Norman McLaren, parlando dell’animazione come definizione tecnica, affermava che «non è l’arte dei disegni che si muovono, ma l’arte dei movimenti che si disegnano; ciò che accade tra ogni fotogramma è molto più importante di ciò che esiste su ogni fotogramma; l’animazione è quindi l’arte di manipolare gli interstizi invisibili che si trovano fra i fotogrammi» (Furniss 1998, p. 5). Il linguaggio dell’animazione si è da sempre presentato nell’ambito dei film studies e nella concezione popolare come complesso apparato teorico ed estetico, la cui definizione – tecnologica e produttiva, quanto propriamente letteraria – fatica a trovare ancora oggi una risoluzione comunemente accettata e condivisa tanto tra gli studiosi quanto tra il pubblico. Parimenti, lo stesso cinema d’animazione stenta a imporsi rispetto al corrispettivo dal vero, relegandosi ad una riduttiva considerazione complessiva di “film destinati ad un pubblico infantile”. 

Bisogna però riconoscere come la differenziazione delle tecniche e degli stilemi renda l’animazione un oggetto ontologicamente ibrido, imperniato sulla scomposizione del movimento frame by frame, e che dunque affonda le sue radici nelle sperimentazioni antecedenti i primordi del linguaggio cinematografico, quello che viene comunemente definito “precinema”.

Presentare una panoramica sufficientemente esaustiva dei percorsi produttivi, tematici e storici dell’animazione è l’intento del volume curato da Christian Uva, Il cinema d’animazione. Gli scenari contemporanei dal cartoon al videogame (Carocci, 2023): attraverso traiettorie trasversali improntate sia sui testi che sui contesti produttivi, l’animazione viene mostrata come un linguaggio caratterizzato da specificità tecniche innestate in contesti culturali e storiografici che ne hanno definito nel tempo le differenti forme e manifestazioni tematiche. L’apporto del digitale nel cinema ha determinato, a partire dagli anni ottanta, convergenze tecniche che nel campo dell’animazione si sono tradotte in modalità espressive che ad oggi costituiscono il principale impianto estetologico e tecnologico dei cartoon, soprattutto nell’ambito della produzione internazionale delle grandi Major.

Nel contesto contemporaneo, però, l’animazione computerizzata – per quanto preponderante – non rappresenta l’unica forma tecnica ed espressiva: il mantenersi di una forte dimensione legata a connotazioni imperniate su definizioni e forme tradizionali è determinante nel delineare, soprattutto a livello produttivo, un quadro molto ampio di intersezioni visuali e tematiche. Soprattutto nel campo delle sperimentazioni e delle convergenze tra digitale e tradizionale, l’animazione definisce prospettive innovative legate a linguaggi ibridi che mostrano non soltanto le potenzialità del mezzo, ma soprattutto le numerose possibilità di incontro tra estetica e manualità che permettono all’animazione di interagire attivamente con il cinema dal vero e di riflettere ontologicamente su se stesso e sulla propria genealogia.

Essenziale è, dunque, partire da una definizione storica dell’animazione e dalle prime manifestazioni del movimento consequenziale, che si può ritrovare, come mostrato da Marco Bellano nel suo saggio, in forme di scomposizione visiva di un movimento o di una narrazione attraverso la giustapposizione di immagini in successione (come le raffigurazioni rupestri o quelle nei rotoli di illustrazioni giapponesi, i cosiddetti emaki). Il primo esempio di disegno animato comunemente riconosciuto è Fantasmagorie (1908) di Émile Cohl, che si pone come spartiacque simbolico tra una concezione prototipica di scansione e sequenzialità di immagini statiche (in una tale accezione, naturalmente, può essere inserito il medium del fumetto) e una indirizzata verso una consapevole sperimentazione linguistica in cui il disegno si pone come uno dei molteplici referenti, ma certamente non l’unico. 

Affondando le sue radici in forme precinematografiche, nelle prime definizioni di sperimentazione sull’immagine in movimento e sulle potenzialità metamorfiche e attrazionali – di cui gli artifici del cinema di Méliès rappresentano sicuramente degli esempi paradigmatici – la tecnica del passo uno ha da sempre mostrato un certo grado di adattabilità e di integrazione processuale nelle forme filmiche, motivo per cui ad oggi ancora è difficile individuarne una definizione univoca. Sembra, alla luce di ciò, essenziale sussumere l’affermazione di Giannalberto Bendazzi secondo cui «animazione è tutto ciò che gli uomini, in diversi periodi storici, hanno chiamato animazione» (Bendazzi 2020, p. 49). 

Una tale affermazione sembra generalizzare ulteriormente il concetto di animazione, ma in definitiva è importante ricordare come la scomposizione del movimento consequenziale e la sua giustapposizione in sede di montaggio e di post-produzione definisca solamente il carattere tecnico, non necessariamente quello tematico ed espressivo. Definendo in modo semplicistico il cinema d’animazione come ambito produttivo destinato ad un pubblico infantile o di giovani adulti, relegandolo ad un consumo settario e ad una banalizzazione dei differenti generi, si rischia di ignorare, ad esempio, forme di animated documentary: queste configurazioni si indirizzano verso la trasposizione di contenuti narrativi ed espressivi complessi, caratterizzati da codici linguistici e tematici che molto hanno in comune con le pratiche del cinema dal vero, ma che sfruttano l’animazione per costruire una rappresentazione del reale in una contemporaneità che non determina più, anche alla luce dell’implementazione del digitale, la garanzia di veridicità dell’immagine documentaria. 

Constatare come il cinema d’animazione abbia subito trasformazioni nel corso della sua storia sembra fondamentale per ricostruire traiettorie di tipo comparativo tra estetiche e definizioni tecniche apparentemente distanti tra loro: l’intento del volume è proprio quello di giustapporre temi rilevanti nell’evoluzione filmica (le avanguardie, il digitale, la persistenza dell’animazione tradizionale nella contemporaneità), generi (l’adult animation, l’animated documentary), ma anche questioni produttive (il sonoro, l’ibridazione con il cinema dal vero e i videogiochi, il comparto economico). Una tale commistione porta a comprendere quanto la definizione di animazione sia prospetticamente complessa e, per questo, meritevole di un’indagine più ampia ancora in divenire.

Riferimenti bibliografici
G. Bendazzi, Zibaldone animato, Marsilio, Venezia 2020.
M. Furniss, Art in Motion: Animation Aesthetics, John Libbey & Co, New Barnet 1998.

Christian Uva, a cura di, Il cinema d’animazione. Gli scenari contemporanei dal cartoon al videogame, Carocci, Roma 2023.

Share