«Voleremo alla volta di Marte, ma chi deciderà chi volerà e come vivrà ce lo stiamo chiedendo?» (2024, p. 13), domanda Balzano davanti alla comunicazione della Cina di inviare satelliti e navicelle all’interno della missione Earth 2.0, entro il 2026, nell’ottica di una colonizzazione oltre-terra. Davanti alla trascendenza, corpi eco-cyborg rivendicano il desiderio di rimanere sul pianeta Terra, geografando nuovi intrecci, tecnologici e non, tramite una prospettiva trans-femminista e sostenibile, infatti «in una lotta interstellare bisogna scegliere da che parte stare» (ivi, p. 14), e tra l’uomo bianco occidentale che si assicura il suo posto sullo shuttle e batteri, virus e funghi, noi scegliamo i secondi nell’ottica di un’alleanza trans-specie e immanente. È questo il punto di avvio di un itinerario, così delineato da Angela Balzano in Eva virale (Meltemi, 2024), che muovendosi tra Spinoza e Lise Meitner, tra la lobularia maritima e il sistema CRISPR-Cas9, tra giustizia riproduttiva e biocapitale, ci invita alla coltivazione della rabbia e della speranza nell’ottica di una riscrittura della realtà, personale e collettiva, desiderante:

L’Eva virale e l’Eva mitocondriale sono le figurazioni che ci accompagneranno verso la messa a punto di un’etica compostista per farla finita con il nucleare. E qui le metafore stanno a zero, perché siamo tutte Eve virali e abbiamo tutte del DNA mitocondriale in corpo. Questa per me è biologia/eco/cyborg/transfemminista; […] Non “la verità” della biologia occidentale e androcentrica né la sua messa a valore nei circuiti globali del biocapitale, ma la parzialità di una filosofia femminista e materialista che può “pensare la vita” solo radicandosi nei corpi più minuti e periferici per adottare il loro punto di vista, per dimostrare che la civiltà del sapiens si erige su un mondo costruito da batteri e virus e che la sua ragione si è sviluppata sull’esclusione dell’intuizione e della passione di troppe altre (ivi, p. 16)

Quando nel Seicento Spinoza dichiara che la mente e il corpo condividono lo stesso statuto di modo, effettuando un passaggio nell’Etica, come scrive Balzano, «dalla metafisica alla fisica» (ivi, p. 23), si tenta di far fuoriuscire la filosofia occidentale dalle categorie dualistiche cartesiane che accordando un certo privilegio all’incorporeo hanno escluso, temuto, il corporeo e tutto ciò che ne sarebbe conseguito. Ci si accorge, leggendo la Proposizione XIII dell’Etica, che l’apparente unitarietà dell’organismo umano lascia lo spazio ad un compost, là dove il compost «è il prodotto del lavoro di funghi, batteri, vermi in intra-azione» (ivi, p. 25), e dunque si scopre un corpo, il nostro, già da sempre immerso in relazioni mutualistiche ed intrecci trans-umani che vanno allora esplorati, pensati.

«Si tratta di studiare gli incontri transpecie in cui diventiamo ciò che siamo: animali tra altri su questo pianeta» (ibidem); cioè, di comprendere i nostri affetti e le nostre relazioni nella misura in cui, come scrive Rosi Braidotti, «più conosciamo le nostre e le altrui passioni, più siamo in grado di vivere con noi stesse/i e con la collettività» (2019, p. 37). Come corpi intrecciati gli uni-con-gli-altri, nell’interstizio “con” ci incontriamo, in un senso trans-umano, «il nostro corpo è un compost che si fa nell’incontro» (Balzano 2024, p. 29), ma non tutti gli incontri, così come non tutti gli affetti, sono uguali e allenarci a cartografarli significa provare a riconoscere quelli che possono aumentare la nostra potentia, infatti, «l’affetto sarà pertanto sia la crescita sia la decrescita della potenza» (ibidem).

L’Etica di Spinoza potrebbe essere oggi more biologico demonstrata e anche se non sarò certo io a cercare la legittimità di esistenza o le verità universali nella natura, sono pur sempre una femminista materialista felice del fatto che gli attuali microscopi abbiano nel frattempo confermato che errate sono le letture della natura, cioè le culture, dei neofondamentalisti e dei neoliberisti: la vita non si è sviluppata grazie a geni egoisti custoditi e tramandati da famigliole etero, si è piuttosto fatta strada a zig zag, grazie a bizzarre coniugazioni batteriche più o meno sessuali e ad ambigue infezioni virali che per trasduzione trasportavano DNA tra una specie e l’altra e tra un regno e l’altro (ivi, p. 41).

La narrazione darwiniana qui lascia lo spazio, nell’ottica di una ri/scrittura della biologia e della scienza in senso trans-femminista da parte di Balzano – perché c’è sempre un altro modo di fare le cose  –, ad una storia che parla di discendenze batteriche, incontri mutualistici e contaminazioni virali, infatti «non è solo il DNA nucleare che ci fa nascere e crescere bene o male» ma a quanto pare si scopre che «la nostra vita è altrettanto dipendente dal DNA mitocondriale, che codifica proteine fondamentali, come quelle contro l’ossidazione» (ivi, p. 62). A questo “imprevisto evolutivo” batterico è stato assegnato il nome di Eva mitocondriale, cercando dunque l’origine, il punto di inizio, all’interno di un divenire che però è sempre già tensione collettiva transpecie:

Il DNA mitocondriale ci dice che il nostro tempo non è quello della linearità verticale di Kronos e del DNA nucleare, che più che evolvere come specie noi diveniamo come mutanti. Del resto il DNA mitocondriale si trova nel citoplasma dell’ovulo e lì solo si rende ereditabile: la vita si conferma circolare in luoghi piuttosto umidicci, possiamo immaginarcela in loop tra le onde dei fluidi citoplasmatici così come tra i cavalloni dell’Atlantico (ivi, p. 66).

Abbandonare la linearità di Kronos e sintonizzarci nell’Aion significa provare a disegnare nuove pratiche di r/esistenza per compostare da qui, per sottrarci, davanti alla scelta tra immanenza e trascendenza, alla fuga colonizzante su Marte e per sperimentare strategie collettive di permanenza, «Composting is so hard when is so hot. Non abbiamo mai detto che sarebbe stato facile scrivere insieme una non-fine» (ivi, p. 80). Il collasso climatico che sta vivendo il pianeta Terra, e noi con lei, ci parla di un livello di emissioni che ha superato il limite previsto e di temperature ambientali oltre la media, all’interno di un vortice turbo-capitalista che legittima sprechi ambientali senza precedenti in questo regime, direbbe il filosofo Paul B. Preciado, petro-sesso-razziale. Infatti, come scrive Balzano, «la giustizia climatica è per me anche giustizia riproduttiva transpecie e antirazzista e non può non tener conto del fatto che le conseguenze del riscaldamento globale impattano diversamente a causa di razzismo, specismo, sessismo e classismo» (ivi, p. 82). Le soluzioni da elaborare allora, davanti a problemi collettivi, non possono che essere organizzate orizzontalmente e territorialmente, abbandonando processi di intervento neo-liberisti che assicurano lo sviluppo ad una parte di mondo e l’espropriazione al resto e sperimentando azioni sottrattive potenzialmente sovversive, rivoluzionarie e desideranti:

Forse, più che di un’attiva presa in carico c’è bisogno di una sottrazione. Forse la cura non consiste né nel processo né nella risultante di un’addizione, ma nello scarto al margine, nel venir meno del divenire impercettibile. Un altro passo verso l’etica del compost: la sottrazione alla norma egemone. Se egemone per il sapiens è il molare, l’infinitamente grande che non smette mai di crescere, noi mammifere cyborg ambiamo al molecolare, forse la tendenza ultima è quella al divenire simbionti virali e batteriche, fiere di essere così piccole parti di una vita da disimparare a tenere alla propria, tuttavia mai così disperse da dimenticare che i danni vanno ricompensati (ivi, pp. 88-89).

Come scrive Balzano, dobbiamo impegnarci a riscrivere non solo la fine, ma l’intera trama di Interstellar, film del 2014 di Christopher Nolan che disegna un processo di terraformazione davanti alla fine del cibo anche in occidente, infatti il cibo qui non è ancora finito ma «quello che è avvenuto è l’imporsi del capitalismo come sistema ri/produttivo a livello quasi globale» (ivi, p. 147) e che in quanto tale normalizza processi ineguali di distribuzione di risorse e saperi, istituzionalizzando e standardizzando differenze irreversibili a livello globale. Davanti a questo scenario, tra la fuga su Marte e la permanenza tra virus e batteri terrestri, ribadiamo la scelta di orientarci verso la seconda possibilità ricordando che «le fini sono imprevedibili, le fini sono costitutivamente non fini, ma trasformazioni» (ivi, p. 147), e la trasformazione parte dal basso, mai dall’alto, allenandoci quotidianamente a sviluppare parentele trans-specie e relazioni eco-cyborg sostenibili e trans-femministe e interrompendo qualsiasi negoziazione con istanze quali etero-normatività, riproduzione, famiglia nucleare, capitalismo, sfruttamento, potere. «Al cospetto della potenza generativa che lo scambio di materia a zig-zag tra regni ha dimostrato di avere nella storia evolutiva della Terra, la trasmissione nucleare dei geni basata sulla riproduzione sessuale appare quale un racconto breve» (ivi, p. 171).

Angela Balzano scrive dai confini del mare siciliano, io scrivo con i piedi immersi nella sabbia delle spiagge pugliesi, spiagge, queste, privatizzate e inserite all’interno di un quadro economico-sociale meridionale avvolto da flussi turbo capitalistici-consumistici e turisticamente non etici. Mi fermo, l’aria entra nelle mie narici, la luce del sole tocca il mio corpo politico. Mi sottraggo al turbinio suprematista e capitalista, mi arrotolo su di me e divento un filo d’erba. Sono un filo d’erba, risultato di simbiosi pluri-potenziali mutualistiche. «Organizziamo le speranze, organizziamo le rabbie: mettiamo noi in fuga i capitali dalle nostre vite e dalle nostre scienze. Questo sarà già un abbastanza perché altre vite e altre scienze possano qui rigenerarsi» (ivi, p. 175).

Riferimenti bibliografici
R. Braidotti, Materialismo radicale. Itinerari etici per cyborg e cattive ragazze, Meltemi, Milano 2019.

Angela Balzano, Eva virale. La vita oltre i confini di genere, specie e nazione, Meltemi, Milano 2024.

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