Come sosteneva un noto collettivo, oggi più che mai si attesta la solidarietà della critica verso il regime biopolitico contemporaneo, in quanto le verità che essa pretende utilizzare sono totalmente inoffensive, anzi, fanno ridere, e proprio quelle pratiche che si volevano antagoniste finiscono per convertirsi nell’ala progressista del sistema che presumibilmente volevano criticare. «La legittimità del popolo, degli oppressi o del 99% è il cavallo di Troia con cui si conduce qualcosa di costituente all’interno della destituzione». Allora, come pensare una politica che non si lasci catturare dagli apparati macchinici? Come pensare una deposizione senza ritorno dei dispositivi governamentali?
«La forma-di-vita, […] diviene ingovernabile poiché non si lascia fissare in relazioni strumentali, dialettiche, nello schema mezzi/fini, nelle narrazioni e nei “discorsi” biopolitici, nella congiunzione fra Essere e potere: sprigiona una “forza-di-vita” che la rende in grado di “deporre le vocazioni fattizie” che un quadro ontologico, politico e sociale, mediante macchine e dispositivi, di volta in volta cerca di in-scrivere in essa in una data epoca storica, limitando un libero uso-di-sé a cui, diversamente, potrebbe accedere» (della Sala, Astone 2024, p. 20). Probabilmente è attraverso questa lente, e il reticolo concettuale che le soggiace, che è possibile leggere il saggio Destituzioni. Per una politica della deposizione (Efesto), a cura di Federico della Sala e Giorgio Astone, che vede i contributi di studiosi nazionali e internazionali. Il testo, che a partire dalle tesi agambeniane approfondisce il tema della destituzione, si presenta come una mappatura di vie di fuga, come un insieme di sospensioni applicate su più fronti. Pertanto, non è da considerarsi soltanto come un libro di filosofia, piuttosto andrebbe inquadrato come un manuale per orientarsi all’interno dei dispositivi biopolitici e governamentali, sempre più rizomatici, non soltanto per comprenderne l’operato macchinico, quanto piuttosto per disattivarlo e consegnare la vita a un nuovo o altro uso di sé.
La vita, infatti, come sostiene Marco Petruccioli, posta al centro dei discorsi delle scienze umane, per poter essere esaminata deve essere necessariamente presupposta e inquadrata a partire da certe condizioni. «Una critica destituente dei saperi biologici indica la possibilità di liberare la vita dalle forme che essa è costretta ad assumere, restituendola a nuove possibili vie di manifestazione» (ivi, p. 130). Cimatti, invece, a partire dalla critica al dispositivo della relazione avanzata da Agamben, muovendosi verso una ontologia postmetafisica, prova a ripensare la vita al di là di dualismi e dispositivi di divisione. Una forma di sottrazione della vita dalle forme governamentali di cattura è rappresentata dal Trickster (Briccone), personaggio presente in diverse culture e con diversi nomi la cui caratteristica principale è la sua inclassificabilità, il fuggire ogni griglia che cerchi di cristallizzarlo all’interno di un certo sistema concettuale. In quanto potenza che non può esaurirsi in un’attualità, esso, come sottolinea Emanuele Edilio Pelilli, andrebbe pensato non a partire dal che cosa ma come un modo, come un come. Il Trickster «è amorfo, disordinato e contraddittorio, continuamente in trasformazione, sguscia da un corpo all’altro e da un modo all’altro» (ivi, p. 107), disattiva le polarità e sfuma i confini e i limiti, è errabondo, gira a vuoto fuori dalle logiche cartografiche e giuridiche che cercano di catturarlo, rende indeterminate le categorie di sacro e profano: anche la morte, nella sua figura, diviene indistinta dalla vita e pertanto destituita. Il Trickster è una «singolarità qualunque del mondo post-giudizio, dei rappresentanti di una logica altra che destituisce il nostro mondo, il mondo della colpa e del peccato» (ivi, p. 117).
Alla destituzione del mondo, o meglio, di certe sue condizioni, è dedicato il saggio di Consigliere che si concentra sul tema della magia, la quale, contrariamente alla rozza opinione comune, è «ciò che, nel funzionare, non risponde, non rientra o contraddice la logica fondamentale di un mondo. […] In altre parole, è magico ciò che balena negli interstizi fra modi differenti di “fare mondo”, o fra il mondo-così com’è e tutti gli altri mondi possibili» (ivi, p. 98). Allo stesso modo, Baccarin vede nel sogno arcaico un processo destituente capace di abolire i vincoli fra il singolo e le istituzioni alle quali è legato. Proprio per questo esso sfugge a qualsiasi governo o economia: è lo spazio del non-governo che poco si concilia con le logiche tassonomiche del governo dei viventi moderno.
Björk propone un raffronto fra le teorie di Feyerabend e quelle di Agamben. Il punto di contatto fra l’approccio epistemologico di Feyerabend, che prova a revocare in questione l’assunto secondo cui ciò che nominiamo realtà deve essere inteso come l’ordine del mondo costituito da fatti verificabili o meno, e la potenza destituente agambeniana risiede nell’immaginazione, dunque in un atto che destituisce l’ordine-del-mondo. Si tratta, quindi, di attribuire al sistema conoscitivo una potenza di disattivazione capace di rendere inoperoso ciò che noi chiamiamo realtà. Una realtà che, sotto l’operato della rivolta, nella lettura di Aarons del pensiero jesiano, e quello della ribellione stirneriana nell’interpretazione di D’Angelo, deve rimanere in qualche modo sospesa, e con essa anche i suoi dispositivi ordinamentali e governamentali, in quanto, nella rivolta e nella ribellione, non vi è nessun principio fondativo atto a governarla o rifondarla.
In un mondo in cui «sotto l’isomorfismo imperiale uno può essere punk, pornoterrorista o Dottore in Studi Subalterni, ma allo stesso tempo desiderare le vacanze, reclamare il copyright e non rubare nel supermercato, cioè, non realizzare nessun atto deciso di secessione», il saggio a cura di Federico della Sala e Giorgio Astone, oltre a rappresentare un valido contributo all’approfondimento del pensiero agambeniano e le sue conseguenze, ci invita anche a riflettere su come abitiamo, perché abitare, come ha detto qualcuno, non significa altro che diventare ingovernabili. E oggi più che mai, nelle rovine di un presente nero carbone fatto di fango, vigliacchi, pagliacci e infamie, diventare ingovernabili è una prerogativa. E a questo mondo di fantocci che ci vuole sempre più legati a fantasmi di cui oramai abbiamo imparato o riconoscere l’ombra, è utile ricordare una cosa: siamo il popolo delle tenebre, e come dice il profeta: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce».
Giorgio Astone, Federico Della Sala, a cura di, Destituzioni. Per una politica della deposizione, Efesto, Roma 2024.