Firmamento è stata una iniziativa di spettacoli, studi, letture che si è da poco conclusa al Teatro Basilica di Roma, progettata e curata da Index, un gruppo di lavoro che organizza spazi di collaborazione fra artisti ed artiste, collocandosi dentro le istituzioni culturali per creare strutture intermedie. Questo progetto trova un fondamento in una precedente esperienza, una delle dimensioni più interessanti di Index, quella del Vivarium, ovvero, «un percorso biennale di sostegno e accompagnamento artistico e produttivo ad una serie di giovani realtà emergenti» e non può non confrontarsi con le discussioni e le assemblee che in questi mesi hanno accompagnato una reazione di protesta contro le modalità e la nomina del nuovo direttore del Teatro di Roma. Firmamento rappresenta un esempio di buone pratiche

In questa prospettiva ci viene spontaneo associare a Firmamento una parola che lo qualifica: “tenerezza”, perché (attingendo dal dizionario Treccani) c’è nell’etimologia latina della parola, teneritia, l’idea di “andare oltre”. Eugenio Borgna, nel suo saggio sulla Tenerezza (2022), parla di questo sentimento/emozione come di qualcosa che ci aiuta a immedesimarci nella vita interiore degli altri: «Non c’è cura dell’anima e del corpo, se non accompagnata dalla tenerezza. Oggi, ancora più che in passato, è necessaria a farci incontrare, gli uni con gli altri».

Proviamo a declinare i modi in cui si è manifestata questa teneritia in Firmamento: 

a) La presenza di numerose donne e di numerosi giovani, sia come artisti che come fruitori delle proposte di Firmamento, giovani in formazione, frequentatrici di scuole di recitazione, conservatori, accademie, provenienti cioè da un bacino contiguo al contesto artistico-culturale alla base di Firmamento. Questa presenza connotata non è scontata, nel senso che non accade abitualmente che chi studia come regista, attrice, attore, sia interlocutore privilegiato e assiduo dell’offerta di spettacolo nella città di Roma (a meno che non si tratti di gruppi organizzati a sostegno di  un evento spettacolare specifico). 

b) Formati insoliti, come stand-up poetry (Suck My Iperuranio di Giovanni Onorato), performance da tavolo (Breviario), dramma musicale (Tre voci di Tilia Auser), lezione/performance (Quaderno/Greta Garbo), road-podcast live .

c) Le differenti proposte che hanno abitato Firmamento hanno condiviso una tonalità: un dar voce al pensiero interiore, quasi una comunicazione intima e privata, che non enuncia, ma sussurra.

In Breviario di Gabriele Portoghese e Gaia Rinaldi la prima persona del discorso diretto non ci porta tanto verso una drammaturgia dell’io (né percorre l’autobiografismo) quanto verso il parlare di sé in prima persona e a se stessi, con una memoria breve, focalizzata sul presente (che non è il qui e ora). La scena non c’è e neanche il palcoscenico, che viene sostituito da un tavolo prospiciente agli spettatori. “Chi ha inventato il paradiso?”, “Mio padre voleva una famiglia abbronzata”, “ Vorrei mangiare qualcosa” ( e alla fine… mangiano una torta).

Haunted, il titolo dell’installazione performance di Gaia Ginevra Giorgi, rimanda a uno stato emotivo/affettivo in cui si è infestati, perseguitati, ossessionati dai ricordi che si materializzano attraverso bobine registrate, audiocassette, registratori, mangianastri che affollano il campo di azione della performer, una moltiplicazione/proliferazione di obsoleti apparecchi analogici che naturalmente rinviano a L’ultimo nastro di Krapp di Beckett (che appare nello stesso anno del registratore a nastro). Gaia, la performer, armeggia questi apparecchi obsoleti che producono suono (in fondo alla scena un monitor che non trasmette immagini, ma luce bianca) da cui si diffondono voci infantili minacciose, rievocando una inondazione avvenuta nel 1994 presentificata attraverso un contenitore quadrato pieno d’acqua dove la performer immerge i capelli e se stessa, mentre  i suoi movimenti fanno vibrare e suonare dei fili tesi lungo lo spazio scenico.

Fly Me To The Moon, di Muta Imago, vede Riccardo Fazi in scena seduto davanti a un tavolo che legge un testo. L’azione performativa, definita un road-podcast live «attraverso i crateri lunari che oscilla tra nostalgia del futuro, mancanza di senno e desiderio (impossibile) di tornare a casa», si potrebbe includere nel repertorio della radiofonia digitale sperimentata ampiamente da Fazi con Oceano Indiano. Anche in questo caso si tratta di una  comunicazione privata, una lettera a un amico, Carl, cui confida la propria avventura di essere catapultato sulla luna (ascoltiamo anche Carmelo Bene che legge Alla Luna di Giacomo Leopardi). Anche questo formato radiofonico è strutturato come una comunicazione intima diretta a un tu che implode su se stesso:

Cerco di stare fermo, anche se è difficile, l’assenza di gravità mi fa ondeggiare senza sosta; come cercare di star fermi su un tappeto elastico. Ondeggio, inciampo, cado, aspetto, cerco di accordare i miei sensi al passaggio del tempo. Ma non c’è tempo qui; tutto immobile. Non c’è né aria né acqua e tutto si conserva incredibilmente bene. Le tracce di collisioni risalenti a milioni di anni fa sono ancora visibili come se tutto fosse appena successo. Potrei incontrare le impronte dei piedi di Buzz Aldrin se mi mettessi a cercarle. Qui il passato è sempre nel presente e tutto sembra non dover finire mai.

In Quaderno/Greta Garbo, Daria Deflorian, secondo un procedimento costruttivo che caratterizza la drammaturgia dei suoi spettacoli, condivide in pubblico il modo in cui vive il suo lavoro di attrice attraverso la lettura di pagine del suo diario. Recitare se stessi comporta immettere sulla scena la persona nel suo ruolo attoriale, oltrepassare perfino la dimensione liminale fra persona e personaggio – che è quella del performer – per essere se stessi: “Come si fa a non desiderare ardentemente di lasciare questo lavoro ogni tanto? Anzi come si fa a non provare a lasciarlo? A immaginare un’altra vita” (1 dicembre casa diario). 

Daria Deflorian mette in scena lo spazio psichico, l’interiorità dei propri pensieri e della propria affettività, che non è flusso di coscienza. Mettere in scena il processo di costruzione dello spettacolo è un dispositivo costruttivo accreditato nel teatro del secondo Novecento e del Nuovo Millennio, focalizzare la questione del rapporto fra l’attore come persona e il suo ruolo, in cui la prima persona e la frontalità si danno come artificio per lo spettatore, immettono una marca di autenticità, che nello stesso tempo ostacola la distanza psichica – necessaria – fra spettatore e opera. 

Alla fine di questi giorni di Index, scanditi da tante proposte inusuali, ci rimane in mente una domanda che forse è stata lanciata da qualcuno durante l’incontro curato da Viola Lo Moro, Index si presenta: Il selvatico va addomesticato? Domanda che si poneva anche Claude Lévi-Strauss. L’urgenza che ha messo in moto e animato Firmamento lo ha connotato come spazio in cui ci siamo incontrati l’uno con l’altro. Con tenerezza, appunto. E con selvatichezza.

*La foto in copertina è di Andrea Pizzalis.

Firmamento, progetto realizzato da INDEX, di Muta Imago, Daria Deflorian e Antonio Tagliarini. Teatro Basilica di Roma, 13 Febbraio – 18 Febbraio 2024.

Tags     Index, luna, psiche, tenerezza
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