Siamo tutti dentro un “allevamento felice”, una fattoria del divertimento, come quella di Galline in fuga, dove tutto sembra gioco e svago, ma la ricreazione infinita nasconde l’essere numerati e lobotomizzati all’interno di una catena di produzione? La psicoanalisi che ruolo vuole avere dentro questo mondo? Le Galline in fuga, film d’animazione del 2000, prodotto dalla Dreamworks Animation, ci riprovano con un secondo lungometraggio, L’alba dei Nugget, che ci ha stimolato alcune riflessioni sui presupposti epistemologici della nostra prassi di analisti.

Oggi la psicoanalisi è tenuta a confrontarsi con i propri presupposti filosofici, poiché questi hanno effetti politici. In questo lavoro cerchiamo di problematizzarne alcuni: in particolare il fatto che la psicoanalisi, la cui vocazione sarebbe quella di “aprire i cancelli dell’allevamento”, sollevare le rimozioni e seguire le “vie di fuga”, può correre il rischio di considerare “la cura” come il raggiungimento della felicità. L’allevamento felice come sintesi possibile risolve tutte le contraddizioni? Se l’allevamento dei Tweedy fosse una tesi, la fuga sarebbe la negazione. Allora potremmo anche considerare l’allevamento felice come una sintesi, ma vediamo subito ricomparire un’altra negazione, un’altra grande fuga, come se il negativo della vita fosse ostinato, esprimendo la potenza propria dell’esistente (Deleuze 1968, p. 30).

L’impostazione hegeliana, nel senso classico e “scolastico” della dialettica e della negazione, è alla base della distinzione tra umano e animale. Come lavora nella psicoanalisi? L’antispecismo diventa un utile caso di studio per cogliere e rendere visibili alcune aporie della dialettica. Il punto di vista degli Autori non sarà quello di posizionarsi all’interno delle lotte antispeciste. Cercheremo di coglierne il pensiero critico utilizzandolo prima su un piano epistemologico, poi etico. La psicoanalisi «prenda vita» (Ogden) nella direzione di una nuova sensibilità, che corrisponde al passaggio da una «psicoanalisi epistemologica» (che ha a che fare con il conoscere) a una «psicoanalisi ontologica» (che ha a che fare con le trasformazioni).

L’ulteriore sviluppo potrebbe essere quello di una “psicoanalisi etica”. Quanto è etica una visione antropocentrica del mondo? L’idea di “Uomo” è utile per organizzare la conoscenza, ma nasconde insidie. Dare un nome è circoscrivere il perimetro che include qualcosa attraverso la sua esclusione. L’antispecismo contesta la divisione specista mostrando come ogni metafisica abbia un fondamento che riflette una divisione “catastale” del territorio del vivente. Lo storpio (“crip”) è l’animale, ciò che non è umano: come il “negro”, la donna, il mostro, cade fuori dall’universale “Uomo”. Serve allora un diverso concetto di negazione, motore del movimento dialettico? Hegel è in un certo senso il nostro Platone, colui che delimita la possibilità della teoria.

Il pensiero antispecista afferma piuttosto filiazioni alternative all’interno della tradizione filosofica occidentale. Filiazioni che hanno in comune la critica ad Hegel e ad un concetto di negazione che rimanda, conservandola, ad una trascendenza. Forse una delle idee più geniali di Freud è stata quella di definire l’inconscio come una dimensione processuale nella quale non c’è “o…o…” ma solo “e…e…”, quindi senza negazione. «Omnis determinatio est negatio». La Logica di Hegel (1813) comincia proprio con questa immediatezza. Un essere vuoto, del tutto privo di differenze, in tutto simile al nulla. È indispensabile che l’essere neghi (il nulla) per esprimere la propria differenza. Ma la posta in gioco è alta già da subito. Ogni relazione tra Uno e Molteplice fonda anche una teoria dell’organizzazione sociale che può funzionare da base ontologica per il potere.

Della critica alla distinzione rigida tra ciò che è umano e ciò che non lo è, alla psicoanalisi interessa la processualità: il fatto che, come psicoanalisti, siamo impegnati a concepire il soggetto come effetto di una contaminazione costante. Catherine Malabou (1996) ne parla nei termini di una metamorfosi che non è il movimento (dialettico) della sostanza ma la sostanza stessa. Una plasticità che mette in crisi l’idea di un’essenza immutabile. È possibile farla finita con le divisioni? Essere umano significa essere quello strano vivente che si appropria del mondo separandosene, perché senza questa perdita di co-implicazioni che divengono il mondo, l’essere umano non potrebbe dire “Io sono”. In questo modo l’uomo guadagna potere e identità ma “perde”, dovendola negare, la sua stessa corporeità, la sua animalità. L’uomo è questa negazione.

Il dualismo dunque non è un’opinione filosofica da combattere ma è esso stesso il processo di creazione dell’umano (Cimatti 2023). Condizione ontologica che potrebbe essere risolta solo su un piano etico. Una soluzione potrebbe venire dall’avere a che fare col negativo al modo di Bataille: considerare il negativo come intensità. E grazie a tale intensità il senso non si cerca ma si co-costruisce. Un altro modo per dirlo è guardare alla pulsione. La pulsione non si riduce allo psichico o al somatico. È un divenire-oggetto del soggetto. Gegenstand, dal greco ἀντικείμενον: ciò che giace contro. Un contro non dialettico, ma brutale per dirlo con Lorena Preta (2015). E dunque il negativo è ciò che fa resistenza, ciò che rifiuta il disagio della civiltà, il punto sul quale abbiamo un tempo resistito. Da qui l’importanza del sintomo come ciò che si perde nella parola. La vita si manifesta così nel modo singolare nel quale la civiltà perde la presa, mettendo in movimento un altro processo semiotico.

A questo punto la proposta ci viene da Didi-Huberman (1993) che riflette sull’informe in Bataille. Cosa succederebbe se nella dialettica la negatività non fosse superabile? L’antropopoiesi di cui parla Felice Cimatti, ontologicamente necessitata dal dualismo, si fa etica preferendo l’ascolto della lacerazione del sintomo alla chiusura pacificante ma anche fissa e totalitaria della sintesi. L’antropopoiesi non è più solo questione ontologica ma anche etica, dal momento che il superamento (Aufhebung) viene abbandonato a favore della “trasgressione”. Merleau-Ponty (1964) ne Il visibile e l’invisibile elabora una dialettica che è interrogazione e non soluzione, esperienza e non idealizzazione, reversibilità e non sintesi.

In Galline in fuga – L’alba dei nugget (2023), uno dei film più antispecisti di sempre, le galline già fuggite dall’allevamento dei Tweedy nel primo film (antitesi) sono sedotte dall’apparente negoziato tra diritti e benessere proposto da un sedicente “allevamento felice”: in questo luogo (la sintesi) a metà tra un lunapark e un albergo a cinque stelle per volatili, alle galline è proposta una vita in cattività e una “morte senza dolore” (sintesi). Ma Molly, gallina intellettuale organica gramsciana, entra per sovvertire la sintesi. Nella dialettica servo-padrone le galline non ci stanno a svolgere il ruolo di oggetto il cui unico destino è dialetticamente farsi (auto)coscienza in-felice e felicemente pacificata. L’animale preferisce il nugolo-branco a una soggettivazione pagata nei termini di una vita alienata.

La cattiva dialettica è quella che cerca di ricomporre l’essere in virtù di un pensiero tetico, «di un aggregato di enunciati» (ivi, p.115). L’essere invece non è fatto di tesi e di idealizzazioni ma di insiemi legati (come sostiene Karen Barad, 2017) attraverso il concetto di intra-azione in cui «il significato non è mai se non come tendenza». Catherine Malabou in L’avenir de Hegel (1996) propone il concetto di plasticità leggendo nello stesso sistema hegeliano una tendenza all’eccesso. La plasticità esprimerebbe una potenza dialettica delle forme: un potere di ri-formazione che consente di ripensare la definizione della “forma Uomo” a partire non da una categoria universale ma dall’informe. L’informe non è concepito come uno stato definitivo, ma come un movimento del divenire, che si rivela capace di dispiegare il potere di ri-formazione.

Le forme chiaramente andrebbero considerate nella temporalità della loro emersione, dei crolli e delle rinascite. Non c’è somiglianza ad un modello che ordini il vivente in base ad una forma. Malabou lo chiama il «divenire essenziale dell’accidentale», ritrovando nel sistema hegeliano una sorta di Aufhebung senza chiusure e senza omogeneizzazione forzata. Come dire che l’alterazione è costante. Tutto esplode continuamente come sotto l’azione di un esplosivo al plastico. Se la psicoanalisi lavora col negativo, e lo fa, allora la rimozione potrebbe essere concepita senza un esito pacificante. Il lavoro sintetico della rimozione finirebbe per tagliare fuori parti di realtà, politicamente escluse. Ciò che è rimosso invece resta addosso, strozzato in gola, immanente, aderente, ossessivo.

Potrebbe essere utile pensare tutto ciò nel legame batailliano tra visione e angoscia, legame che ritroviamo anche in Freud, nel sogno di Irma. Qui possiamo osservare l’informe al lavoro nel sogno. La carne della gola di Irma, come rovescio del volto, della faccia, della viseità, la carne in quanto informe che provoca angoscia, «ultima rivelazione del tu sei questo». «Tu sei questa cosa che è la più lontana da te, la più informe» (Lacan 1968, p. 294). È l’immagine stessa della dislocazione, della lacerazione essenziale, dell’alterazione del soggetto. Potremmo dire che è la raffigurabilità del sogno? Meglio ancora il suo ombelico, che ci indica che il conto non torna. La carne è questa mancanza. L’uomo è separato dall’animalità. Qui inizia se vogliamo il lavoro della psicoanalisi. Ovvero quando si fanno i conti con questi vuoti della simbolizzazione, che paradossalmente rimandano ad un corpo che invece non manca di nulla.

Riferimenti bibliografici
K. Barad, Performatività della natura, Edizioni ETS, Pisa 2017.
F. Cimatti, La vita estrinseca, Orthotes, Nocera 2018.
G. Deleuze, Differenza e ripetizione, Il Mulino, Bologna 1971.
G. Didi-Huberman, La somiglianza informe, 1993, Mimesis, Milano-Udine 2023.
G. W. F. Hegel, Scienza della Logica, 1813, Edizioni Laterza, Bari 2008.
J. Lacan, Il seminario. Libro XVI, 1968, Einaudi, 2019.
C. Malabou, L’avenir De Hegel: Plasticité, Temporalité, Dialectique, VRIN, Parigi 1996.
M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, 1964, Bompiani, Milano 2003.
L. Preta, La brutalità delle cose, Mimesis, Milano-Udine 2015.

Galline in fuga – L’alba dei nugget. Regia: Sam Fell; sceneggiatura: Karey Kirkpatrick, John O’Farrell, Rachel Tunnard; fotografia: Charles Copping; montaggio: Sim Evan-Jones, Stephen Perkins; musiche: Harry Gregson-Williams; interpreti: Zachary Levi, Thandiwe Newton, Bella Ramsey, Josie Sedgwick, Lynn Ferguson, Jane Horrocks, Imelda Staunton, Romesh Ranganathan, Daniel Mays, David Bradley, Nick Mohammed, Miranda Richardson, Peter Serafinowicz, Timothy Spall; produzione: Aardman Animations, Pathé, StudioCanal; distribuzione: Netflix; origine: Stati Uniti d’America, Regno Unito, Francia; durata: 101’; anno: 2023.

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