“Vi ho mai raccontato la storiella su Lagrange?”. Finivano spesso così le equazioni che Giorgio Parisi cominciava a scrivere sulla lavagna dei corsi che teneva nel Dipartimento di Fisica della Sapienza. Noi studenti non avremmo mai scoperto cosa ci fosse dopo l’uguale, perché Parisi non avrebbe mai più completato quell’equazione, perso nei meandri della sua vasta aneddotica sui protagonisti della scienza. È fatto così l’ultimo premio Nobel italiano per la fisica, in tutti gli aspetti della sua vita. Una persona che ama ciò che fa e fa ciò che ama, eludendo in maniera inconsapevole, quasi ingenua, qualsiasi preconcetto, pregiudizio o stereotipo del polveroso accademico o del cervellotico scienziato.
Ho conosciuto il Professor Parisi durante i miei anni di studio alla Sapienza, cominciati ormai dieci anni or sono e conclusisi già da un po’. Parisi non aveva bisogno di vincere alcun premio svedese per essere considerato una celebrità all’interno dell’edificio Guglielmo Marconi; tutti gli studenti sapevano chi fosse e quale fosse la sua caratura. Ma nessuno, all’inizio della laurea triennale, aveva idea di che tipo fosse. Magari qualcuno indulgeva in quegli stereotipi sopracitati, immaginandosi un dotto professorone chiuso a fare calcoli e predizioni nella sua torre d’avorio. Ma Parisi, certamente, alle torri d’avorio preferisce le piste da ballo, dove incontrare gente e danzare in una folta folla.
Sarà forse per questa sua inclinazione che i sistemi fisici semplici, quelli in cui regnano ordine e armonia, non lo hanno mai interessato. E infatti Giorgio Parisi è uno dei massimi esperti mondiali di “meccanica statistica”, quella disciplina che risolve un problema molto comune in fisica. Non si può studiare un gas, che è un insieme di particelle (tante particelle, troppe particelle) interagenti tra di loro, scrivendo le equazioni del moto per ognuna, come si fa per un pianeta che gira intorno al sole. Semplicemente non ci si riesce, è un limite sia teorico che pratico. Si può invece fare una trattazione statistica del sistema e sperare di riuscire a predire alcune grandezze cumulative. Ad esempio la temperatura, che non è la velocità di una molecola, ma dipende dalla velocità media di tutte.
Dalle nozioni base di meccanica statistica a ciò che studia e ha studiato Parisi c’è un po’ di strada da fare. Forse un po’ troppa per questo articolo (e anche per chi lo sta scrivendo). Possiamo provare a raccontare la sua ricerca – o, più correttamente, una parte della sua ricerca, quella che gli è valsa il Nobel, perché la produzione scientifica dell’interessato è vastissima – come l’ha spiegata lui.
Immaginiamo di avere moltissimi piccoli cubi con lo stesso spigolo. Esiste un modo evidente, ordinato, visivamente appagante, per disporli in una scatola, ovvero facendoli combaciare faccia a faccia, fino a riempirla tutta. Se ripetiamo lo stesso esperimento mentale con delle sfere di dimensione diversa, ci appare ovvio che una evidente configurazione, ugualmente ordinata e appagante, non esiste. Esistono però molti altri modi di disporle e ognuno presenterà caratteristiche cumulative diverse. Cumulative, come la temperatura nel gas dell’esempio precedente, che non dipendono cioè dalla velocità di una singola componente ma dalla media di tutte.
Tutto qui, Giorgio Parisi ha vinto il Nobel perché ha descritto delle palline in una scatola. Coloro che ricadono in questa tipologia di pensieri sono gli stessi che a scuola non si sono mai appassionati ai problemi di fisica con carrelli, palline e molle. Forse perché i loro docenti non hanno mai spiegato loro perché si studiano tali sistemi, apparentemente banali e forse poco interessanti. Nessuno ha fatto mai notare loro che il comprendere i ritmi delle stagioni, la periodicità del giorno e dell’anno, la riforma del calendario gregoriano passa attraverso la stessa pratica, lo stesso metodo di chi studia il moto del cavalluccio di una giostra.
La colpa è sicuramente di una società in cui si continua a vedere la scienza non come branca essenziale della cultura, bensì come sapere tecnico e specialistico. Possiamo anche prendercela con la riforma Gentile e la filosofia crociana, come sarebbe giusto, ma è inutile rivangare il passato. Anzi, il mondo scientifico tende ad arroccarsi su questa posizione, rivendicando la sua diversità e alterità rispetto al resto del sapere. Ebbene, Giorgio Parisi è superiore anche in questo, avendo sempre rifiutato, come si diceva, torri e avorio. Oltre alla sua disponibilità come docente, il neo-Nobel si batte da anni per le condizioni in cui versa la scienza in Italia, sia da un punto di vista di ricerca che culturale.
Nel 2008 fu in piazza Montecitorio con gli studenti per manifestare contro i tagli a scuola, ricerca e università targati Gelmini-Tremonti. In quell’occasione organizzò una vera e propria lezione all’aperto, con tanto di lavagna davanti all’ingresso della Camera. Tra il 2008 e il 2012 scuola e università subirono un taglio di circa 10 miliardi di euro, perché, si sa, in Italia si scialacqua ciò che non si ha e lo si ripaga a scapito di sanità e istruzione (“con la cultura non si mangia”, disse qualcuno in quell’occasione). Nel 2016 lanciò una petizione, dal titolo “Salviamo la ricerca italiana”, per chiedere al governo di passare dall’1% al 3% del PIL da investire nella ricerca, perché, come scrisse Parisi in quell’occasione, «un Paese che non investe in ricerca, sviluppo e cultura non ha futuro». La petizione superò le centomila firme, ma non le porte del Parlamento.
Nel 2018 Parisi è poi diventato presidente dell’Accademia dei Lincei, l’istituzione scientifica più importante del Paese, e forse qualcuno ha sperato che i suoi appelli potessero avere più visibilità, ma senza successo. Nel 2021 sono infine arrivati, di seguito, il premio Wolf e il premio Nobel per la fisica, che si sono aggiunti alla medaglia Boltzmann e alla medaglia Dirac che Parisi aveva vinto negli anni novanta.
Basterà vincere il premio dei premi affinché la voce di una delle più brillanti menti del pianeta, che dà lustro e orgoglio agli italiani nel mondo, venga finalmente presa in considerazione? I fondi stanziati dal PNRR sono un’opportunità di riscatto per un microcosmo martoriato, ma è solo la volontà politica che potrà coglierla. Come ricordava Parisi in questi giorni in un’intervista rilasciata a “Di martedì” su la7, la scienza è come i fari della macchina, illumina la strada, ma è la politica che guida e prende le decisioni.
Tutta colpa della politica? Forse no, il problema è sicuramente culturale. In un’intervista di inizio anno, Parisi denunciava una forte tendenza nella società a concepire la scienza come pratica esoterica, quasi una sorta di stregoneria, «le cui motivazioni sono comprensibili solo agli iniziati», con il risultato di produrre nella società, da un lato, una concezione fideistica della scienza che sfocia nello scientismo, e dall’altro una forte diffusione di tendenze antiscientifiche. La responsabilità di ciò è degli uomini di scienza in primis, che continuano a presentarsi come «superiori al gioco delle parti e, in un certo senso, sapienza assoluta».
Insomma, forse Parisi porta a casa questo premio Nobel con gioia, ma con un pizzico di amaro in bocca nel vedere la scienza nel proprio Paese così come la descrive da tanti anni. Sicuramente eluderà questa punta di amaro cimentandosi in qualche ballo di paesi lontani, che sia Sirtaki o Forró, come ama fare. E nel vedere tante persone diverse che ballano in una grande sala forse gli verrà in mente qualche altro sistema complesso da studiare o qualche altro modello fisico. Oppure, semplicemente, vivrà qualche episodio che diventerà uno dei suoi famosi aneddoti, perché Parisi è ed è stato tutto tranne che un cupo e serio professore, custode di una sapienza esclusa ad altri.
Anzi, è cosa certa che lui andrà avanti così. A scoprire cose nuove, ballare con gioia e raccontarci tutto a mo’ di storiella. Perché è la cosa che sa fare meglio.