Come testimonia il fondo a lui intitolato presso la Bibliomediateca Mario Gromo di Torino, Elio Petri lascia diversi progetti incompiuti nell’ultima parte della vita. Il rapporto tra politica e sessualità – sempre presente, in nuce, nell’intera filmografia – emerge a questione centrale dalla trilogia della nevrosi in avanti (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, 1970; La classe operaia va in paradiso, 1971; La proprietà non è più un furto, 1973). Per esempio, sul tema si rintracciano nel fondo un progetto sulla condizione femminile (Affettuoso rapporto su una donna da cui vorremmo essere amati, forse. L’Italiana) e una serie di abbozzi di soggetto su un uomo chiamato Eros O., che non sa far altro che l’amore «con chiunque, in ogni modo, dovunque».
È merito di Alfredo Rossi – pioniere degli studi su Petri fin dagli anni settanta, amico del regista, apripista per quanti di noi, per ragioni anagrafiche, si sono intruppati nella brigata petriana solo in seguito – aver dissepolto da uno scatolone di documenti non ancora catalogati in possesso di Paola Pegoraro Petri, la vedova del regista, un dattiloscritto con correzioni a mano di 102 cartelle intitolato Giacobbe o Elaborazione di un’ossessione. Recupero quanto mai prezioso, poiché si tratta dell’unico testo teatrale di Petri e permette di aggiungere un tassello importante alla ricostruzione dell’ultima parte della produzione del regista. La pièce – divisa in dodici scene, con indicazioni per l’allestimento e rare parti incomplete nelle scene prima, terza, quinta e undicesima – viene meritoriamente pubblicata nella collana Cinema di Mimesis con un robusto terzetto di testi d’accompagnamento per inquadrarne senso e valore. Il primo di questi contributi, in chiusura del volume, consta di una breve nota preparatoria dello stesso Petri da cui emergono, tra le altre cose, rimandi al (probabilmente coevo) lavoro di adattamento di Todo Modo di Sciascia e un commento su Mario Scaccia, pensato come possibile interprete del ruolo di Benjamenta in Giacobbe.
Il volume si apre con due saggi dei curatori. Nel primo, Rossi, dopo aver ricordato le circostanze del ritrovamento dell’inedito, ne individua l’ossessione portante nell’accostamento tra l’elemento politico e la dimensione erotico-masochistica-anale, una dimensione in cui le perversioni hanno perso (ammesso che l’abbiano mai avuto) qualsiasi potenziale liberatorio nei confronti del Potere. Nel secondo, Chiesi considera le differenze sostanziali tra l’adattamento teatrale e la sua fonte letteraria, vale a dire Jakob von Gunten di Robert Walser (in edizione italiana per Adelphi, nel 1970), ma anche le continuità tematiche che legano l’ultimo Petri, quello di Giacobbe e la prima parte della filmografia del regista.
Ci sono scritti che trattengono ostinatamente gli sforzi interpretativi del lettore entro i propri confini e scritti che, al contrario, sembrano chiedere di essere valutati per la loro capacità di trascendenza testuale. Giacobbe fa senz’altro parte della seconda categoria. Tutto in Giacobbe ci parla di come il testo stesso vada letto in relazione ad altri testi: altri autori, altre opere, altre serie culturali degli anni settanta. Prima però troviamo il rapporto con lo sfuggente romanzo/pseudo-diario di Walser. Ed è attraverso le peculiarità di questo strano adattamento teatrale che emerge una serie di rimandi, di sentieri interrotti o di collegamenti con altri film, registi, scrittori. Innanzitutto nel romanzo l’io narrante è sfuggente e contraddittorio. Il protagonista entra volontariamente nella scuola Benjamenta per imparare a servire. Manifesta un desiderio di assoggettamento alle regole e all’autorità del Maestro e di sua sorella. Ma le doti mondane di Jacob, assieme al contegno aristocratico, mietono vittime, lo sottraggono almeno in parte ai proclamati intenti di auto-annientamento e ne fanno un narratore pensante, a tratti volitivo, seducente, oltre che inattendibile. Inoltre, nel romanzo gli atti di sottomissione hanno una connotazione erotico-omosessuale abbastanza contenuta: solo l’amore-infatuazione del Master per il giovane allievo/slave ha un ruolo ben definito. Petri, al contrario, immerge la scuola di servilismo in un clima di violenze e abusi sessuali continui. Sesso anale e orale, torture genitali e masturbazione imposta/subita sono gli strumenti ordinari tramite i quali, come lo stesso Petri riporta nella nota di accompagnamento al testo, Benjamenta grammaticalizza i corpi degli allievi assoggettandoli alla grammatica della servitù: ogni organo del corpo viene ridotto alla sua funzione servile, nel senso che “serve” letteralmente a qualcosa.
L’intera scena prima risponde all’esigenza di sottrarre programmaticamente il racconto ai margini di ambiguità che invece sostengono la prosa di Walser. Petri immagina un’eziologia perversa per la presenza di Giacobbe nella scuola. Il protagonista, a giustificazione della propria ferma volontà di diventare un allievo di quel bizzarro istituto, racconta di un incontro sessuale – molto queer, a rileggerlo ora – avvenuto poco prima in un cinema con un ex-allievo di Benjamenta, appena preceduto da fantasie di autocontrollo paranoide e di erotismo oggettuale innescato dalla visione di alcuni clienti in un caffè alle prese con delle tazze di panna: «[…] La panna mi lanciava appelli sessuali … ebbi voglia di fottere … ma direttamente con lei … con la panna». I dettagli – «[…] ma la panna … latte e seme … montati …» – puntano a un effetto di sgradevolezza che Petri rivendicava in quegli anni con orgoglio in scritti e interviste. Inoltre, tramite queste aggiunte esplicative, la scrittura stessa si allinea all’esigenza di chiarezza tipica del regime della perversione in cui è affondato Giacobbe e che il setting della scuola alimenta (Primo atto, Benjamenta: «Nessun malinteso qui è possibile»). Vero è che a un certo punto la tragedia scolora in farsa, soprattutto quando, nella scena ottava, la signorina Benjamenta confessa di essere solo un’attrice, si scopre che il Master della scuola è un capocomico nonché un sovrano tutt’altro che attendibile, la regola e l’eccezione alla regola collassano l’una sull’altra. Tuttavia il testo di Petri inchioda i personaggi a un’unica ambientazione, una palestra dismessa, dove l’esercizio ininterrotto dei corpi corrisponde all’idea che la violenza corporale sia lo snodo che porta a frizione le forme di assoggettamento dell’uomo, il rapporto servo/padrone, il potere. A ciò si aggiunge il fatto che Petri include tra i possibili padroni da servire la figura dell’intellettuale, descritta come particolarmente bramosa di schiavi adulatori (scena decima). Ovviamente, gli stretti rapporti stabiliti tra classe intellettuale, politica dei corpi e perversione pongono il problema dell’affinità, sempre più marcata nel corso dei Settanta, tra Petri e Pasolini.
Tra il 1974 e il 1977 tre autori maggiori della cultura e del cinema italiano incontrano il continente sado-masochista. Il primo è Carmelo Bene: il suo S.A.D.E. (spettacolo in due aberrazioni) va in scena nel 1974, mentre un altro scritto ispirato a Masoch (Ritratto di Signora del cavalier Masoch per intercessione della Beata Maria Goretti) resta un caso letterario mai tradotto in palcoscenico. Il secondo è Pasolini con Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). Il terzo, Petri. Mentre il masochismo di Bene è centrato sulla parodia servo/padrone e sulla cretineria del corpo che si infligge supplizi insensati, quello di Pasolini e poi di Petri appare subito più politicizzato, asimmetrico, irreversibile. Rispetto a Todo Modo (1976) il Benjamenta di Giacobbe è un Inquisitore assai più cialtronesco, traballante e improvvisato di Don Gaetano: è un Don Gaetano che non ce l’ha fatta. Eppure pare che almeno da Todo Modo (e ora da Giacobbe) in avanti il regista romano abbia deciso di continuare l’impresa pasoliniana, interrotta dalla morte dello scrittore, con altri mezzi. Tra i primi se ne accorge Alberto Moravia che, recensendo Todo Modo, lo include sotto l’etichetta dei film rituali – con Salò, La grande abbuffata (Ferreri, 1973) e Cadaveri eccellenti (Rosi, 1976) – film che, sempre secondo Moravia, vanno giudicati non tanto in base all’ammirazione quanto alla riprovazione che sanno ispirare. Intenti simili riemergono, in modo persino ridondante, in Buone notizie (Petri, 1979), dove sequenze di sesso mortuarie hanno per sfondo una condanna senza appello della società del godimento e del benessere che fa di Petri uno dei critici più duri della retorica della sessualità liberata degli anni settanta, secondo forse solo a Pasolini.
Infine, giova ricordare che Petri aveva immaginato per Giacobbe un allestimento con la scena inglobata in una scenografia a forma di posteriore umano, con l’orifizio-apertura rivolto verso il pubblico in sala. La funzione anale, ossessivamente richiamata nel testo, si congiunge a un’attenzione ancora marginale – ma presente – per deiezioni e umori corporei (scena settima, il servo Schacht: «Che merito ha un coprofilo a mangiare della merda? Ecco, io sono così»). Quanto basta forse per leggere in Giacobbe i primi segnali di un universo escrementizio destinato a esplodere nella proliferazione di immondizia e sudiciume tipica dell’ambientazione urbana di Buone notizie. Quanto basta in sostanza per iscrivere, quanto meno perifericamente, il Petri della seconda parte degli anni settanta in un’ampia costellazione ancora poco studiata, quella segnata dall’emergere di un interesse quasi simultaneo (seconda parte dei settanta-primi ottanta) per un immaginario distopico/apocalittico/scatologico ben presente in opere diverse fra loro come Salò, Petrolio, Spell (Dolce Mattatoio) (Cavallone, 1977) ma anche Il risveglio dei Faraoni, l’ultimo libro semi-clandestino di Mario Mieli, e i primi scritti, solo successivamente raccolti in volume, su Marx, capitalismo, analità e «pedagogia della merda» di un precursore italiano della queer theory quale è stato Luciano Parinetto.
Riferimenti bibliografici
M. Mieli, Il risveglio dei Faraoni, Cooperativa Colilibri, Paderno Dugnano 1994.
A. Moravia, Un primattore di nome Sartre, in “L’Espresso”, 30 maggio 1976, ora in Id., Cinema italiano. Recensioni e interventi 1933-1990, a cura di Alberto Pezzotta e Anna Gilardelli, Bompiani, Milano 2010.
L. Parinetto, Marx diversoperverso, Unicopli, Milano 1996.
E. Petri, Scritti di cinema e di vita, Bulzoni, Roma 2007.
A. Rossi, Petri, La nuova Italia, Firenze 1979.
Elio Petri, Giacobbe o Elaborazione di un’ossessione. Testo teatrale inedito, a cura di Roberto Chiesi e Alfredo Rossi, Mimesis/Cinema, Milano-Udine 2024.