Negli ultimi anni, l’intelligenza artificiale ha modificato le pratiche di creazione visiva, ridefinendo il rapporto tra autore, tecnologia e spettatore. La capacità delle reti neurali di generare immagini, combinare segni e tradurre input testuali in elementi visivi ha sollevato nuove domande sul modo in cui le immagini vengono catturate e percepite. La visione artificiale, abilitata da algoritmi di Deep Learning, riconosce e codifica le immagini disponibili su internet, movimentando il dibattito riguardante il rapporto fra intelligenza artificiale e creatività (Manovich 2020). Si tratta di sistemi fondati su processi statistico-probabilistici (Meschini 2024, pp. 1-10), modelli che trasformano il testo del prompt in vettori numerici operando nel dominio visivo, trasformando descrizioni in immagini fondate su una rappresentazione matematica della realtà.

Il progetto Freeze Frame di Piero Fragola e Matteo Giampaglia, esposto presso la galleria L’Ariete di Bologna a cura di Pasquale Fameli, rappresenta un caso emblematico di questa intersezione tra il visibile e il generato, tra la macchina algoritmica e il gesto umano. Qui, l’intelligenza artificiale è solo uno degli elementi di un processo composito che passa attraverso l’ideazione di immagini sintetiche e la successiva manipolazione attraverso la pittura ad olio e l’intervento materico. Lontano dall’essere una semplice applicazione della sintografia, il progetto si configura come una riflessione sulla natura delle immagini nell’era della produzione automatizzata e sull’evoluzione della loro materialità.

L’ibridazione fra generazione sintografica e intervento umano non ha qui una funzione decorativa, ma si afferma su un efficace gioco di ruoli, in cui ciò che è frutto dell’automatizzazione risulta difficilmente distinguibile dalla sua elaborazione manuale e materica. Sul piano visivo, questa ibridazione si traduce in una serie di corpi androgini che sembrano fuori dal tempo, tra l’umano e la statua, ricoperti di muschio, su cui si accentua la matericità della campitura pittorica. Accompagna le opere pittoriche, che rappresentano figure fredde e immobili, un video in loop, che indaga la continua metamorfosi degli elementi naturali, anch’esso elaborato attraverso software di generazione video. L’opera di video arte mostra rocce e muschi che si fondono e si trasformano, evocando il contrasto tra l’origine e il divenire, fra regno vegetale e immanenza minerale. A completare l’installazione, sculture in ceramica catturano e cristallizzano alcuni momenti chiave di questo processo in evoluzione, offrendo una traduzione concreta del flusso digitale.

Se nel mondo dell’arte il rapporto tra l’essere umano e la macchina è stato al centro di riflessioni significative già dalle ricerche rinascimentali sulla visione sollecitate dalla camera oscura, la recente intersezione tra intelligenza artificiale e creatività non è un fenomeno isolato, ma si colloca in un contesto più ampio di dibattiti che attraversano la storia dell’arte. La definizione di opera d’arte è sempre stata fluida e soggetta a interpretazioni culturali e storiche; con l’avvento di immagini generate da sistemi di intelligenza artificiale, non ci ritroviamo semplicemente di fronte ad una riproduzione meccanica di stili preesistenti, ma ad una forma di espressione autonoma, in cui l’algoritmo diventa co-autore. Tuttavia, il ruolo dell’artista umano rimane cruciale: è colui che seleziona i dati, definisce i parametri e interpreta i risultati, guidando il processo creativo in una direzione specifica. Tutto ciò determina profonde implicazioni nella cultura visiva contemporanea: vasti data set composti da innumerevoli immagini, testi e coppie di testo-immagine prelevati dai database che circolano in rete vengono utilizzati per addestrare questi modelli, influenzando così il loro output visuale e testuale.

Questo tipo di sistema ci pone di fronte ad una lettura contemporanea e tecnologica del principio dell’ut pictura poësis, dall’Ars Poetica di Orazio, celebre idea dell’interazione intersemiotica nella contiguità fra poesia e pittura, che rimanda ad una distinzione di espressività e forza tra le opere. Su questo punto Gotthold Ephraim Lessing argomenta un’interessante prospettiva sulla specificità mediale, per cui la pittura adopera per le sue imitazioni mezzi o segni completamente diversi da quelli della poesia. Da Marcel Duchamp in poi è il gesto artistico ad avere preminenza nell’operazione creativa, esemplificato dal principio di Joseph Kosuth “art as idea as idea”, come definizione concettuale assoluta, che sfida l’idea tradizionale di autorialità e creatività, spostando l’attenzione dall’abilità manuale tradizionale e dall’oggetto artistico al concetto che lo sottende. 

Come nota Antonio Somaini (2023, pp. 74–115), il passaggio a una cultura algoritmica delle immagini implica una trasformazione radicale del modo in cui queste vengono prodotte, archiviate e interpretate. Queste tecnologie elaborano un universo di possibilità latenti, costruendo immagini attraverso modelli predittivi e associazioni statistiche. Le sintografie, immagini create da sistemi come Midjourney o Stable Diffusion, non sono semplici rappresentazioni del reale, ma piuttosto visualizzazioni di relazioni astratte, emergenti da uno spazio latente in cui milioni di immagini sono state analizzate. Questo processo porta a una ridefinizione dell’atto artistico: non si tratta più solo di creare, ma di selezionare, filtrare e interpretare un flusso di immagini potenziali.

Uno degli aspetti più rilevanti della ricerca di Fragola e Giampaglia è il superamento della bidimensionalità dell’immagine digitale. Se le intelligenze artificiali generative operano all’interno di un ambiente privo di fisicità, il duo reinserisce il proprio output in un contesto in cui la tattilità e la texture diventano parte integrante dell’esperienza visiva. Attraverso l’intervento pittorico, il dato digitale viene tradotto in una presenza concreta, che interagisce con la luce, la materia e lo spazio.

Fragola e Giampaglia lavorano già da molto ad una ricerca sull’ibridazione fra tecnologia e materialità: il loro progetto precedente, The New Fables: From Princesses to Zombies, incluso nella mostra collettiva I’M NOT A ROBOT, presso Gigi Rigliaco Gallery e negli spazi espositivi dell’Accademia di Belle Arti di Lecce, esplorava l’immaginario collettivo emerso dalle piattaforme di profilazione e generazione, i cui canoni estetici tendono verso una dimensione fantastica, a cui gli autori hanno collegato la tradizione delle favole, radicate nelle origini dell’umanità come strumento narrativo nel regno della fantasia.

Anche The New Fables reinterpretava criteri estetici derivati da medie matematiche e dalla creazione collaborativa globale, canonizzandoli attraverso forme classiche come la pittura a olio e la scultura, per generare un cortocircuito tra tecnologia ed estetica contemporanea. Il titolo della mostra I’M NOT A ROBOT rimandava alla richiesta per verificare l’identità umana su siti web e app, riflettendo su cosa significhi “essere umani” di fronte a un’opera d’arte, umanizzando la macchina, integrandola armoniosamente nella propria visione artistica e rendendola parte attiva del progetto creativo (Pireddu 2024, pp. 37-54). Gli algoritmi sono qui uno strumento statistico per raccontare come l’interesse collettivo sia attratto dalla sfera del fantastico.

Inoltre, in passato la riflessione di Fragola e Giampaglia sul rapporto tra tecnologia, media e arte si era già declinata in una frontiera espressiva di forte originalità nella forma del videoclip musicale; realizzati per le etichette Raster e Tiptop Audio Records, classificati a festival e presentati in rassegne internazionali, come Mutek, Berlin Music Video Awards, Asolo Art Film Festival e Invideo, i videoclip di Hold Your Breath (Angle, 2016) e Unnatural Instinct (Belief Defect, 2018) combinavano pittura ad olio o ad inchiostro indiano con tecniche di stop motion realizzate montando digitalmente i frame, fotogramma per fotogramma. 

L’operazione di Freeze Frame porta alle estreme conseguenze queste sfide concettuali, perché alla profilazione basata sui modelli statistici e sugli immaginari pop sostituisce una ricerca simbolica sofisticata, modellando sia i prompt che le figure generate come metafore di creazione non umana fuori dal tempo, in cui la temporalità si configura come muschio, istanza vegetale che prolifera e “sporca” come la pittura. È l’esibizione della “patina” del tempo, danno fisico e biologico, visibile sugli artefatti, ma anche dimensione concettuale di una distanza storica. Qui lo strumento statistico diventa una sorta di specchio della società contemporanea nei suoi modelli estetici androgini, nell’assottigliarsi delle differenze di genere, in continuità con il concetto di canone e di bellezza archetipica.

La ricerca del duo artistico si basa sulla capacità di articolare un dialogo tra l’immagine sintetica e la sua trasposizione fisica, per sottrarre la sintografia alla condizione effimera e transitoria del digitale, restituendole una presenza tangibile nello spazio espositivo. Si tratta di un passaggio non meramente tecnico, ma una pratica che implica una riflessione più ampia sulla relazione tra il visivo e il tangibile. La cultura digitale ha abituato lo spettatore a un consumo immediato e immateriale dell’immagine, che viene fruita principalmente attraverso schermi e superfici retroilluminate. Il ritorno alla materialità è un modo per riconsegnare all’opera una dimensione sensoriale.

Se Walter Benjamin aveva descritto la perdita dell’aura nell’epoca della riproducibilità tecnica, l’arte generata da questi algoritmi sembra spingersi ancora oltre, sottraendo all’immagine qualsiasi ancoraggio a un referente materiale, come nota Carolina Fernández-Castrillo, che esplora il concetto di aura postdigitale (2023). Tuttavia, la reintegrazione di queste immagini in un contesto fisico può restituire loro una nuova forma di aura, non più legata all’unicità dell’opera, ma alla sua capacità di interagire con lo spazio e con il pubblico.

Uno degli aspetti più discussi nell’ambito dell’arte algoritmica è la questione dell’autorialità. Se l’intelligenza artificiale è in grado di generare immagini a partire da un prompt, chi è il vero autore dell’opera? Il programmatore che ha addestrato il modello? L’artista che ha formulato l’input? O la macchina stessa, intesa come un’entità autonoma? Questa domanda può essere affrontata in termini di autorialità distribuita. Il lavoro di Fragola e Giampaglia mostra come si tratti di uno strumento di co-creazione; in questo senso, l’opera nasce da un processo di negoziazione tra l’intenzione dell’autore e la risposta del modello algoritmico, in una dinamica che ricorda le interazioni tra artista e medium nelle pratiche più tradizionali, e che si sta orientando verso nuove forme di partecipazione collettiva (Fernández-Castrillo 2023, pp. 357-384). 

Freeze Frame si pone dunque come un altro tassello che descrive l’arte degli algoritmi generativi; è il risultato di una rete di relazioni tra codice e immaginazione, con cui gli artisti dialogano anche mediante la manipolazione manuale, integrata in una pratica artistica ampia e stratificata. Questo approccio permette anche di reinscrivere le immagini sintetiche in una tradizione visiva che affonda le sue radici nella pittura e nella sperimentazione materica. L’intelligenza artificiale, in questo contesto, non è né una minaccia né una soluzione definitiva, ma uno strumento che, se utilizzato con consapevolezza, può ampliare le possibilità del linguaggio visivo e aprire nuovi orizzonti creativi.

Riferimenti bibliografici
C. Fernández-Castrillo, The AI Work of Art in the Age of its Co-Creation, in “magazén”, Vol. 4, n. 2, 2023.
L. Manovich, L’estetica dell’intelligenza artificiale. Modelli digitali e analitica culturale, Luca Sossella editore, Roma 2020.
F. Meschini, Biblioteche e Intelligenza artificiale: stiamo vivendo in tempi interessanti, in “Bibliothecae.it”, n. 13, 2024.
M. Pireddu, The New Fables. Generatività e conoscenza tra fenomenologia, mediologia e post-medialità, in “H-ermes. Journal of Communication”, n. 26, 2024.
A. Somaini, Algorithmic Images: Artificial Intelligence and Visual Culture, in “Grey Room”, n. 93, 2023.

Freeze Frame, di P. Fragola e M. Giampaglia, a cura di P. Fameli, galleria L’Ariete, Bologna, 05 aprile 2025 − 03 maggio 2025.

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