La nuova edizione dei Diari segreti di Wittgenstein, curata da Fabrizio Funtò e impreziosita dalla prefazione di Luigi Perissinotto, ha riacceso i riflettori su un testo la cui pubblicazione è stata molto dibattuta. I Diari segreti raccolgono annotazioni risalenti al periodo in cui Wittgenstein si arruolò come volontario nel corso della Prima guerra mondiale. Tali annotazioni furono incluse da Wittgenstein in taccuini separati rispetto ai quaderni in cui in quel periodo egli appuntava il materiale di lavoro (Quaderni 1914-1916), ovvero lo sviluppo delle ricerche sulla logica avviate in Norvegia. Le annotazioni dei cosiddetti Diari segreti furono “secretate” da Wittgenstein attraverso l’aggiunta di codici cifrati e ciò induce a pensare a una sorta di volontà dell’autore di separare i pensieri concernenti la vita personale da quelli riguardanti il lavoro filosofico. Pertanto, due dei suoi esecutori letterari, Anscombe e von Wright, hanno ritenuto che pubblicare quei pensieri non sarebbe stato rispettoso nei confronti dell’autore, il quale sembrava aver sentito l’esigenza di separare il privato da ciò che poteva diventare pubblico.
Riguardo questa questione, tuttavia, una delle domande che uno studioso di Wittgenstein potrebbe porsi riflettendo sulla separazione tra pensieri personali e appunti di lavoro è la seguente: è davvero possibile tenere la vita di uno dei più importanti pensatori del Novecento separata dalla sua produzione filosofica? Esiste la possibilità di tracciare una netta separazione tra vita e filosofia? In uno dei primi pensieri affidati ai Diari, all’inizio della sua esperienza militare, Wittgenstein scrive di aver bisogno «di moltissimo buonumore e filosofia» per potersi orientare (Wittgenstein 2021, p. 40) e il 15 settembre 1914 afferma: «Il momento migliore per lavorare, ora, è mentre pelo le patate […]. Mi succede la stessa cosa che accadeva a Spinoza mentre levigava le lenti» (ivi, p. 52). E ancora, il 7 ottobre dello stesso anno, egli sostiene di dover preservare la sua intera umanità per poter preservare la sua vita intellettuale. E cercare di preservare la sua intera umanità vuol dire accettare la precarietà della vita che può finire da un momento all’altro nonché provare a «vivere nel bene e nella bellezza» (ivi, pp. 62-63). Questi appunti sembrano evidenziare un nesso inscindibile tra filosofia e vita che, se vale per il filosofo, vale evidentemente anche per gli studiosi del suo pensiero.
Quanto emerge dalle annotazioni personali di Wittgenstein raccolte nei Diari segreti esprime indubbiamente una connessione tra quelli che erano i vissuti del filosofo durante l’esperienza militare e il pensiero che egli andava elaborando. Riflettere su tale connessione permette di comprendere meglio gli sviluppi del pensiero di Wittgenstein che hanno portato al Tractatus. Inoltre, alcuni elementi della vita di Wittgenstein di quegli anni sono determinanti anche per l’interpretazione di alcuni passaggi della sua filosofia successiva. La ricerca della visione d’insieme, ad esempio, di quella visione che porta alla chiarezza e che nelle Ricerche filosofiche diventerà una metodologia filosofica, era una ricerca che attanagliava il filosofo già durante la sua esperienza militare. Egli lamenta infatti più volte la difficoltà nel conseguire la visione d’insieme e la conseguente mancanza di chiarezza nonché l’inafferrabilità del problema di cui si sta occupando (ivi, pp. 55, 57, 58), i tentativi di trovare un pensiero liberatore (ivi, p. 68) e di pronunciare la parola liberatrice (ivi, p. 92) che talvolta sembrano essere proprio lì, Wittgenstein dice, «sulla punta della lingua» (p. 70, p. 93).
L’esperienza della parola sulla punta della lingua sarà oggetto di studio da parte di Wittgenstein nella seconda parte delle Ricerche filosofiche. E, a partire dai primi anni trenta, uno dei compiti del filosofo sarà per Wittgenstein proprio quello di trovare la parola liberatrice. Le difficoltà del pensiero in cui si è imbattuto negli anni della guerra, nei quali provava a fatica a portare avanti il suo lavoro sulla logica, torneranno dunque in una forma, potremmo dire, “metabolizzata” nella sua riflessione sulla filosofia e sui compiti del filosofo degli anni successivi, quelli del ritorno a Cambridge dopo la pausa dalla filosofia “ufficiale” seguita alla pubblicazione del Tractatus.
Nei Diari sono presenti pensieri sull’umano, sulle debolezze del corpo, sulla forza dello spirito e sulla ricerca interiore di contro alle avversità del mondo esterno. Vi sono, infatti, ricorrenti riferimenti allo spirito che rende libero l’uomo, il quale «è impotente nella carne» (ivi, p. 52), allo spirito da servire (ivi, p. 54), da cui Wittgenstein si sente talvolta abbandonato (ivi, p. 56) o da cui spera di non essere abbandonato (ivi, p. 84), allo spirito a cui ci si rivolge quando si avverte la debolezza della carne (ivi, p. 61). Lo spirito è, per Wittgenstein, ciò che più conta: «É il porto sicuro, protetto, appartato dallo sconsolante, infinito, grigio mare degli avvenimenti» (ivi, p. 105).
Negli anni dei Diari Wittgenstein sembra completamente persuaso della necessità del conseguimento di un solipsismo di tipo ascetico in funzione del proprio lavoro filosofico. Invoca un distacco dalle difficoltà della vita esteriore e un accoglimento dei momenti buoni della vita come se questi fossero una grazia (ivi, pp. 65-66). Ritiene sia una grande fortuna avere se stessi e potersi rifugiare in se stessi (p. 81) e, in un passo abbastanza decisivo sulla questione del solipsismo, scrive: «Sento di non essere indipendente dal mondo e quindi sono costretto a temerlo anche quando, come ora, non mi succede niente di male. Vedo me stesso, l’io in cui potrei acquietarmi, come un’agognata isola lontana che si è separata da me» (ivi, p. 85). Anche quando Wittgenstein tende al distacco dalla vita, dai vissuti negativi che possono influenzare la sua attività filosofica, sente che il mondo, con la minaccia dei suoi accadimenti, resta presente e quell’isolamento interiore, quel solipsismo etico e metafisico a cui egli anela, finisce col diventare «un’agognata isola lontana».
Leggendo i Diari apprendiamo, poi, dati circa alcune importanti letture wittgensteiniane e tali dati sono fondamentali per l’analisi del pensiero di un filosofo che si riferiva di rado in modo esplicito ad altri autori. Nel settembre del 1914 Wittgenstein cominciò a leggere le Spiegazioni dei Vangeli di Tolstoj (ivi, p. 48), un’opera a cui tornerà a riferirsi negli scambi e nelle conversazioni degli anni successivi (Wittgenstein 2011). Tolstoj, insieme a Dostoevskij, resterà uno dei riferimenti letterari di Wittgenstein (McGuinness 2014). Inoltre, veniamo a sapere che nel novembre del 1914 si è dedicato alla lettura dei saggi di Emerson, filosofo nordamericano trascendentalista, promotore di un pensiero individualista evidentemente in linea con la tensione verso il distacco etico dalle difficoltà della vita che caratterizzava il pensiero di Wittgenstein di quegli anni. Infine, una delle note dei diari considerate tra le più significative è quella che ci permette di venire a conoscenza del fatto che l’8 dicembre 1914 Wittgenstein aveva comprato e cominciato a leggere l’ottavo tomo delle opere di Nietzsche. Di questa prima lettura lo colpì probabilmente soprattutto L’Anticristo visto che scrive: «Sono rimasto fortemente colpito dalla sua avversità al cristianesimo. Perché anche nei suoi scritti è contenuto qualcosa di vero» (Wittgenstein 2021, p. 102).
Wittgenstein continua la riflessione ammettendo che sebbene il cristianesimo appaia «l’unica via sicura per la felicità», nel momento in cui si rifiuta tale felicità si va alla deriva, si resta privi di qualunque speranza nella lotta contro il mondo esterno: è come se la propria vita venisse privata di dignità, di senso. Egli si pone allora il problema di conciliare questo punto di vista con quello rigorosamente solipsistico di cui sente di non poter fare a meno. Alla fine, Wittgenstein dice a se stesso che l’unico modo per non sprecare la propria vita, per non vivere una vita senza senso, è quello di cercare di restare cosciente, di essere sempre cosciente dello spirito (ivi, p. 103). Ancora una volta emerge il nesso indissolubile tra vita e filosofia: per vivere una vita autentica occorre la filosofia, ovvero il lavoro del pensiero per mantenersi cosciente, e alla filosofia serve la vita a partire dalla quale soltanto lo spirito può prendere coscienza di sé. Anche nel distacco, nell’ascesi, che Wittgenstein immaginava di dover ricercare, la vita resta un punto di partenza imprescindibile per il filosofo e gli appunti dei Diari segreti sono, in tal senso, una importante testimonianza.
Riferimenti bibliografici
B. McGuinness, Wittgenstein e Dostoevskij, in A. Ponzio, a cura di, Figure e forme del narrare, Milella, Lecce 2014.
L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, a cura di A.G. Conte, Einaudi, Torino 1980.
Id., Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1999.
Id., Conversazioni e ricordi, a cura di E. Coccia e V. Mingardi, Neri Pozza, Venezia 2011.
Ludwig Wittgenstein, Diari segreti, a cura di Fabrizio Funtò, Meltemi, Milano 2021.