Con Filosofia della casa Emanuele Coccia fa ritorno alla lingua italiana, dopo diversi libri scritti prima in francese e poi tradotti. Il filosofo si riappropria della lingua madre come strumento di scrittura per un libro dall’incerta collocazione: è difficile stabilire se si tratti a tutti gli effetti di un saggio. Non è nemmeno un romanzo o un racconto filosofico che, dietro la finzione letteraria, cela un messaggio profondo. Insomma, il libro frustra le attese verso un testo filosofico, anche ispirato a una vena di sperimentazione letteraria. L’autore sceglie invece di sviluppare il corso delle sue riflessioni sulla condizione dell’abitare e sul rapporto tra l’abitante e la casa, inanellando tra loro una serie di ricordi autobiografici, episodi concreti, che hanno visto la casa come centro di riorganizzazione della sua vita.

Avendo in mente le ascendenze filosofiche dell’autore, si potrebbe dire che questi abbia deciso di mettere in scena la propria forma di vita, presa in alcuni momenti esemplari della sua evoluzione. Così il Coccia che si autorappresenta in questo libro non è solo il filosofo, ma è anche il padre, il compagno, il membro attivo e (con la giusta dose di sprezzatura) entusiasta di una società che pone il consumismo come unico valore: nella società contemporanea, così violentemente postmoderna e arcaica allo stesso tempo, conta solo il grado dei consumi cui è possibile accedere, anche oltre le proprie disponibilità. È insieme (secondo Bataille) una società del dispendio e (secondo Benjamin) una società del debito: solo a queste condizioni è possibile mantenere un grado di consumi così elevato e diffuso, almeno in Occidente, da garantire la sopravvivenza di un’economia della crescita sfrenata.

La casa è la custode e l’emblema, si potrebbe quasi dire il simbolo di questa nuova condizione umana: sono le nostre case, infatti, a conservare ed esibire le vestigia di questa «vita consumatoria», di cui Hannah Arendt avrebbe forse detto che è una versione particolarmente raffinata dell’animal laborans, della pura riproduzione biologica della vita. Vale per la casa contemporanea quanto Georg Simmel ha sostenuto a proposito della metropoli moderna nell’epoca delle esposizioni universali: il mondo intero viene riprodotto in una rappresentazione a misura dello sguardo delle masse. La casa contemporanea ripropone la medesima situazione in scala ridotta, a livello dell’esperienza del singolo individuo: a un occhio estraneo le nostre case devono apparire come grandi espositori del gusto kitsch (souvenir, ninnoli, regali di matrimonio più o meni graditi), come musei etnografici della vita quotidiana (elettrodomestici e tecnologia per l’intrattenimento o per il lavoro, giocattoli) o come raccolte del folklore popolare postmoderno (fotografie di famiglia, immagini-feticcio di icone come Che Guevara o riproduzioni di artisti di culto come Hopper).

Sembrerebbe che la casa contemporanea, più che il luogo in cui fare posto all’intimità, sia lo spazio in cui catturiamo in un’immagine un momento o un passaggio delle nostre vite: la coabitazione tra studenti, l’indipendenza economica, la prima convivenza, un progetto di nucleo familiare o la sua dissoluzione, l’acquisizione di uno status professionale superiore o di un benessere più elevato. Non a caso, ci ricorda l’autore, la casa contemporanea si declina al plurale: sono le diverse case che abitiamo nel corso delle varie stazioni della nostra vita. Lo stile intimista in cui è scritto il libro ha un effetto straniante: sembra mirare a un gioco in cui la cattiva coscienza del nostro tempo riconosce le figure di un’esistenza inautentica, o comunque incompiuta, e ne prova godimento.

Coccia definisce il gesto antropologico fondamentale dell’abitare con l’espressione “fare casa”. Nel mio lessico famigliare, che penso di poter condividere con l’autore, si direbbe piuttosto “farsi casa”. Nel suo significato riflessivo farsi casa vuol dire mettere su casa, perlopiù in senso metaforico, vale a dire creare una famiglia. Farsi casa potrebbe anche avere un valore deponente, nella misura in cui questa cessione all’abitazione di energia e potere simbolico comporta un processo di immedesimazione con quest’ultima, che idealmente culmina in vera e propria fusione. Un intimista radicale, e celibe impenitente, come Kierkegaard ha fatto proprio della rivolta contro il “farsi casa” il percorso attraverso cui accedere alla propria autenticità. Attraverso questa rottura con la tradizione la moderna casa borghese, parafrasando il titolo di un film di Luchino Visconti, diventa un interno che fa da quinta scenica alla rappresentazione di singoli individui, i cui rapporti con gli altri sono solo occasioni per manifestare se stessi.

Il “fare casa” teorizzato da Coccia costituisce una cesura rispetto alle vicende abitative della modernità e sancisce la presa d’atto che la vita umana è nel mondo d’oggi, almeno in parte, cosa tra le cose, disposizione (o dispositivo) materiale capace di prefigurare comportamenti, scelte, gusti e opinioni. A cavallo tra gli anni settanta e novanta del secolo scorso, è stato il processo di gentrificazione dei vecchi centri storici a trasformare quartieri operai rivalutati e quartieri borghesi rifunzionalizzati in centri propulsori di uno stile di vita radical chic e di un orientamento politico liberal. Nel corso di quei vent’anni sono stati i movimenti di persone a determinare il genius loci della città. Oggi pare avvenire il contrario: sono i traslochi a ridisegnare l’orizzonte di senso degli individui. L’abitato determina l’abitante: la casa, in realtà, fa chi la vive. Le riflessioni di Coccia sull’abitare, e l’autore ne è consapevole, si aprono oggi a un imprevisto rilancio politico. Mai come con il lockdown abbiamo fortemente sentito la necessità di avere uno spazio privato adeguato a un alto standard di benessere. Forse comincia qui un nuovo capitolo per la filosofia del fare casa.

Riferimenti bibliografici
H. Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 2017.
G. Simmel, Stile moderno. Saggi di estetica sociale, a cura di B. Carnevali e A. Pinotti, Einaudi, Torino 2020.

Emanuele Coccia, Filosofia della casa. Lo spazio domestico e la felicità, Einaudi, Torino 2021.

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