Youri ha sedici anni e vive nella Cité Gagarine, un gigantesco comprensorio che ospita 376 abitazioni e che prese il nome dal primo cosmonauta sovietico Yuri Gagarin che lo inaugurò nel 1963. Le immagini d’archivio iniziali mostrano proprio l’inaugurazione della Cité Gagarine, con la visita dell’astronauta russo a celebrare la visione comunista dell’epoca, incentrata, soprattutto, sulla conquista di nuovi spazi.
Nel corso degli anni Cité Gagarine diventa un microcosmo, il risultato di una complessa relazione tra ogni suo spazio e ogni suo abitante: il vivere insieme in un luogo, infatti, influisce sulla costruzione dell’identità individuale e collettiva. Si tratta di una congruenza che si crea tra l’immagine di sé e quella del luogo in cui si vive: l’ambiente fisico si distacca dai concetti generici di spazio e si riempie di affetti, atteggiamenti, gesti, opinioni e valori; i significati e i valori, associati a un ambiente fisico, rimandano all’immagine che una persona ha di sé. Si parla, dunque, di “place identity”: «L’identità di luogo rimanda a quelle dimensioni del sé che definiscono l’identità personale dell’individuo in relazione all’ambiente fisico attraverso un complesso sistema di idee, credenze, preferenze, sentimenti, valori e mete consapevoli e inconsapevoli, unite alle tendenze comportamentali e alle abilità rilevanti per tale ambiente» (Proshansky 1983, p. 155).
Inoltre, la stretta connessione tra il protagonista e la Cité è anche generata dall’abbandono che il ragazzo subisce dalla madre: Youri si ritrova solo a costruire la sua identità e Gagarine diventa un enorme grembo materno. Per comprare del materiale, al fine di migliorare le condizioni degli alloggi, non a caso, vende i gioielli della madre. Ecco perché il suo obiettivo è solo uno: ripararla ed evitare la sua demolizione. L’identità del protagonista è dunque molto fragile e, proprio come quella della Cité di Gagarine, si configura come un luogo dove vige la riparazione perenne e mai risolutiva.
Impedire la demolizione acquisisce, infatti, un significato più ampio di “evitare di perdere la propria casa”, nello stesso modo in cui il significato d’abitare è molto più ampio di quello di abitazione in senso stretto: secondo l’Heidegger di Costruire abitare pensare, l’abitare designa l’essere specifico dell’uomo: l’abitare supera il limitato ambito del nostro vivere, aprendosi a tutto il nostro essere, all’interno del quale trova significato la dimensione del costruire. Abitare è, dunque, aver cura e proteggere le cose che si amano.
Nonostante Youri provi a proteggere a tutti i costi la Cité, sistemando l’ascensore e, in generale, i suoi spazi, la sentenza della valutazione degli spazi comuni decreta l’evacuazione entro sei mesi e la demolizione. Youri è affacciato dalla finestra e il suo mondo si capovolge, proprio come le immagini del film, «mostrando il fallimento dell’abitare in senso heideggeriano, l’impossibilità del pensiero poetante cioè creativo, costruttivo» (Dottorini 2018, p. 106).
Gli spazi del film, fin dall’inizio, si presentano sia come immensi spazi urbanistici e architettonici, sia come spazi celesti. Youri, infatti, osserva dal suo telescopio l’immensa periferia come se fosse un universo lontano e misterioso: la convergenza tra i due spazi rappresentati, dove una dimensione è tangibilmente materiale e, l’altra, più astratta e simbolica, avviene per mezzo della fantasia.
La potenza di Gagarine è la reinvenzione fantastica: essa gli permette di superare il classico film di banlieu e di denunciare la marginalità sociale oltre l’approccio sociorealista. È la fantasia che consente la nascita del pensiero creativo e costruttivo, dando alle immagini la possibilità di raccontare il dramma sociale come se la Cité Gagarine fosse un set di un film fantascientifico: la riparazione dell’ascensore e il fumo proveniente dall’incendio appiccato nelle cantine ricordano il lancio di un razzo in orbita; l’accensione delle luci degli edifici sembra quella di un modulo spaziale; il conto alla rovescia per l’esplosione dell’edificio è il conto alla rovescia nei lanci spaziali; gli operai incaricati di radere al suolo Gagarine indossano delle tute come quelle degli astronauti; il terrazzo coperto di polvere sembra la superfice della luna.
L’esplosione della tensione fantastica, instauratosi fin dall’inizio (già dalle prime sequenze Youri sogna d’essere un astronauta), si ha quando, ormai rimasto solo in tutto l’edificio, il protagonista decide di costruire la sua navicella spaziale personale. Armato di martello sfonda le mura degli appartamenti, creando dei buchi che rievocano gli sportelli di diversi moduli spaziali: perché Youri ha bisogno di più spazio per crescere e formare una sana idea di sé. Immaginare una vita da astronauta, lo fa, letteralmente, fluttuare nei giorni, fino a quello della demolizione. L’esplosione di Gagarine, grazie agli esperimenti di Youri, si rivela solamente un messaggio in codice morse: un SOS dalla Cité, che sembra quasi chiedere aiuto come una persona in carne ed ossa. “So che è solo un edificio, ma quando ne parlo, mi sembra molto più di questo. Lo considero una persona”, afferma la voce fuori campo di una bambina nei titoli di coda del film.
Fanny Liatard e Jérémy Trouilh, servendosi della grandiosa capacità umana di fantasticare e reinventare, rideterminano la storia attraverso il cinema. Infatti, se nel finale del film non è del tutto chiaro se la Cité venga demolita, la realtà parla chiaro: nel 2019 Cité Gagarine viene rasa al suolo per dare spazio a nuovi progetti di riqualificazione urbana.
Riferimenti bibliografici
D. Dottorini, La passione del reale, Mimesis, Milano-Udine 2018.
M. Heidegger, Costruire abitare pensare, Mursia, Milano 1991.
H. Proshansky, A. K. Fabian, R. Kaminoff, Place-identity: Physical World Socialization of the Self, in “Journal of Environmental Psychology”, NewYork 1983.
Gagarine – Proteggi ciò che ami; regia: Fanny Liatard e Jérémy Trouilh; sceneggiatura: Benjamin Charbit, Fanny Liatard, Jérémy Trouilh; interpreti: Alseni Bathily, Lyna Khoudri, Jamil McCraven, Finnegan Oldfield, Farida Rahouadj; produzione: Haut et Court; distribuzione: Officine UBU; origine: Francia; anno: 2020; durata: 95’.