“Il pensiero complesso è aperto non solo alla critica — cosa che dovrebbe essere lo statuto di ogni teoria scientifica, filosofica e politica —, ma aperto anche al proprio superamento, aperto all’ignoto, aperto alla stranezza dell’esistenza, del mondo e del soggetto”. Così twitta Edgar Morin, alla vigilia del suo centesimo compleanno, festeggiato l’8 luglio in molte parti del mondo. Pensatori di questo tipo sono rari in un secolo e persino in due secoli. Edgar Morin è uno di essi; e lo è per il XX e il XXI secolo.
È stato definito il filosofo della complessità e anche l’umanista planetario. Entrambe le definizioni descrivono il suo grande progetto generativo e rigenerativo della conoscenza e dell’umanità per affrontare l’epoca planetaria: raccogliere la sfida della “complessità” — da complector: “intrecciare” — rintracciando e riattivando le dimensioni molteplici e interrelate che definiscono l’umano e che sono state separate dagli specialismi disciplinari: la cultura e la natura, la razionalità e l’affettività, il logico e il simbolico, il reale e l’immaginario, l’individuo, la società e la specie, etc. Il perseguimento di questo progetto implica la formulazione di un metodo interdisciplinare e transdisciplinare della conoscenza, volto a creare una relazione dialogica fra le discipline e fra le scienze umane e sperimentali.
L’elaborazione metodologica, che culmina nell’opus magnum di Edgar Morin, Il metodo in sei volumi (1977-2004), diviene, più in generale, l’impegno di una vita di ricerca multidimensionale costantemente rivolta a esplorazioni molteplici che hanno dato origine ad alcune decine di volumi, tra i quali, L’uomo e la morte (1951), L’anno I dell’era ecologica (1972), Il paradigma perduto. Che cos’è la natura umana? (1973), Terra-Patria (1993), La via. Per l’avvenire dell’umanità (2011), La fraternità. Perché? (2019).
Il pensiero complesso non mira a una sintesi totale e tantomeno esaustiva della conoscenza, né ad una teorizzazione univoca, razionalizzatrice o normatrice. Riconosce, anzi, il valore e la ricchezza delle prospettive derivate dalle discipline e anche dagli specialismi, tentando di articolarli in un dialogo plurale per evitare quanto più possibile la semplificazione e l’unilateralità, il riduzionismo e il dogmatismo, con la piena consapevolezza dell’incompiutezza e della soggettività di ogni sapere, incluso quello del pensiero complesso medesimo, il quale rimane aperto all’incertezza e al dubbio.
Dall’interrelazione fra le conoscenze sorge una cosmo-antropologia che radica l’umanità nell’universo fisico attraverso il riconoscimento della comunanza con altri enti del cosmo non solo delle strutture costitutive fondamentali (atomi, molecole o patrimonio genetico), ma anche di uno statuto di soggettività, immesso nell’ecosistema terrestre, in costante e metamorfica auto-eco-organizzazione. Dall’interrelazione fra conoscenze nasce anche ciò che possiamo denominare come un’“ontologia evolutiva e relazionale dell’umano”, la quale si fonda sull’idea di un’unità molteplice dell’umano, data dalla reciproca influenza fra le dimensioni individuale, sociale e di specie.
Nell’elaborazione del metodo (etimologicamente: “ricerca, indagine, via per giungere a un determinato luogo o scopo”), tra le prime e principali vie percorse, Edgar Morin incontra il cinema e i media, che concepisce quali dimensioni umane della relazione cognitiva, sensibile ed esistenziale con il mondo e come effetti e al contempo cause dell’evoluzione complessa dell’umanità. Nello sviluppo dell’ontologia evolutiva e relazionale dell’umano, Edgar Morin assume così i media come la sfera privilegiata di un’indagine al contempo metafisica ed empirica, multidimensionale e transdisciplinare sull’uomo, la sua evoluzione e la sua conoscenza.
Questa esplorazione è espressa, da un punto di vista teorico, soprattutto nei volumi Il cinema o l’uomo immaginario (1956), Le star (1957), Lo spirito del tempo (1962-1975), Sul cinema, un’arte della complessità (2018). Mentre la sperimentazione pratica è effettuata tramite l’esperienza estetica di creazione, attuata come regista, insieme a Jean Rouch, di Chronique d’un été (1961) e come sceneggiatore di L’Heure de la vérité (1965) di Henri Calef, nonché come autore del soggetto del film Où va le monde? (1994) sulla globalizzazione osservata attraverso i volti e le voci di persone di culture diverse.
Considerate ormai altrettanti capisaldi per campi studi, tra i quali, l’antropologia, la sociologia, la filosofia, l’estetica, i film e visual studies, queste diverse esplorazioni dei media sono all’origine di una concezione del transfert inteso come fenomeno fondamentale della conoscenza sensibile o comprensione attuata fra gli esseri umani e fra questi e gli altri soggetti del cosmo. Modo della conoscenza, questo, che Edgar Morin considera peculiare dei processi mediali sia di creazione sia di fruizione nonché capace di aprire scenari ancora troppo poco esplorati: “La nostra società della comunicazione non è ancora una società della comprensione”. Si tratta di scenari favoriti dallo sviluppo di una sorta di koinè globale che sta determinando la condivisione planetaria di un linguaggio iconico universale e anche di un paradigma al contempo culturale ed estetico, cognitivo e sensibile, sempre più globale.
La progressiva condivisione di questo particolare paradigma è correlata alla qualità primaria dei media, ossia quella di costituirsi come “una favolosa noosfera estetica moltiplicata e disseminata” nel tempo e nello spazio globali e di divenire via via un sistema percettivo-cognitivo semi-artificiale mondiale, che intensifica ed estende la sensibilità e il pensiero, nonché, appunto, facoltà della comprensione individuale, sociale e di specie, con conseguenze cruciali che riguardano anche la relazione con gli altri soggetti del cosmo.
Di certo, nella concezione antropo-bio-eco-politica di Morin, rimane un grande potenziale ancora inespresso nel sistema mediale dal punto di vista dello sviluppo sia di una comprensione complessa sia di un umanesimo planetario. Instaurando una dialogica che superi le tradizionali dicotomie tecnofobia/tecnofilia, mediofobia/mediofilia, iconofobia/iconofilia potremmo avvalerci della noosfera estetica dei media come di un patrimonio senza precedenti di risorse e nutrimenti per lo sviluppo di una conoscenza complessa e per l’evoluzione di un umanesimo planetario. L’umanità si evolve o si involve anche attraverso e grazie alle immagini e ai media, benché generalmente siamo propensi a pensare solo che essi esistano e si sviluppino attraverso e grazie all’umanità.
Quella insita nello sviluppo mediale è perciò una delle principali sfide della complessità che può essere affrontata in nome non tanto della tecno-economia, quanto piuttosto, come suggerisce Edgar Morin, di un fondato e concreto umanesimo planetario.
Riferimenti bibliografici
AA.VV., Cento Edgar Morin, a cura di M. Ceruti, Mimesis, Milano 2021.
E. Morin, Sul cinema, un’arte della complessità, a cura di M. Peyrière e C. Simonigh, Raffaello Cortina, Milano 2021.
Id., Le star, Cue Press, Bologna 2021.
Id., L’uomo e la morte, Il Margine, Trento 2021.
Id., Il paradigma perduto. Che cos’è la natura umana?, Mimesis, Milano 2020.
Id., Lo spirito del tempo, a cura di A. Rabbito, Meltemi, Milano 2017.
Id., Il cinema o l’uomo immaginario. Saggio di antropologia sociologica, Raffaello Cortina, Milano 2016.
Id., Il Metodo, 6 voll., Raffaello Cortina, Milano 2001-2005.
Edgar Morin – Parigi, 8 luglio 1921.