, imperatori e uomini in alta uniforme. Una città albeggiante, alla quale gli Asburgo avevano saputo ridare vita. In questo frangente, tuttavia, Ali Ray contrappone abilmente l’incrinatura a cui si avviava Vienna fatta anche di povertà, malattie e antisemitismo.

Klimt non fa nulla per mimetizzare o minimizzare il dolore umano. E l’amore è esso stesso parte del dolore, che si esprime attraverso i corpi, i nudi, rappresentati in sequenze simboliche o astratte, sempre impreziositi da luci o colori o decorazioni che ne fecero l’artista viennese dell’Art Nouveau. L’amore è il motore centrale di tutta la vita di Klimt, l’amore che per l’artista Gustav diviene sensuale e fatale. Il nudo e la pelle non sono per Klimt ostentazione e volgarità.

A causa di questa sua sensibilità antiaccademica e controcorrente, seppure vicino alle caratteristiche della Secessione viennese, egli non poteva fare a meno di utilizzare i corpi nudi come simbolo della caducità, di tutto ciò che è fluttuante e passeggero. Se l’Art Nouveau, su cui il film focalizza il periodo culturale vissuto dall’artista, l’aveva spinto a guardare indietro verso impressionisti come Monet e Van Gogh, i dipinti di Klimt anticipavano lungamente un modo di comunicare che con l’Astrattismo e il Simbolismo condurranno gli artisti nel pieno della crisi dei linguaggi figurativi del Novecento.

L’amore per le donne, o meglio per la delicatezza femminile, da un lato, dall’altro un’Europa in trasformazione, e Ali Ray è abilissima nel docufilm a mettere al centro di questa trasformazione l’uomo e l’artista. Le accuse di oscenità ricadono su Klimt prima per il commissionamento dei pannelli decorativi per l’Aula magna dell’Università di Vienna: un ammasso di corpi nudi riempiva metà della tela. Tra il trascorrere della bellezza femminile il corpo di una donna incinta, un uomo decrepito e uno scheletro, a significare il decorrere della vita sino alla morte. Il pannello fu giudicato pornografico e rifiutato dalla committenza. I medesimi giudizi di oscenità per il Fregio di Beethoven, realizzato da Klimt nel 1902 all’interno del Palazzo della Secessione per l’esposizione viennese del 1902 dedicata al compositore tedesco.

Oscuro il rapporto di Klimt con le sue modelle, ma l’artista amava le donne che nei ritratti rendeva abbaglianti tra gli ori e i metalli. Come il celebre ritratto di Adele Bloch Bauer o le due versioni di Giuditta, iconizzate come le pitture bizantine e favolistiche o i disegni dell’arte giapponese. Emilie Flöge, musa, amante e compagna dell’artista, è la donna del celebre bacio, ma quel bacio è il bacio di un secolo, è il simbolo del fallimento del mondo ed è la narrazione di ciò che è stato nell’Europa di ieri e ciò che avverrà di lì a poco. Uno sguardo doppio che il film mette sicuramente in rilievo.

Il film biografico del 2006 sulla vita di Gustav Klimt diretto da Raùl Ruiz metteva in evidenza il ruolo doppio dell’artista e degli spazi, con delle “carrellate” che coinvolgevano le modelle e gli specchi in in una serie di movimenti speculari: lo specchio ci comunica ciò che è proibito, ciò che non è lecito nel mondo comune. E Klimt oggi, nella parabola del postmodernismo, non può più solo essere associato alla nascita della psicanalisi. L’erotismo e la sensualità del bacio sono espressi da una doppio gioco di figure. Due sono i corpi, due sono gli abbracci, quello dell’uomo e della donna.

“Chi è dominante? Chi riceve il bacio?” recita in apertura la stessa voce narrante del film di Ali Ray. “Il bacio avviene sull’orlo di un abisso, sulla sinistra c’è del terreno solido, a destra una voragine. Si tratta di amore?”. Klimt a ragion veduta degli storici dell’arte, non ha immortalato un bacio, non ha immortalato una donna fatale della società viennese. Ha reso sacre l’ossessione e la sensualità di un atto semplice, di uno scambio di sguardi. Un abbraccio tra un uomo e una donna è un addio, come nella pittura di Guttuso di molti anni e culture artistiche dopo. È un atto di difesa, è la chiusura con il mondo di ieri, quello della “vecchia Europa”.

Riferimenti bibliografici
G. Belli, E. Pontiggia, Klimt. L’uomo, l’artista il suo mondo, Skira, Milano 2022.
G. Iovane, S. Risaliti, Gustav Klimt, Bompiani, Milano 2018.
E. Pontiggia, a cura di, Gustav Klimt, Lettere e testimonianze, Abscondita, Milano 2017.

Il Bacio di Klimt. Regia: Ali Ray; sceneggiatura: Ali Ray; montaggio: Clive Mattock; musica: Asa Bennett; produzione: Exhibition on Screen; distribuzione: Nexo Digital; origine: Gran Bretagna; durata: 90’; anno: 2024.

Tags     Ali Ray, arte, corpo, Klimt
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