Se è vero quanto dice Hegel, cioè che la filosofia arriva sempre troppo tardi, ossia quando l’Assoluto ha già dispiegato il proprio corso e il pensiero si occupa di ricapitolare le tappe già deposte dello Spirito, la pubblicazione nel 1877 del testo Grundlinie einer Philosophie der Technik di Ernst Kapp, primo libro di filosofia della tecnica, si colloca in un momento decisivo dello sviluppo tecnologico occidentale. Siamo in piena seconda rivoluzione industriale e il confronto con la tecnica, che appare l’orizzonte ultimo di ogni forma di produzione, con i suoi modi di dispiegamento è divenuto ormai una questione dirimente, a cui la filosofia guarda con sguardo analitico. Certo, quella di Kapp non è la prima interrogazione storica della questione della tecnica; basterebbe una scorsa rapida a un volume di storia della filosofia per vedere come già nella Grecia dei sofisti il problema ”tecnico” avesse assunto una rilevanza decisiva per il pensiero. Eppure con Kapp la questione assume una dimensione differente e per molti versi innovativa; Kapp, infatti, è il primo a investigare, attraverso gli strumenti della filosofia, l’essenza della tecnica. In altre parole, con Kapp, diviene centrale ed esplicita la domanda: che cos’è la tecnica?
Sebbene la risposta kappiana appaia per molti versi limitata, trattandosi di un’analisi di stampo idealista che vede nella tecnica una creazione dovuta alla forza dello spirito, è nel solco di tale tradizione filosofica che è da inserire il documentato e appassionante libro di Emanuele Clarizio. La vita tecnica. Una filosofia biologica della tecnica; volume già pubblicato in francese che adesso assume una veste nuova per la collana di Mimesis, Quaderni di Mechane. Come chiarisce a più riprese Clarizio, e come d’altra parte ribadisce l’intensa prefazione al testo scritta da Xavier Guchet, l’indagine non è una semplice ricapitolazione delle posizioni filosofiche sulla tecnica; l’ambizione del volume, dunque, non è meramente storico-filosofica, bensì lo studio ha come scopo dichiarato quello di inserirsi all’interno del dibattito sulla tecnica e sulla sua essenza, a partire da una posizione teoreticamente orientata.
Quanto detto fin qui, tuttavia, rimane solo una delle angolazioni attraverso cui il volume di Clarizio dispiega la propria elaborazione teorica. Ed è già il titolo del volume a metterci in guardia in questa direzione. Non si tratta esclusivamente di pensare la tecnica e la sua essenza; ciò che appare ineludibile, allora, è un confronto della tecnica con la questione della vita. In tal senso il sottotitolo del testo si rivela utile a orientare la comprensione della posizione assunta da Clarizio: si tratta di rintracciare le coordinate speculative di una filosofia biologica della tecnica. Che relazione c’è tra tecnica e vita? Si tratta di un’identità tra i due termini della questione o di una differenza incolmabile tra lo spazio della tecnologia e quello del vivente?
Gli autori, di cui si serve Clarizio per chiarire il proprio posizionamento all’interno del problema del rapporto tra tecnica e vita, forniscono un’ampia mappa per comprendere sia qual è la posta in gioco di una filosofia biologica della tecnica, sia per allargare l’orizzonte ermeneutico della questione della relazione tra vita e tecnica. Innanzitutto, Clarizio individua in Canguilhem chi per primo ha espresso l’esigenza di una filosofia biologica della tecnica. In ottica antipositivista Canguilhem ritiene che la tecnica sia radicata nella vita; essa è un’attività creatrice, propria del vivente, capace di nominare il movimento normativo dell’organismo nel suo dispiegarsi effettivo: «Ne Il normale e il patologico la creazione tecnica non ha più un’origine spirituale, ma ha la stessa consistenza – biologica – della malattia, ed anzi si rivela più originaria di questa, la quale non è che l’occasione della rivelazione del carattere fondamentalmente creativo e normativo della vita» (Clarizio 2024, p. 32). Nonostante il grande merito di aver pensato la tecnica a partire dalla sua origine biologica, il limite della posizione di Canguilhem, secondo Clarizio, consiste tuttavia nel pensare la genesi degli oggetti tecnici a partire da una visione organologica.
L’organologia generale, analizzata in maniera minuziosa da Clarizio, ha la propria origine nell’opera di Ernst Kapp. Qui la genesi degli strumenti tecnici viene indagata a partire dalla nozione di «proiezione organica» (Kapp 2015); lo strumento non sarebbe altro che il prolungamento tecnico, l’esteriorizzazione di un organo già presente nel corpo umano in una realtà esterna e oggettiva – una forma particolare di quell’alienazione che aveva occupato le riflessioni della sinistra hegeliana, in particolare Feuerbach, a cui il pensiero di Kapp fa riferimento. In questo modo tuttavia Kapp, nell’interpretazione di Clarizio, finisce per appiattire la concezione della tecnica a quella della vita, obliterando perciò la possibilità di pensare la relazione tra tecnologia e vivente al di là di una problematica identità. Identità che prefigura un «posizionamento teorico antropocentrico, sostiene una rottura antropologica che separa l’uomo dal resto del regno animale, afferma la centralità della coscienza e dello spirito nella definizione dell’umano a scapito di una definizione biologica» (ivi, p. 49).
La necessità di pensare il nesso tra vita e tecnica non come identità ma come relazione complessa fa compiere a Clarizio un “passo indietro” nel pensiero occidentale. Agli albori della modernità sono stati Cartesio e Kant – il Kant della terza Critica – a proporre la possibilità di una visione organologica non riduzionista. Servendosi di un metodo analogico essi hanno provato a prospettare una organologia non riduzionista capace di pensare in maniera essenziale e non meccanicistica il rapporto tra organismo e tecnica. In altre parole è il concetto di creazione, pensato «come una sorta di causalità intermedia tra la necessità fisica e la liberta morale» (ivi, p. 69), a costituire, in maniera più o meno consapevole, il fulcro a partire da cui pensare la relazione tra vita e tecnica.
La nozione di creazione diviene centrale nelle pagine di uno snodo fondamentale nella ricostruzione teorica delle pagine di Clarizio. È stato, infatti, Henri Bergson a dare un impulso decisivo a una moderna filosofia biologica della tecnica. Se, da un lato, la vita è pensata come uno slancio essenziale la cui attività tecnica è finalizzata al modellamento dell’ambiente, dall’altro, la tecnica rappresenta un rapporto biologico che ogni vivente intrattiene con il proprio ambiente. In questo modo l’endiadi “vita tecnica“ presente nel titolo del volume di Clarizio viene in qualche modo espressa attraverso la relazione, prospettata ne L’evoluzione creatrice, tra vita e materia: «Potremmo affermare che, per Bergson, la vita è una relazione tecnica con la materia e, viceversa, la tecnica è l’attività della vita sulla materia» (ivi, p. 83, corsivo dell’autore).
L’ultimo tornante del lavoro di Clarizio si sofferma, invece, sulla riflessione sulla tecnica di Simondon. Quest’ultimo, ripercorrendo le tracce speculative di Leroi-Gourhan, che aveva utilizzato dati paleontologici e archeologici per sviluppare un’idea scientifica di tecnica al fine di comprendere la relazione tra il vivente e la tecnologia, si interroga sulla posizione della macchina nella filosofia della tecnica. Come Leroi-Gourhan, Simondon sostiene l’origine biologica della tecnica, tuttavia egli è convinto che le operazioni tecnologiche possano essere studiate autonomamente. Il concetto di vita tecnica assume in Simondon un significato analogico e relazionale; in esso è possibile far comunicare biologico e tecnico, studiando la macchina in sé stessa, al di là, o meglio, al di qua di ogni visione organologica. Riprendendo il metodo analogico utilizzato da Cartesio, ma rovesciandone i presupposti, in Simondon viene mostrato come l’analogia tra vita e tecnica funzioni in entrambe le direzioni della relazione.
Attraverso un cammino avvincente e approfondito Clarizio ci mostra come il lemma vita-tecnica sia essenziale tanto per rispondere alla questione fondamentale sull’essenza della tecnica, quanto per individuare i capisaldi di quella che viene definita una filosofia biologica della tecnica. Tuttavia, come già accennavamo, il percorso di Clarizio non ha una portata meramente ricostruttiva. Si tratta, invece, di inserirsi all’interno del dibattito teorico sulla pensabilità di una filosofia della tecnica, al di là della forma genitiva che quest’espressione porta con sé.
Ma non è tutto. Accanto al posizionamento teorico ben marcato, come emerge dalla Conclusione, il volume di Clarizio ha l’ambizione di inscriversi all’interno del dibattito etico e politico che si sviluppa intorno al discorso contemporaneo sulla tecnologia, nell’epoca in cui la dimensione bio-tecnica è divenuta in maniera pregnante una questione bio-etica e bio-politica. Allora il grande merito di La vita tecnica. Una filosofia biologica della tecnica non è solo quello di proporre una posizione teorica sulla filosofia della tecnica, bensì di inserirsi nella traccia di quella che Michel Foucault chiamava «ontologia dell’attualità».
Riferimenti bibliografici
H. Bergson, L’evoluzione creatrice, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002.
E. Kapp, Grundlinie einer Philosophie der Technik. Zur Entstehunggeschichte der Kultur aus neuen Gesichtspunkten, Meiner Verlag, Hamburg 2015.
Emanuele Clarizio, La vita tecnica. Una filosofia biologica della tecnica, Mimesis, Milano-Udine 2024.