Poulenc e la restaurazione. Una musica «sottomessa alla totalità del sistema sociale», come avrebbe scritto Adorno nella Filosofia della musica moderna se avesse ascoltato i Dialogues des Carmélites del 1956, riservandole probabilmente la stessa condanna radicale che aveva espresso nei confronti di Stravinskji sette anni prima. Una forma di regressione neoclassica e diatonica nel secolo dell’atonalità e della dodecafonia schönberghiana, la rinuncia a qualsiasi spazio di autonomia artistica e il suo assoggettamento all’oggettività positiva, a quel «mondo in rovina» che la scuola di Vienna aveva cercato in qualche modo di contrastare. Sono queste, in breve, le considerazioni che vengono immediatamente in mente ascoltando per la prima volta i Dialogues des Carmélites di Francis Poulenc con la direzione di Michele Mariotti e la regia di Emma Dante che ha aperto la stagione 2022/23 del Teatro dell’Opera di Roma.

Eppure, accostandosi senza pregiudizi a un’opera che solo raramente è stato possibile ascoltare in Italia (mancava dal Costanzi dal 1991, si ricorda un’edizione di Muti/Carsen alla Scala nel 2004), nonostante o forse grazie alle sue anacronie estetiche, non si può che rimanere incantati di fronte alla bellezza sublime di alcuni passaggi musicali (tra i tanti, il dialogo tra la protagonista Blanche e il fratello nel II Atto o il “Salve Regina” nel finale) e più in generale alla struttura complessiva di un testo che drammaturgicamente e musicalmente rappresenta un vertice del repertorio della seconda metà del Novecento.

Una tragedia esistenzialista, una vera e propria «drammaturgia dell’io» capace di superare l’eroismo mitologico di Wagner e quello borghese di Strauss aderendo integralmente ai canoni del dramma moderno di Strindberg, Ibsen, Maeterlinck e tanti altri autori, rideclinato in termini musicali e operistici a partire dal capolavoro di Claude Debussy Pelléas et Mélisande del 1902. Tratta dall’omonimo testo postumo di Georges Bernanos, Dialogues des Carmélites si ispira a un fatto realmente accaduto, ovvero all’esecuzione, nel luglio del 1794, durante il regime del Terrore, di sedici religiose francesi, note come le “martiri di Compiègne”, che si erano rifiutate di rinunciare ai loro voti. Tra loro c’è Blanche, giovane figlia del Marchese de La Force, che tempo prima aveva deciso di ritirarsi in convento per sfuggire ai moti anti-aristocratici dei giacobini.

Tutta l’opera è la descrizione di un percorso di intellettualizzazione e interiorizzazione dell’esistenza (rappresentata da Blanche), di sospensione dell’azione in cui il dispositivo drammatico-musicale è al servizio di un piano puramente intimo e riflessivo, colto nella forma dei dialogues (a cui fa riferimento il titolo) invece che della prassi, fino al liberatorio sacrificio finale. Blanche è una nuova Mélisande, esattamente come il cattolicesimo di Poulenc è l’altra faccia dell’esistenzialismo di Debussy, una sorta di rifiuto della vita e di rinuncia al mondo che, pur nel suo apparente anti-wagnerismo, trova proprio nell’irrazionalismo tragico del Tristano di Wagner, e nelle sue derive nietzschiane novecentesche, la sua matrice concettuale originaria.

Da un punto di vista musicale, la prova dell’orchestra dell’Opera di Roma guidata da Mariotti è straordinaria nel modo in cui riesce a intessere e far dialogare la profondità letteraria del testo di Bernanos con la trama musicale di Poulenc. Un’operazione estremamente complessa perché deve rendere espressivo il significato drammatico del dialogo francese e allo stesso tempo far nascere la melodia dal declamato della dizione stessa, con cui l’orchestra costruisce un rapporto contrappuntistico e leitmotivico estremamente articolato (distante anni luce, in questo caso, dal modello wagneriano). Un’operazione che non a caso riesce a un direttore e a un’orchestra italiana, abituata alle melodie belcantistiche e romantiche della nostra tradizione operistica, in grado di dare profondità estremamente sfumate tanto alle voci femminili (a partire dalla protagonista Corinne Winters fino alla nostra Anna Caterina Antonacci nel ruolo di Madame de Croissy), quanto a quelle maschili (convincenti sia Jean-François Lapointe che Bogdan Volkov nei ruoli del Marchese e del figlio).

Sulla scia di quel monumento della discografia novecentesca che è il Pelléas diretto da Abbado nel 1992, l’intento di Mariotti è far emergere tutto il lirismo della partitura di Poulenc costruendo un equilibrio tra le varie componenti dell’orchestra (in particolare nelle transizioni tra gli archi e ai suoni bouché degli ottoni, a cui sono affidate le colorazioni come in Debussy) che è in grado di tenere assieme un approccio estremamente analitico e bouleziano con uno struggente e melodrammatico.

Altrettanto efficace la resa scenica di Emma Dante, che molto più di altre volte sembra aver trovato una convincente adesione tra le scelte registiche e l’esegesi proposta. Le carmelitane diventano figure femminili in lotta contro il potere maschile. Sono vestite letteralmente da soldatesse e il loro cattolicesimo è reso simbolico non tanto dal lavoro di rielaborazione iconografica più evidente (che culmina nel Cristo-donna crocifissa nel finale), quanto dalla transizione che Dante riesce a operare dal regime realistico-grottesco dell’ambiente monacale (che trapela nei passaggi iniziali) a uno autenticamente tragico e universale. Alcune pratiche chiavi del suo teatro rimangono inalterate, per esempio la costante fluidità dei segni teatrali (è intorno alle cornici che inquadrano i ritratti della casa aristocratica nel I Atto, che diventano prima porte e poi ghigliottine, che si articola l’intero spettacolo), o la prossemica spesso costruita a partire dal rapporto tra la fissità frontale delle figure protagoniste e la mobilità di chi le sta attorno. Ma nel complesso, soprattutto se paragonata a una certa gratuità di alcune esperienze precedenti, sotto il profilo registico lo spettacolo riesce a sostenere con grande efficacia la mediazione drammatica delle parti musicali.

La stagione dell’Opera di Roma non poteva dunque cominciare in modo migliore.

Dialogues des Carmélites. Muisca: Francis Pulenc; libretto: Georges Bernanos; direttore; Michele Mariotti; regia: Emma Dante; maestro del coro: Ciro Visco; scene: Carmine Maringola; costumi: Vanessa Sannino; luci: Cristian Zucaro; movimenti coreografici: Sandro Campagna; interpreti: Jean-François Lapointe, Corinne Winters, Bogdan Volkov, Anna Caterina Antonacci, Ewa Vesin, Ekaterina Gubanova, Emöke Baráth; anno: 2022.

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