Il plot di Follemente (2025), film che segna il ritorno alla commedia per Paolo Genovese, si muove da un’idea di per sé molto semplice, e in parte – come è già stato notato in più sedi – non molto diversa dalla formula di successo del classico Disney-Pixar del 2015 Inside out: entrare fisicamente nella mente di un individuo attraverso la personificazione di alcuni elementi interiori e psicologici.
Questa personificazione performativa non coinvolge però le emozioni di una bambina o di un’adolescente, ma i flussi di pensieri di un uomo (Edoardo Leo) e una donna (Pilar Fogliati) al loro primo appuntamento, che si sostanziano rispettivamente in quattro corporeità maschili e quattro femminili (ciascuna dotata di una sua specificità), ossia quattro personalità che nell’insieme, seguendo logiche diverse, costruiscono l’identità dei due protagonisti. Alcuni pensieri sono presenti più o meno in egual modo in entrambi, come l’attrazione sessuale e la carica erotica, rappresentate nell’uomo da Claudio Santamaria e nella donna da Emanuela Fanelli, e la logica del sentimentalismo romantico incarnata da Vittoria Puccini e Maurizio Lastrico. Altri invece divergono fortemente, poiché sono specchio delle differenti vite dei due. Per esempio nell’uomo Marco Giallini segue la logica della cultura e del pensiero raziocinante (il protagonista maschile è un docente di storia e filosofia di un liceo), infatti parla di “fantasie prospettiche”, “stalli alla messicana” e “apnee collettive”, mentre Rocco Papaleo quella del disincanto; nella donna invece Claudia Pandolfi segue la logica dell’iper-femminismo e della sua coerenza oltranzista, mentre Mariachiara Giannetta quella della sregolatezza e dell’imprevedibilità.
Nonostante il film sia stato acclamato dal web come un nuovo Perfetti sconosciuti (2016), la nota opera del regista romano di cui sono stati realizzati oltre venti remake in tutto il mondo, qui Genovese in realtà inscena una situazione diametralmente opposta, fatta eccezione per la scelta di costruire l’intero sviluppo del film a partire da una situazione relativamente semplice, per l’ambientazione domestica chiusa e a tratti ipertrofica, e per un cast corale – di qualità – circoscritto e auto-riflettente. Se infatti la commedia del 2016 rappresentava un processo di disvelamento (seppur ipotetico e finzionale, come si nota nel finale) dall’interno verso l’esterno, ossia verso il mondo sociale dei protagonisti, qui assistiamo invece a un contrario processo di autoconservazione, che dall’esterno – ossia dalla situazione sociale dell’appuntamento – rimbalza dentro l’interno dei due personaggi continuando a riecheggiare nei loro pensieri.
Leo e Fogliati, che lottano per autoconservare il loro vissuto (spesso sofferente) – poiché in fondo è quello che li ha portati sino a quel determinato momento in quel modo –, non sono però due personaggi a tutto tondo, ma soltanto due dispositivi corporei a disposizione dei loro pensieri e due simulacri delle loro menti, che si configurano come menti-mondo. In questo senso Genovese mette in atto un processo di worlbuilding che parte dalla dettagliata costruzione dei due spazi in cui agiscono le quattro personalità maschili/femminili (anch’essi spazi domestici e chiusi), e poi si territorializza grazie all’integrazione tra di esse, che arriva nel finale addirittura a trasformarsi in un’interazione a otto in una sequenza che azzera la presenza dei due attori protagonisti lasciando spazio solo all’incontro diretto tra i loro flussi di pensieri personificati.
La mente-mondo è dunque un territorio vivo, uno spazio in cui ci si muove, ci si agita e si provano certamente emozioni (alcune si prova anche a tenerle a bada, a volte con scarsi risultati), poi si litiga, si fa pace, si fanno speculazioni, si cercano certezze e si lascia spazio ai dubbi, ma soprattutto si scava dentro di sé e si traducono le scoperte in aspettative nei confronti dell’altro. Le due menti-mondo non sono ancestrali, eterne o fuori dal tempo e dallo spazio, né tantomeno risultano rappresentative dell’intera categoria; sono invece posizionate con precisione nelle due biografie, e a loro volta perfettamente collocate nell’oggi. Risultano infatti plasmate da un immaginario doppio: quello che fa convergere le tensioni del senso comune della nostra epoca (come notiamo nei riferimenti – ai limiti dello stereotipo – a questioni come il femminismo, l’autodeterminazione, la scelta di non avere figli e il congelamento degli ovuli), e quello che appare come il risultato di singole esperienze personali (soprattutto nei termini di vissuti sentimentali ed emotivi).
I due immaginari confluiscono in tutte e quattro le personalità, offrendo loro la possibilità di alternare in continuazione differenti sguardi e punti di vista su ogni situazione che i due protagonisti vivono durante la serata: dall’incertezza su chi abbia suonato il campanello in casa/chi abbia fatto squillare il telefono ai silenzi imbarazzanti, dalle gaffe evitabili sino alle sensazioni provate durante il rapporto sessuale e molto altro. Questa alternanza porta alla realizzazione di quella che possiamo definire, prendendo in prestito i titoli di due degli ultimi lavori di Roberto De Gaetano (Le immagini dell’amore, 2022, e Le immagini della commedia, 2024), come una galleria quasi teatrale di immagini dell’overthinking, ossia una serie ininterrotta di materializzazioni visive personificate dei flussi di pensieri che si alternano e fluiscono in continuazione, accumulandosi e stratificandosi al punto da sembrare inarrestabili.
Genovese ci mostra come i due protagonisti sottomessi a questo continuo rimuginio rischino di paralizzare le loro capacità agentiche. Nonostante i loro pensieri si nascondano o rimangano sopiti lasciando trasparire ben poco verso l’esterno (un’eccezione è data dal ventaglio espressivo della Fogliati, in particolare nella sequenza sul divano), due persone al primo appuntamento in preda a questi flussi possono infatti facilmente cadere nell’inazione. I pensieri sono dunque i veri personaggi del film, poiché si scontrano e si perdono in dibattiti e lotte di cui i soggetti sono gli unici testimoni e giudici (sempre che se ne rendano conto). In questo modo seminano in loro un’incertezza di fondo che porta le varie personalità all’interno a interrogarsi su chi “abbia pronunciato” una determinata frase, accusandosi a vicenda l’un l’altro, e all’esterno si traduce nei potenziali blocchi e nell’incertezza dei corpi che genera un ventaglio di situazioni piuttosto ampio.
Superando gli stalli e arrivati alla conclusione, però, manca nello spettatore la percezione di aver assistito a una lotta vera. Tutto è infatti sembrato soltanto, per riprendere un’altra espressione di De Gaetano (2022), una sorta di gioco: «Il gioco a due dell’amore» (p. 11). Un gioco rafforzato da un effetto comico alla Gialappa’s band (di fondo, e forse non voluto), per cui il valido cast alleggerisce in continuazione l’atmosfera con una serie di commenti che spesso prendono la forma di battute più o meno taglienti o irriverenti, simili nello stile a quelle della cronaca calcistica del noto gruppo comico. Di questo gioco Genovese ci mostra le carte, e le mette sul banco tramite gli sguardi complici di Leo-Fogliati (ma soprattutto della Fogliati, che dimostra ancora una volta la sua bravura in questi ruoli) e tramite i tanti dissidi dei flussi di pensieri.
Dissidi che però non costituiscono mai una tensione narrativa come quella presente in crescendo nel film del 2016, e che dunque non portano alla sorpresa – o al sospiro di sollievo – per la sequenza finale, ottenendo al massimo un sorriso (che non è certamente cosa da poco per una commedia). Senza dunque raccontare un viaggio, Genovese, attraverso un ricorso piuttosto basilare ai movimenti della macchina da presa (che alterna primi piani espressivi a campi medi corali), costruisce l’originalità del suo film limitandosi ad aprire uno spiraglio dentro le menti-mondo, che tuttavia restano separate da quello che avviene fuori dall’involucro cerebrale. La rappresentazione di questi mondi non viene infatti proiettata verso l’esterno, evitando di alterare l’ordine spazio-tempo o di perturbare il linguaggio filmico che rimane lineare. Tutto scorre invece con la stessa naturalezza con cui Leo e Fogliati, tra un imbarazzo e l’altro, finiscono a fare l’amore, con cui Pandolfi e Giallini bacchettano le rispettive personalità, o con cui Santamaria e Fanelli guidano l’esibizione canora in duo e in gruppo sulle note di Somebody to love in cui si materializza l’orgasmo della Fogliati, in una delle sequenze visivamente più riuscite di tutto il film.
Una naturalezza che – lo ribadiamo – contrasta con le menti-mondo, e che si dà anche – extratesto – in una comunicazione di marketing sostanziosa ma essenziale (si veda il manifesto a sfondo bianco con i soli nomi degli attori), che sottolinea come dietro (anzi, davanti) ai pensieri si debba lasciar spazio proprio alla naturalezza; questo nonostante le figlie invadenti, le ex-mogli con cui si fatica a trovare accordi o alcuni regali indesiderati da parte di maschi particolarmente invadenti.
Follemente non ha allora alcuna ambizione di costruire un ritratto dell’amore, ma – ed è certamente il suo pregio più grande – si pone lo scopo di fotografare un momento, un hic et nunc (il primo appuntamento) ed entrare nella pluri-prospetticità della sua costruzione. Nel finale quando Fogliati risponde alla domanda “A che pensi?” di Leo affermando “A niente”, fermare l’overthinking, sembra dirci il regista – magari immaginando i nostri flussi di pensieri che mangiano uno spaghetto aglio, olio e peperoncino (un’altra bella trovata degli autori) – diventa una necessità per non farsi travolgere dal fumo che pervade le due menti-mondo, e che rischia di far perdere la capacità di dare una forma vivente all’amore sin dal primo appuntamento.
Riferimenti bibliografici
R. De Gaetano, Le immagini dell’amore, Marsilio, Venezia 2022.
Id., Le immagini della commedia, Marsilio, Venezia 2024.
A. M. Lorusso, L’utilità del senso comune, Il Mulino, Bologna 2022.
Follemente. Regia: Paolo Genovese; sceneggiatura: Isabella Aguilar, Lucia Calamaro, Paolo Costella, Flaminia Gressi; fotografia: Fabrizio Lucci; montaggio: Consuelo Catucci; musiche: Maurizio Filardo; interpreti: Pilar Fogliati, Edoardo Leo, Marco Giallini, Emanuela Fanelli, Claudio Santamaria, Vittoria Puccini, Rocco Papaleo, Claudia Pandolfi, Maurizio Lastrico, Maria Chiara Giannetta; produzione: Lotus Production, Leone Film Group, Rai Cinema; origine: Italia; durata: 98’; anno: 2025.