Il lavoro del coreografo israeliano di origine bielorussa Arkadi Zaides cui Orbita Spellbound ha dedicato un focus che si è dispiegato a Roma con tre diversi spettacoli, al Teatro Biblioteca Quarticciolo The Cloud (prova aperta), al Teatro Palladium Talos e allo Spazio Rossellini Necropolis, presenta molteplici motivi di interesse. Proviamo a evidenziarne alcuni: i suoi spettacoli trattano fatti e situazioni conflittuali, tragedie del nostro presente andando oltre il teatro documentario, oltre la tendenza recente del reality trend (vedi Pinocchio, 2012) di Babilonia Teatro, che porta in scena persone risvegliatesi dal coma che raccontano del trauma subito; oltre il rito della partecipazione (vedi Remote Milano dei Rimini Protokoll che conduce gli spettatori al Cimitero Monumentale di Milano per riflettere sul tema della morte).

Zaides elabora un modo di parlare della realtà che si basa su un processo e una metodologia di lavoro che pertiene al ricercatore scientifico (studi sociali, antropologici, economici, politici) che definisce documentary coreography. Ad esempio, il tema di Talos (2017) è la tragedia dei migranti che muoiono durante gli attraversamenti, la cui identità è ricostruita sulla base di documenti ufficiali. La conferenza-spettacolo indaga sul progetto, mai realizzato, che ha coinvolto quattordici istituzioni di dieci Paesi tra il 2008 e il 2013 interessate a mettere in funzione un sistema di sorveglianza basato su robot mobili che avrebbero dovuto pattugliare le aree di confine e intercettare gli intrusi. La metodologia di ricerca sul campo di Arkadi Zaides attiva collaborazioni – con la Croce Rossa di Ginevra, ad esempio – e richiede un tempo lungo (1993-2013) per raccogliere i dati dei migranti morti (più di 100mila) e nello stesso per “incorporarli”, avvicinarli ai nostri corpi, animando il documento in un processo di trasformazione dei dati in azioni coreografiche.

Con The Cloud, uno studio avviato con la residenza al Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma, per uno spettacolo a venire, Zaides ricorre all’IA (Intelligenza Artificiale) per condurre una indagine sull’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl, le cui conseguenze e cause il regime sovietico aveva cercato di non far deflagrare. Qui, l’archivio di documenti che l’autore utilizza come materia costitutiva dei suoi spettacoli è sostituito dall’IA, che viene interpellata per costruire una conoscenza del disastro. La conferenza-spettacolo cui abbiamo assistito mette in scena una voce fuori campo che rivolge delle domande all’IA, per cui si produce, qui e ora, un testo informativo con venature poetiche che si interfaccia con i movimenti di un performer in scena avvolto in una tuta e con il viso coperto da una maschera. Questa catastrofe riguarda da vicino la vita di Arkadi Zaides – le radiazioni hanno attraversato il suo corpo – che si chiede se questo evento sia stato significativo per il mondo.

Per il tema, The Cloud ci rimanda (anche se Arkadi Zaides non lo conosce) allo spettacolo diretto dal regista lituano Eimuntas Nekrošius, Zinc, visto a The State Youth Theatre of Lithuania, a Vilnius, nel novembre 2017, uno spettacolo corale, tratto da Voices from Chernobyl: An Oral History of Nuclear Disaster di Svetlana Alexievich, che ha raccolto con un lavoro sul campo le voci di uomini e donne che hanno vissuto la tragedia di Chernobyl: 485 villaggi bruciati e 8.553 esseri umani inviati a pulire l’area dalle radiazioni, senza protezione, mentre gli abitanti erano costretti ad abbandonare le loro terre e gli animali. Se in Zinc c’era un movimento che andava dal singolo al coro, dall’individuale al collettivo, in The Cloud emergono due tratti, quello narrativo della voce narrante e quello performativo del corpo contaminato dalle radiazioni.

Necropolis, la città dei morti, visto allo spazio Rossellini, dispone un grande schermo, un tavolo su un lato, gli spettatori seduti a semicerchio, una voce fuori campo, frasi di rigorosa e sintetica informazione (nome, provenienza, causa della morte del migrante) sono proiettati sullo schermo. In questo modo si dà visibilità alla lista in cui sono elencati i nomi di coloro che non sono riusciti a raggiungere vivi (a volte neanche come cadaveri sono stati ammessi) la loro destinazione in Europa, i cui corpi senza vita sono stati ritrovati sulle spiagge, a Lampedusa o altrove, dopo il naufragio. Non si dice perché abbandonano il proprio paese, Afganistan, Congo, Togo, Sri Lanka, molti i morti per suicidio: impiccati nella cella, lanciati fuori dalla finestra per timore di essere rimpatriati; alcuni investiti da automobili sull’autostrada, morti bruciati nelle baracche per proteggersi dal freddo, altri senza possibilità di essere identificati. In ogni città in cui presenta Necropolis, Zaides attiva una ricerca specifica consultando la stampa quotidiana, testimonianze,  archivi cimiteriali e di ospedali, fonti che permettano di localizzare le salme e ricostruire la storia delle persone morte. Questa ricerca va a formare un esteso archivio dei morti portati in luce da questa sua indagine: più di 100mila migranti morti nel tentativo di raggiungere l’Europa.

Sullo schermo si localizzano i cimiteri, le città dei morti, tante tombe, città viste dall’alto in assenza di figure umane. Dall’inizio alla fine ascoltiamo una voce fuori campo accompagnata da un sonoro come di risacca, di mare che rinfrange le onde, mescolato con un cinguettio di uccelli e di passi regolari che funzionano come un basso continuo. Dopo la proiezione l’azione si sposta sul tavolo dove Arkadi Zaides e una ragazza incominciano a disporre dei pezzi che prelevano da una rastrelliera fino a comporre un cadavere, ogni azione viene ripresa dalla telecamera e proiettata sullo schermo. Alle immagini documentative si sostituiscono immagini che simulano il corpo in decomposizione. “Come siamo finiti qui?” È la domanda che Arkadi Zaides consegna agli spettatori, oltre a “Non applaudire”.

Il lavoro di Arkadi Zaides fa emergere realtà senza voce, mette a fuoco conflitti, ha una efficacia pragmatica in quanto incide nei contesti in cui interviene, perché mette in luce attraverso l’indagine situazioni rimosse dalla società.

*La foto in copertina è di Ronen Guter.

Focus on Arkadi Zaides (The Cloud, Talos, Necropolis), progetto realizzato da ORBITA| Spellbound Centro Nazionale di Produzione della Danza, in collaborazione con Teatro Palladium, Università degli Studi di Roma III, Teatro Biblioteca Quarticciolo, ATCL, il festival Short Theatre e Open Arms, 24 novembre – 26 novembre 2023.

Tags     Chernobyl, coreografia, IA, Zaides
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